di Giovanni Ronzo

LA CRISI MISSILISTICA DI CUBA

AD UN PASSO DALL'APOCALISSE


Nel 1959 Fidel Castro divenne presidente di Cuba in seguito alla rivoluzione che aveva deposto il dittatore filo-statunitense Fulgencio Batista. Fu varato un vasto programma di welfare e nazionalizzazione di importanti settori dell'economia, quali la coltivazione della canna da zucchero, che precedentemente erano sotto il controllo di industriali americani. Logicamente, la politica anti-americana dei castristi provocò un forte avvicinamento tra Cuba e l'Unione Sovietica.

Questo crescente avvicinamento non fece altro che aumentare la diffidenza statunitense, che percepiva il pericolo di una roccaforte comunista a pochi chilometri dalle proprie coste meridionali.

Per questo gli USA avevano tentato di ostacolare il consolidamento del potere di Fidel Castro in tutti i modi. Nel 1961, 1500 dissidenti cubani anticastristi che avevano chiesto asilo politico vennero addestrati segretamente dalla CIA e fatti sbarcare a Cuba nel tentativo di rovesciare governo nella cosiddetta "Invasione della baia dei porci", operazione che fallì miseramente. A questo tentativo ne seguirono altri, fra i quali l'Operazione Mongoose, una serie di attentati perpetrati con l'obiettivo di scatenare una rivolta popolare.


L’APOGEO DELLA CRISI

L’obiettivo ultimo di Castro era quello di estendere la rivoluzione a tutti i paesi latinoamericani, prospettiva che preoccupava non poco la Casa Bianca, che si decise a dare una dimostrazione di forza: il 19 ottobre 1962 oltre 40.000 marines simularono lo sbarco su un isola caraibica, dando sfoggio dell'enorme potenziale bellico nordamericano. Questo però non fece altro che consolidare in Castro e Chruščëv l’idea che l’invasione americana di Cuba fosse ogni giorno più prossima. L'URSS all'epoca vantava soltanto venti missili intercontinentali adatti per testate nucleari; per contro gli Stati Uniti possedevano basi missilistiche in Italia, Turchia e Gran Bretagna.

La strategia del governo dell’Unione Sovietica fu quindi di trasportare missili a Cuba nel tentativo di "pareggiare" la situazione. Partendo da Cuba, i missili potevano raggiungere Washington in meno di 20 minuti o comunque mettere in grave pericolo molte basi americane nel sud del paese. A questo punto, il terrore di una apocalisse nucleare era palpabile persino nella gente comune, che reagì facendo grandi scorte di viveri e a costruire rifugi antiatomici in grande numero.

Gli USA progettarono varie contromisure: un bombardamento indiscriminato su tutta l'isola di Cuba, un appello pacifico alle Nazioni Unite, un'invasione coordinata via aerea e marittima o un semplice blocco navale. Le prime tre opzioni vennero scartate dal presidente Kennedy poiché avrebbero richiesto troppo tempo e perché, come suggerito anche dal suo consigliere e fratello Bob, l’opinione pubblica internazionale si sarebbe indignata nel vedere tutta la potenza di fuoco americana scagliata su una piccola isola dei Caraibi. Pertanto, contrariamente a quelle che invece erano le indicazioni del capo di stato maggiore, che spingeva per un intervento più drastico su Cuba ("attacchiamo e distruggiamo completamente Cuba" queste le parole del generale Curtis LeMay ) la scelta finale ricadde sulla costituzione di un blocco navale lungo tutta la costa cubana il 22 ottobre 1962. Quel giorno Kennedy annunciò pubblicamente che erano state scoperte installazioni e missili nucleari a Cuba a seguito a voli di ricognizione degli U2, che gli Stati Uniti si stavano preparando "ad ogni evenienza" e infine invitava il presidente Chruščëv a porre fine "a questa imprudente ed irresponsabile minaccia alla pace del mondo e ad aprirsi a buone relazioni fra le nostre nazioni".

Da qui iniziò il countdown per l’apocalisse nucleare. Per effettuare il blocco navale si era dovuto aggirare un ostacolo di diritto internazionale: il dispiegamento di navi militari in acque di altri stati sovrani è considerato un atto di guerra (tanto che lo stesso Castro aveva più volte sottolineato l'illegalità dell'azione americana). L'operazione fu quindi definita "di quarantena", con lo scopo di impedire soltanto il transito di armi e altro materiale bellico e, per essere ancor più sicuri di agire secondo le regole internazionali, gli Stati Uniti fecero partecipare anche alcune navi da guerra argentine e di altri stati sudamericani.

