Di Riccardo Avignone

L’aviazione nella Prima guerra mondiale

A soli undici anni dal leggendario volo dei fratelli Wright, avvenuto negli Stati Uniti nel 1903, il mondo precipitava nella tragedia del Primo conflitto mondiale della storia. Tra tutte le novità tecnologiche che gli eventi bellici introdussero, l’aviazione fu certamente quella che riscosse il maggior successo tra gli alti comandi militari, superando lo scetticismo iniziale e imponendosi come strumento imprescindibile per la vittoria.

A dimostrazione di quanto detto è sufficiente un dato. Tra il 1914 e il 1918 Francia, Inghilterra e Germania produssero 50.000 aerei ciascuno, ideati o adattati per i tre principali impieghi dell’aviazione: ricognizione, bombardamento e caccia. All’apice del conflitto, dalla progettazione alla al decollo di un nuovo aereo non trascorrevano più di tre mesi causando come conseguenza una continua richiesta di piloti. Per questo motivo il periodo di addestramento delle reclute si contrasse fino a raggiungere le poche settimane di preparazione.

I velivoli prodotti a inizio secolo erano composti da una semplice struttura in legno ricoperta di tela, tenuto tutto insieme da dei tiranti che avvolgevano le ali. I modesti serbatoi di benzina erano pericolosamente sistemati a pochi metri dal sedile del pilota causando non poche ansie a quest’ultimo; i motori da 80 HP, costruiti da aziende oggi famose nel settore automobilistico come BMW e Rolls-Royce, permettevano di raggiungere velocità inferiori ai 200 km/h. Curiosamente, uno dei due fondatori dell’azienda britannica, Charles Rolls, morì a bordo di un aereo dei fratelli Wright.

Ma fu dall’alto dei cieli che i primi aviatori poterono assistere a un’Europa che stava cambiando sotto l’avanzata del Novecento. Le dolci colline verdi dell’Alsazia e della Lorena divennero presto lingue di terra grigie e butterate dall’artiglieria, ricoperte di filo spinato e attraversate da cunicoli in cui i soldati si annidavano come formiche.

Dalle loro linee scavate nel fango, i fanti impararono a riconoscere il caratteristico ronzio delle eliche di un aereo in avvicinamento. Si trattava di ricognitori su cui sedevano un pilota e un osservatore incaricati di fotografare le stesse linee da cui i soldati li guardavano passare. Il loro compito era quello di segnalare con l’ausilio delle carte topografiche la posizione dell’artiglieria, delle linee di rifornimento e dei depositi di munizioni.

Era un lavoro pericoloso quello dei ricognitori: non solo per l’instabilità del mezzo ma anche perché, spesso, volavano tanto bassi che i soldati riuscivano a distinguere gli occhiali da aviatore indossati dal pilota. La tentazione di abbattere l’aereo era irresistibile per i soldati in trincea, e non era impossibile che qualche colpo ben tirato riuscisse a colpire uno dei membri dell’equipaggio ferendolo o uccidendolo. In tutta risposta, i piloti rispondevano al fuoco con le loro rivoltelle d’ordinanza oppure lanciando a mano delle granate.

Ma quando gli aerei cominciarono a diventare più grandi e capaci di trasportare bombe più grandi, quel ronzio, quel rumore che sembrava preannunciare il passaggio di uno stormo di mosche giganti, non significava più che stava arrivando un osservatore troppo curioso. Quel rumore evocava nelle menti delle persone immagini terrificanti: palazzi avvolti dalle fiamme, esplosioni, urla di persone ferite, terrore.

E fu proprio quello che provarono gli abitanti di Londra il 13 giugno 1917, quando i Gotha G.IV tedeschi la raggiunsero e la colpirono causando centinaia di morti e feriti. Il volo su lunghe distanze, reso possibili dal progresso tecnologico, divenne parte integrante delle nuove strategie militari. Il bombardamento strategico mirava a piegare la volontà di combattere del proprio nemico colpendone le mogli e i figli direttamente a casa.

