Lo scandalo della Banca Romana


di Lorenzo Balma

Lo scandalo della Banca Romana trova le sue origini nel periodo di vasta speculazione edilizia della metà degli anni '80 dell'Ottocento, soprattutto dell'edilizia romana (ma anche in quella torinese e napoletana). Questo periodo di grandi investimenti nel settore edilizio deve essere inscritto nel fenomeno mondiale di un afflusso di investimenti stranieri e di grandi capitali senza precedenti, soprattutto dalle banche inglesi. In questo scenario, il Credito mobiliare, la Banca generale e le società minori a loro connesse sono profondamente coinvolte.

Nel 1887 scoppia la bolla immobiliare e le banche di emissione chiedono al Governo presieduto da Francesco Crispi di salvare gli istituti stampando moneta nuova. Nel 1889 il Governo acconsente ed autorizza all'emissione di biglietti (senza copertura metallica) per un massimo di 50 milioni di lire. La Banca romana, la più esposta nella speculazione edilizia, supera i limiti di emissione consentiti dalla legge: un'ispezione tenuta segreta della primavera del 1889 rivela un'eccedenza di 25 milioni di lire, arrivando addirittura a stampare duplicati di biglietti già emessi per circa 9 milioni di lire.

Un'inchiesta parlamentare del 1892 fa scoppiare lo scandalo. In quella sede l'eccedenza di biglietti emessi da parte della Banca romana risulta ammontare a 65 milioni di lire e i biglietti duplicati a 40 milioni di lire. Viene arrestato il governatore della Banca, Bernardo Tanlongo che dal carcere fa emergere segnali di profonda collusione tra la Banca romana e la politica. Molti infatti sono i politici finanziati durante la campagna elettorale, ma il nome che spicca su tutti è quello di Giovanni Giolitti, che proprio pochi mesi prima aveva nominato Tanlongo senatore. Se nel dicembre 1893 Giolitti deve rassegnare le dimissioni (gli succederà il secondo governo Crispi), nel 1894 è costretto a riparare in esilio per evitare l'arresto, riuscendo poi nel 1895 a difendersi con successo in parlamento.

Si assiste da un lato al fallimento del Credito mobiliare, della Banca generale e di istituti minori, mentre dall'altro alla liquidazione della Banca romana e alla riorganizzazione degli istituti di emissione. Il sistema finanziario che esce da questa riforma sarà quello che renderà possibile il parziale decollo industriale nei quindici anni che precedono la Grande Guerra. Da questa riforma nasce inoltre nel 1893 la Banca d'Italia, in cui confluiscono la Banca nazionale del Regno d'Italia, la Banca nazionale toscana e la Banca toscana di credito (che assume la liquidazione della Banca romana), mentre rimangono esterni il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia.

Siccome il Credito mobiliare e la Banca generale erano impostate come banche d'affari orientate al finanziamento di imprese industriali e di infrastrutture a lungo termine, dopo il loro fallimento vengono istituite nel 1894 la Banca commerciale italiana con capitali stranieri (soprattutto tedeschi) e nel 1895 il Credito italiano con capitali italiani. Nascono così, sul modello tedesco, le banche miste o universali, così chiamate perché esercitano sia credito a breve che lungo termine, svolgendo inoltre sia attività di raccolta che di canalizzazione dei capitali per lo sviluppo industriale.

Saranno proprio le banche miste che riusciranno ad attirare e convogliare i capitali necessari per investirli nelle nuove industrie, entrando anche nei consigli di amministrazione delle imprese guidandone l'attività.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:

-E. Magrì, "I ladri di Roma. 1893 scandalo della Banca romana. Politici, giornalisti, eroi del Risorgimento all'assalto del denaro pubblico", Mondadori, 1993;

-E. Felice, “Ascesa e declino. Storia economica d’Italia”, il Mulino, 2015;

-V. Zamagni, "Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica d'Italia (1861-1990)", il Mulino, 1990.