Glasnost e Perestrojka

MARCO BERTUCCIO

glasnost e perestrojka

«Abbiamo bisogno di libera competizione nelle menti!»

(Michail Seergevič Gorbačëv)

Nel 1985, dopo le brevi esperienze di Yuri Andropov e Konstantin Cernenko che fecero seguito alla morte di Breznev (1982), la segreteria del Pcus fu assunta da Michail Gorbačëv. Rappresentante di una generazione non direttamente coinvolta nello stalinismo, questi aveva idee molto chiare riguardo ciò di cui l’Unione Sovietica avesse bisogno: una profonda scossa che la svegliasse dal torpore e dal lento logoramento cui era sottoposta. Ciò che il giovane segretario non poteva certamente immaginarsi, è che fu proprio questa scossa, avvenuta forse troppo tardivamente e frettolosamente, a decretare la fine dell’Unione Sovietica. Questa scossa può essere racchiusa in quelli che diventeranno i termini chiave della segreteria di Gorbačëv: «glasnost'» e “«perestrojka».

Il termine «glasnost'», letteralmente “pubblicità” ma più spesso tradotto con “trasparenza”, rappresentò la prima parola d’ordine lanciata da Gorbačëv all'inizio del proprio mandato segretariale, nel 1986. Essa racchiudeva in sé una vasta serie di misure volte ad attenuare la censura attraverso una graduale apertura alla libertà di stampa, a rianimare il dibattito politico interno e a rendere pubbliche e relativamente criticabili le decisioni del Politburo. Nelle idee di Gorbačëv, questa maggiore apertura avrebbe dovuto non solo mettere in difficoltà l’ala conservatrice del Pcus, a lui avversa, ma anche portare maggior consenso verso le riforme economiche e politiche che il segretario aveva in mente di attuare. Inoltre, ad un livello più pratico, la propaganda, la retorica l’occultamento seriale dei problemi e delle responsabilità, erano, secondo Gorbačëv, le caratteristiche che rendevano sempre più difficile risolvere realmente i problemi dell'URSS.

Il 1986 passò alla storia anche per un altro motivo. Nell’aprile di quell’anno uno dei reattori della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, esplose, causando un disastro umano ed ecologico con pochi eguali nella storia. La notizia della tragedia venne tenuta nascosta per svariati giorni, segno che la via verso una completa trasparenza era ancora irta di ostacoli. L’eco mondiale dell’evento mise sotto gli occhi di tutti la reale arretratezza industriale sovietica, ovvero quello che era da sempre il maggior vanto del regime. Il disastro di Chernobyl non fu, infatti, frutto di una fatalità: l’impianto era logoro, tecnologicamente obsoleto, nonché sottoposto a operazioni di manutenzione e a misure di sicurezza piuttosto approssimative. Fu proprio di fronte a questa tragedia e alla necessità di introdurre innovazioni tecnologiche e miglioramenti qualitativi degli impianti, che Gorbačëv lanciò il suo secondo slogan programmatico: quello della «perestrojka», letteralmente “ricostruzione”.

Se il concetto di «glasnost'» può essere inteso come una nuova attitudine del governo sovietico, quello di «perestrojka» va pensato in termini più pratici, quasi due facce della stessa medaglia. Questa parola indica nella pratica un complesso di riforme economiche e politiche volte all’instaurazione dello Stato di diritto socialista. Vennero attuati vari interventi di liberalizzazione, volti ad introdurre nel sistema socialista elementi di economia di mercato. Le imprese ottennero il diritto di vendere autonomamente i prodotti gli eccessi di produzione, furono approvate norme per garantire le condizioni economiche e giuridiche utili allo sviluppo della proprietà privata, venne riorganizzato il sistema bancario, si puntò sull'attrazione di capitali stranieri e sulla costituzione di aziende a capitale misto statale (sovietico) e privato (estero). La medesima sorte toccò al settore agricolo, che vide la nascita delle prime aziende private.

Sulla scia delle liberalizzazioni, alle riforme economiche fecero eco quelle politiche. L’obiettivo principale di queste riforme divenne quello di separare i compiti degli organi del Pcus da quelli dei Soviet, passando il potere effettivo a questi ultimi. A tal proposito Gorbačëv si fece promotore, nel 1988, di una nuova Costituzione che lasciò spazio ad un limitato pluralismo, pur non intaccando il sistema del partito unico, con la distinzione delle strutture dello Stato da quelle del partito, comunque unite al vertice dalla figura del segretario-presidente. Fu istituito un nuovo organo del potere superiore, il Congresso dei deputati del popolo, con il compito di eleggere un Soviet supremo. Il nuovo Congresso inaugurò un sistema di candidature plurime e ne fu consentito l’ingresso ad alcuni esponenti del dissenso. Nelle elezioni del 1990 il congresso elesse Michail Gorbacev presidente dell’URSS.

Le riforme economiche e politiche giovarono sicuramente all’immagine dell’URSS, ma evidenziarono e acutizzarono molti dei problemi rimasti insoluti. I tentativi di riforma economica, innestati in una realtà poco preparata ad accoglierli, finirono per accentuare i problemi dell’economia sovietica. Tra il 1989 e il 1990 la crescita della produzione industriale segnò un grosso calo, mentre crescevano il deficit e la disoccupazione, che all'inizio del 1990 riguardava sei milioni di persone. L’apertura di nuovi spazi di dibattito politico mise in moto tensioni non facilmente governabili, in primis il veloce emergere dei movimenti nazionalisti. Se con il glasnost' si diede finalmente una voce ai dissidenti, con la perestrojka non si riuscì però a silenziarli. Quando Gorbačëv capì di aver perso il controllo della situazione era ormai troppo tardi, sia per lui che per l’Unione Sovietica.