di Alessandro Costa

LO SCANDALO WATERGATE


L’importanza che un dato avvenimento riveste all’interno del contesto in cui si verifica si può riscontrare in vari modi. In primis dagli effetti immediati sul corso degli eventi e sull’opinione pubblica. In secondo luogo, grazie alla produzione di opere d’arte, come film e libri, incentrate sull’evento in questione. E in ultima analisi, anche per via degli effetti che tale evento lascia sul linguaggio.

Un dato avvenimento può essere considerato nel novero dei fatti storici se presenta uno o più tra gli effetti socioculturali sopracitati.

Quegli eventi che riescono a originare tutti questi effetti simultaneamente possono essere considerati eventi che segnano un punto di svolta.

Lo scandalo Watergate fa indubbiamente parte di questa ristretta cerchia di eventi.

17 giugno 1972, Watergate Hotel, 2650 Virginia Ave, Washington. All’1:30 di mattina cinque persone fanno irruzione al sesto piano, sede del Comitato nazionale del partito democratico. La allora guardia di vigilanza, Frank Willis, insospettito dalla presenza di scotch sulle porte, messo appositamente per evitare la chiusura delle serrature, chiama la polizia. Alle ore 2:30 i cinque ladri sono già tutti in manette.

Una cosa stupì subito gli inquirenti, i cinque ladri possedevano materiale che solitamente era in dotazione ai servizi di sicurezza più avanzati, da microchip a walkie talkie in grado di intercettare le frequenze della polizia. Due giorni dopo i sospetti si rivelarono fondati. Non solo uno dei cinque ladri, tale James McCord, in interrogatorio, affermò di aver lavorato per la CIA, ma venne anche trovato il recapito di un ex membro della Casa Bianca, Howard Hunt (al tempo dei fatti presidente del Comitato di ri-elezione del Presidente (CREP)), nell’agenda di uno dei cinque ladri. Entrò qui in scena una delle figure più note dell’intera vicenda: Bob Woodward, giornalista appena 29enne del Washington Post. Woodward che si trovava a seguire l’interrogatorio di McCord, contattò il numero presente nell’agenda, e la risposta che ricevette fu quello che possiamo considerare l’inizio vero e proprio dell’inchiesta Watergate. Il numero era dell’ufficio di Chuck Colson, uno dei più fidati collaboratori di Nixon. L’inchiesta era ancora agli albori, e almeno inizialmente ricevette poca copertura mediatica, ma la strada intrapresa da Woodward, affiancato dal più esperto Carl Bernstein, sembrava fin da subito destinata a smascherare qualcosa di grande.

Ai fini del primo processo intrapreso contro i cinque ladri fu fondamentale la figura di un ex agente del FBI, che aveva giocato un ruolo centrale nell’irruzione al Watergate Hotel: Alfred Baldwin. Baldwin, sentendosi “rinnegato dal CREP” decise di testimoniare. Nelle sue testimonianze Baldwin affermò che i cinque ladri avevano ricevuto ordine dal già citato Hunt e da Gordon Liddy, stretto collaboratore di Nixon, a nome del CREP. Così il 20 settembre 1972 vennero emessi i primi capi di accusa nei confronti dei ladri, di Liddy e di Hunt.

Pochi giorni dopo l’emanazione di queste accuse, che sembravano poter chiudere lo scandalo senza aver interessato - almeno direttamente - la Casa Bianca e la figura del presidente, ci fu un'altra svolta, legata alla figura di “Gola Profonda”, un informatore interno all’FBI che solo nel 2005 si scoprì essere Mark Felt, al tempo dei fatti vicedirettore dell’FBI. “Gola Profonda” entrò in contatto con Woodward rivelandogli che il CREP non era solamente dietro l’irruzione al Watergate, ma bensì dietro ogni tipo di sabotaggio politico contro i nemici di Nixon e consigliò al giornalista di “seguire la pista del denaro”.

Non trascorsero molti giorni e il 10 ottobre 1972 in prima pagina sul Washington Post comparve un articolo secondo cui il Watergate era solamente una delle operazioni di sorveglianza dirette dal CREP.

L’evento non presentava però ancora una risonanza mediatica sull’opinione pubblica tale da mettere in difficoltà Nixon alle successive elezioni del 7 novembre 1972, dove il presidente uscente portò a casa la più schiacciante vittoria nella storia delle elezioni americane, trionfando in ben 49 Stati e ottenendo oltre il 60% dei voti contro il senatore democratico George McGovern.