Tutte le richieste di Kennedy, nel frattempo, vennero respinte da Chruščëv in un secco comunicato inviato il 23 ottobre, nel quale dispose inoltre che tutti i missili presenti a Cuba venissero preparati per essere pronti all’azione nonché il divieto per le navi russe dirette sull’isola di rallentare o invertire la rotta.

Per la prima volta nella storia, il livello di allarme “DEFCON 2” venne annunciato dallo Unified Combatant Command, tutt’ora il livello di allarme più elevato mai raggiunto. Vennero immediatamente armati i bombardieri americani in Florida e mobilitato un contingente di 40.000 uomini per uno sbarco sull’isola; il prossimo passo sarebbe stato una guerra nucleare.

A dimostrazione della serietà del blocco navale voluto da Kennedy, venne disposta la perquisizione della petroliera “Bucarest”, nonostante gli americani fossero consci che non sarebbe mai stata trovata nessuna arma nucleare a bordo della nave.

La crisi era giunta a un punto di stallo, complicata anche dal fatto che aerei spia americani confermavano i lavori di preparazione dei missili nucleari a Cuba. Nella mattinata del 26 ottobrearrivò una prima offerta di Chruščëv, che sembrava offrire il ritiro dei missili in cambio della promessa ufficiale che gli Stati Uniti non avrebbero invaso l'isola. Prima che Kennedy potesse rispondere però arrivò una seconda offerta, in cui si chiedeva lo smantellamento dei missili americani in Italia e in Turchia. Trattare in quelle condizioni era reso particolarmente difficile dalla mancanza di chiari canali di comunicazione ufficiali tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Il 27 ottobre la crisi giunse al punto di massima tensione. Le trattative procedevano lentamente, Cuba restava sotto quarantena e l’esercito americano proseguiva la mobilitazione. Nelle basi sparse per il mondo, i bombardieri americani erano stati caricati con testate nucleari e compivano voli di pattuglia sempre più vicini ai cieli della Russia.

Il 27 ottobre Chruščëv ricevette quella che venne chiamata “la lettera dell’Armageddon”, un messaggio in cui Castro gli chiedeva di lanciare un attacco nucleare se l’isola fosse stata invasa, come era ormai sicuro che avvenisse. Quella sera però si giunse ad un accordo. Gli Stati Uniti si impegnavano a rimuovere segretamente i loro missili nucleari da Turchia e Italia, mentre l’URSS avrebbe pubblicamente rimosso i suoi missili da Cuba e avrebbe accettato delle ispezioni ONU sull’isola. La mattina del 28 ottobre, Chruščëv lesse un messaggio a Radio Mosca in cui annunciava lo smantellamento dei missili da Cuba. Nelle settimane seguenti, quarantadue missili nucleari a medio raggio furono imbarcati su otto cargo e inviati in Unione Sovietica. Undici mesi dopo anche i missili americani in Italia e Turchia furono disattivati.

Furono tredici giorni in cui il mondo rimase con il fiato sospeso. Le parole di Robert McNamara, segretario alla difesa, ci aiutano a comprendere l'atmosfera che si respirava in quei giorni: "Quando uscì dalla sala ovale, era una bella serata di sabato. Rimasi a lungo ad ammirare il cielo perché probabilmente non avrei mai più avuto la possibilità di poter ammirare un altro sabato sera; il mondo non avrebbe più avuto sabati sera".

La catastrofe nucleare fu evitata anche e soprattutto grazie all’intelligenza e alla grande arte diplomatica di Robert Kennedy che, fin dagli inizi della crisi, contrariamente ai suggerimenti dei consiglieri di stato, ha sempre suggerito per lasciare aperti canali diplomatici e di preferire il dialogo ai muscoli. Fu grazie a lui che si giunse all’accordo di smantellare le basi missilistiche in Turchia e Italia in una riunione segreta con l’ambasciatore sovietico a Washington.

Ancora oggi si discute chi fra Chruščëv e Kennedy sia stato il vero vincitore, ma quello che è certo è che si è evitata la più grave crisi del ventesimo secolo e, forse, dell'intera umanità.


LETTURE E APPROFONDIMENTI


  • H. Thomas, “Storia di Cuba”, Einaudi, 1973