Per cercare di fermare queste incursioni si rese necessario costruire degli aerei più piccoli e veloci, armati di mitragliatrici e in grado di intercettare i più pesanti bombardieri prima che giungessero a destinazione: fu così che nacque l’aviazione da caccia. Le prime soluzioni in tal senso, come quella francese di installare le mitragliatrici Lewis sopra l’ala superiore dei Nieuport XI, rendevano il tiro impreciso e si rivelarono ingestibili. Ricaricare o espellere un colpo inceppato obbligava il pilota ad alzarsi in piedi dall’abitacolo in pieno volo. Il rischio di perdere il controllo del velivolo o di cadere era altissimo.

Fu l’aviatore francese Roland Garros a trovare una soluzione spostando la mitragliatrice sulla zona frontale del velivolo, di fronte all’abitacolo, in una posizione decisamente più comoda. Si pose però il problema di sparare senza colpire la propria elica, problematica alla quale lo stesso francese rispose installando delle protezioni in metallo sulle eliche così da deviare i colpi potenzialmente fatali.

Una volta che i tedeschi recuperarono l’aereo Garros dopo un combattimento, lo portarono nelle officine di Anthony Fokker, un costruttore olandese che lo studiò a fondo. Integrando i suoi precedenti studi sulla possibilità di interrompere automaticamente il fuoco della mitragliatrice al passaggio delle pale dell’elica, nel 1915 inventò il primo sistema elica-mitragliatrice sincronizzato.

Il vantaggio tecnologico che ne derivò permise ai tedeschi di mantenere la supremazia sui cieli d’Europa fino al 1916 grazie all’Eindecker E.1, il primo vero caccia della storia a montare tale meccanismo. Questo periodo, noto all’epoca come Flagello Fokker, ebbe termine solo quando un pilota tedesco, persosi nella nebbia, atterrò oltre le linee inglesi.

Ed è con proliferazione dei caccia e la nascita delle squadriglie che si inaugurò l’epoca d’oro degli assi dell’aviazione. Con “asso” si intendeva un pilota che dimostrava di aver abbattuto almeno cinque aerei in combattimento. Tale figura venne ampiamente sfruttata dalla propaganda militare che, attraverso i mezzi di stampa, dipinse i giovani aviatori come novelli cavalieri dell’aria, continuatori della grande epica cavalleresca dei secoli precedenti.

Sui campi di battaglia, lo spettacolo offerto da due squadriglie di caccia che si intercettavano era impressionante. Gli aviatori combattevano fino all’ultimo sangue inseguendosi tra giri della morte, virate improvvise, loops e raffiche di mitragliatrice sparate in picchiata. Quando la manovra offensiva di un aereo si risolveva in nulla questi si trasformava immediatamente in preda dando vita ad una danza macabra che andava avanti fino alla sconfitta di uno dei due.

Il pilota doveva essere bravo ad attaccare dall’alto, con il sole alle spalle e senza allontanarsi troppo dalle proprie trincee, limite di sicurezza per un atterraggio di emergenza. Le virate acrobatiche, come quella inventata da Max Immelmann, servivano ad eludere l’attacco nemico e a porsi in posizione di vantaggio.

Le regole di ingaggio di queste tenzoni alate erano state ideate da un giovane capitano di squadriglia dell’aviazione tedesca. Il suo nome era Oswald Boelke e, a meno di 25 anni, non solo era stato in grado di porre le basi della moderna caccia aerea con i suoi Dicta Boelke, ma fu anche maestro di Manfred Von Richtofen, il più grande asso che l’aereonautica abbia mai conosciuto.

Noto come il Barone Rosso per via del caratteristico colore del suo triplano Fokker DR.1, Richtofen riuscì ad abbattere da solo ben 81 aerei divenendo contemporaneamente temuto e rispettato dai suoi nemici. Il suo abbattimento per mano della contraerea australiana, avvenuto il 21 aprile 1918 nei pressi di Vaux-sur-Somme, a pochi mesi dalla fine del conflitto, segnò anche il tramonto di un’esperienza irripetibile e leggendaria, destinata a sopravvivere per sempre ai suoi protagonisti grazie alle leggende tramandate di generazione in generazione.

Approfondimenti

    • Callegari Roberto, Il fronte del cielo – Guida all’Aviazione nel Veneto durante la Grande Guerra, Treviso, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 2012.

    • L’offensiva aerea: guerra nei cieli 1914-1918, documentario, Nugus & Martin productions, Stati Uniti, 1993.