Di Emanuele Pizzochera

IL GENNAIO NERO DELL’AZERBAIJAN


Il rapidissimo avvicendarsi di eventi che portarono alla dissoluzione dell’URSS ebbe come effetto quello, tutt’altro che secondario, di esacerbare le quiescenti tensioni nazionalistiche dei suoi Stati membri.

Il 9 gennaio 1990, il Soviet Supremo della RSS Armena aveva incluso nella legge di bilancio una voce che riguardava la storicamente contesa regione del Nagorno-Karabakh, permettendo inoltre ai suoi abitanti di votare nelle elezioni nazionali. Tale decisione, oltre a rendere evidente l’intenzione di Yerevan di annettere la regione, scavalcava sia la giurisdizione azera, sia il potere de facto ancora in mano ai sovietici.

L’azione mise in luce l’incapacità del governo sovietico di fronteggiare la secolare tensione tra azeri e armeni nella regione: la gestione del Nagorno-Karabakh era dal 1989 alle dirette dipendenze del governo centrale di Mosca, quindi il silenzio sovietico sulla risoluzione armena sembrava mostrare un tacito assenso.

La reazione azera non si fece attendere: ufficiali comunisti vennero cacciati da Baku e le proteste contro il governo sovietico si intensificarono non solo nella capitale, ma anche in altre città del paese. Le manifestazionipubbliche erano caratterizzate, oltre che dalla richiesta di indipendenza da Mosca, da una pesantissima retorica anti-armena. Il 13 gennaio a Baku si verificarono violenti pogrom (i secondi, dopo i fatti di Sumqayt nel 1988) contro la minoranza armena, che produssero ben 147 vittime e moltissimi sfollati.

Le proteste erano organizzate e coordinate perlopiù da membri del Fronte Popolare Azero (PFA), organizzazione separatista fondata nel 1988. Il PFA, a fine anni ’80, godeva di ampi consensi nella capitale, a tal punto da avere membri all’interno del Consiglio Supremo e proprio a causa delle pressioni interne esercitate dal PFA, nel 1989 il Consiglio aveva adottato una legge sulla sovranità economica nella RSS Azera che minava ulteriormente la capacità sovietica di controllare efficacemente la regione.

Con gli eventi del 13 gennaio, l’escalation a Baku diventò troppo pericolosa perché i vertici del Cremlino la potessero ignorare. Il 19 gennaio, mentre il dispiegamento delle truppe sovietiche intorno alla capitale era già in corso, Mikhail Gorbachov decretò lo stato di emergenza contravvenendo però alla legge allora in vigore nell’URSS, secondo cui spettava al Soviet Azero sottoporre la questione a Mosca, e non allo stesso governo centrale.

Intorno alla città furono disposti reparti corazzati, mentre parte della Flotta Caspica fu posizionata a blocco del porto.

Contemporaneamente, temendo l’invasione sovietica, il PFA organizzò sbarramenti e posti di blocco agli ingressi cittadini.

La sera del 19 gennaio, le truppe sovietiche iniziarono l’invasione di Baku entrando in città. Appena prima dell’invasione, verso le 19, membri dei servizi segreti sovietici tagliarono la rete di approvvigionamento elettrica, impedendo quindi a radio e televisione di diffondere notizie. Per tutta la durata dell’invasione, le uniche due fonti di informazione furono Mirza Kazar, che trasmetteva da Radio Liberty (finanziata dagli Stati Uniti), e il fotografo iraniano Reza Deghati. La capitale era quindi isolata: i membri del PFA erano pronti alla una reazione sovietica, ma per molti cittadini l’ingresso in città dei carri armati sovietici fu qualcosa di totalmente inatteso. Sfondate le barricate, le violenze tra le strade di Baku durarono fino al giorno successivo, il 20 gennaio: ci furono sistematiche violazioni dei diritti umani: esecuzioni, spari sulle ambulanze e in aree residenziali. Al termine della repressione, le fonti azere contarono oltre 300 morti e più di 800 feriti.

Secondo osservatori internazionali, la violenza usata dall'esercito sovietico la notte del 19-20 gennaio, passata alle cronache come “Gennaio Nero” (Qanli Yanvar), era così sproporzionata rispetto alla resistenza azera da costituire un esercizio di punizione collettiva, un’azione che Gorbachov intraprese come deterrente per possibili rivolte in altre Repubbliche Sovietiche.

Dopo il ripristino dell’indipendenza in Azerbaigian, il procuratore generale azero ha intentato causa contro Gorbachov, per aver violato gli articoli delle costituzioni sovietica e azera circa le libertà civili. L’ex segretario sovietico, nel frattempo, si era scusato pubblicamente con le autorità azere definendo l’invasione di Baku del 1990 come “il più grande errore della sua carriera politica”.

Il 20 gennaio è oggi commemorato in Azerbaigian come Giorno di Lutto nazionale, in cui vengono ricordate le vittime della repressione come “martiri del 20 gennaio” (20 Yanvar şəhidi).


LETTURE E APPROFONDIMENTI


  • Conflict in the Soviet Union: Black January in Azerbaijan - Robert Kushen (New York: Human Rights Watch, May 1991

  • Communal violence and human rights - Playing the “Communal Card” (Human Rights Watch)

  • Behind the scenes - a photojournalist’s perspective (Reza Deghati, 1998)

  • www.azernews.az

  • www.caspiannews.com