Nel gennaio del 1973 iniziò il processo a Liddy e McCord, mentre gli altri quattro imputati, incluso Howard Hunt, si erano dichiarati colpevoli. Il giudice di questo processo, John Sirica, iniziò fin da subito a ritenere plausibile che dietro l’irruzione ci fossero interessi di potere da parte della stessa Casa Bianca. Il processo terminò con la condanna di McCord e Liddy e con l’incitamento da parte del giudice Sirica al Senato per creare con urgenza una commissione per indagare più a fondo nel caso Watergate. La richiesta del giudice venne accolta, e nel febbraio si creò in Senato una commissione preposta a determinare se fossero state compiute illegalità all’interno dell’ultima campagna elettorale di Nixon.

Da questo momento in poi gli eventi presero una piega del tutto inaspettata. John Dean, il “Consigliere legale del presidente” a partire dal luglio 1970, aveva giocato un ruolo di primaria importanza nell’ostruzione e nell’insabbiamento delle indagini sull’irruzione nel Watergate Hotel. Dean, resosi ormai conto che il caso Watergate era “un cancro che stava divorando la presidenza” e preoccupato di divenire il capro espiatorio dell’intera faccenda, si decise a testimoniare davanti alla commissione del Senato.

Nei giorni seguenti, come extrema ratio, il presidente Nixon prima fece rassegnare le dimissioni ai suoi più fidati collaboratori Haldeman e Erlichman e licenziò lo stesso Dean, mentre il giorno seguente, il 30 aprile 1973, parlando di fronte alla nazione affermò che il suo stesso staff era coinvolto nell’insabbiamento del Watergate, tentando però di dissociare la sua persona dallo scandalo. Arrivati a questo punto gli eventi chiave si susseguirono con una rapidità impressionante: il 17 maggio le udienze iniziarono ad essere trasmesse in live sulle principali emittenti televisive; il 18 maggio, il procuratore distrettuale Elliot Richardson nominò il democratico Archibald Cox come procuratore speciale e gli ordinò di investigare sulla connessione del presidente con il caso Watergate; il 25 giugno venne sentito per la prima volta John Dean e infine il 13 luglio sotto interrogatorio da parte della commissione, Archibald Baker, vice assistente del presidente, affermò che nella Casa Bianca era presente un sistema di registrazione automatico, che registrava ogni conversazione avvenuta all’interno dello Studio Ovale. Le indagini subirono una svolta chiave. Inizialmente il presidente appellandosi al privilegio dell’esecutivo e a motivi di sicurezza nazionale si oppose fermamente a dare alla commissione d’inchiesta i nastri delle registrazioni. Ma successivamente, anche a seguito degli eventi del “Saturday Night Massacre”, in cui il presidente licenziò Elliot Richardson e il suo vice perché riluttanti a rimuovere Cox dalle indagini, che portarono una grande indignazione nell’opinione pubblica, Nixon accettò di dare alla commissione le trascrizioni delle registrazioni avvenute nello studio Ovale nei precedenti due anni. Nel giugno del 1974 la Corte Suprema impose a Nixon di consegnare le registrazioni alla Commissione del Senato.

La registrazione chiave dell’intera inchiesta, la così detta “smoking gun” (pistola fumante), risaliva al 23 giugno 1972, sei giorni dopo gli eventi del Watergate: in questa registrazione Nixon chiedeva a Haldeman, l’allora capo del suo staff, di interferire e insabbiare le investigazioni sul caso.

Il 25 luglio 1973 il presidente Nixon venne messo sotto impeachment dalla House Judicary Committe con le accuse di aver ostacolato il corso delle indagini, abuso di potere e ostacolo al Congresso.

L’8 agosto 1974 a seguito di un breve ma memorabile discorso Nixon si dimise lasciando posto al suo vice Gerald Ford, che solo un mese dopo lo prosciolse da ogni conseguenza penale per tutti i fatti avvenuti sotto la sua presidenza.

Lo scandalo del Watergate non solo ha portato all’unico caso di dimissioni di un presidente statunitense, non solo ha portato alla produzione di un film come “Tutti gli uomini del Presidente”, vincitore di ben 4 premi Oscar nel 1976, non solo ha portato all’utilizzo del suffisso GATE in riferimento agli scandali politici, dal SexGate di Bill Clinton al più recente RussiaGate di Donald Trump.

Il Watergate ha aperto una nuova era per la politica statunitense.

Un’era di crisi, in cui l’assedio a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 è solo un’ultima conseguenza.

La crisi della fiducia dei cittadini americani nelle istituzioni.


LETTURE E APPROFONDIMENTI