di Giorgia Gabucci

L'attentato di via Rasella

Il 10 Settembre 1943 alle ore 16 il tenente colonnello Leandro Giaccone firma la resa di Roma, rendendo completamente vani gli sforzi fatti dalle divisioni dell’esercito italiano e dai civili per difendere la Capitale dall'occupazione tedesca. Inizialmente, l’accordo firmato da Giaccone prevedeva che a Roma fosse attribuito lo status di “Città aperta”, cioè che non sarebbe stata utilizzata come retrovia militare, ma Roma, città aperta, non lo sarà mai.

Fu conseguentemente a questi eventi che si metterà allora in moto la macchina della resistenza romana, fenomeno apparentemente nuovo ma basato sulle profondissime radici che la tradizione politica socialista, comunista e antifascista aveva nella città. Essa costerà agli italiani, in quasi un anno di occupazione nazista, approssimativamente 597 morti, 700 feriti e 139 dispersi. Durante i nove mesi intercorsi tra la caduta del fascismo e la liberazione di Roma, la resistenza della capitale mise a dura prova i tedeschi. Eugene Dollmann, colonello delle SS a Roma e capo dei servizi segreti nazisti in Italia, aveva descritto i romani come “pavidi, indolenti e opportunisti”, ma le continue difficoltà create dalla resistenza lo portarono ben presto a cambiare idea. Qualche mese più avanti i tedeschi parleranno della Capitale come un “letto di procuste”, perché quotidianamente afflitti da sabotaggi, attacchi militari, scioperi e resistenze civili di vario genere.

Tra tutti questi disordini, uno degli episodi maggiormente decisivi e che quindi ricevette maggiore risonanza, anche a causa delle terribili conseguenze, fu l’attentato di Via Rasella, avvenuto il 23 marzo 1944, data che coincideva con l’anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento. L’attacco fu portato avanti dai Gruppi di Azione Patriottica romani, unità partigiane indipendenti legate al Partito Comunista Italiano, contro l’undicesima compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen, corpo della Ordnungpolizei (la polizia militare nazista) composto principalmente da reclute altoatesine. L’attentato rimane noto per essere il più sanguinoso attacco anti tedesco non militare in tutta l’Europa occidentale. Anche il caso giocò un ruolo determinante nell'indirizzare la traiettoria storica dell'attacco e delle sue ripercussioni. Secondo il piano originale, i gappisti avrebbero voluto colpire i fascisti repubblichini durante la celebrazione dell’anniversario fascista. Tuttavia i tedeschi, coscienti degli rischio di un attacco armato, soprattutto alla luce degli attentati avvenuti nei giorni precedenti, diedero l’ordine di festeggiare l’evento solo in privato. I partigiani furono così costretti a ripiegare su un obiettivo secondario. L’attacco consistette nella detonazione di un ordigno ad alto potenziale, fornito dai badogliani, nascosto all’interno di un carretto da spazzino e abbandonato davanti l’entrata di Palazzo Tittoni, proprio all'angolo in cui via Rasella sfocia su via Quattro Fontane. Un ulteriore attacco sarebbe stato portato avanti da alcuni partigiani, equipaggiati con bombe a mano e, infine, tutti i gappisti che presero parte all’attacco, avevano un colpo pronto in canna nel caso qualcosa fosse andato storto. Sorprendentemente, invece, le cose andarono addirittura meglio di quanto preventivato: la detonazione dell’ordigno principale provocò l’esplosione delle bombe a mano che i soldati tedeschi portavano alla cintura, provocando in totale 26 morti tedeschi sul momento e altri sei nelle ore successive.

La particolare rilevanza storica di questo attentato, rispetto ai moltissimi altri che costellarono la resistenza romana, sta anche – e forse soprattutto – nelle sue nefaste e impreviste conseguenze. Innanzitutto, i tedeschi supportati da un battaglione della X° MAS reagirono con una furiosa sparatoria verso le palazzine circostanti ed un massiccio rastrellamento del quartiere che portò al temporaneo arresto di oltre trecento persone. Le prime alte autorità giunte in via Rasella furono il questore Pietro Caruso e il generale Kurt Mälzer, comandante della piazza di Roma. Quest'ultimo proclamò la volontà vendicarsi radendo al suolo il quartiere e di eliminandone gli abitanti. Tuttavia, il consigliere d'ambasciata Moellhausen e il colonnello Kappler, giunti sul posto poco dopo, fermarono i suoi propositi e attivarono un'inchiesta, mentre Eugene Dollmann affermò immediatamente che si trattava di un'azione partigiana. Più avanti si procedette ad avvertire Hitler si diede inizio alla pianificazione della rappresaglia. Secondo i racconti, dei quali purtroppo non esistono testimonianze se non quelle dei diretti interessati, il Führer informato degli eventi, andò su tutte le furie in un tremendo attacco d'ira, evento che, secondo un ufficiale del suo stato maggiore, avvenne soltanto in due occasioni durante tutta la guerra: in seguito all'attentato di via Rasella e alla notizie che Parigi non era stata distrutta prima della ritirata. Dunque, secondo queste fonti mai confermate, Hitler chiese l’assassinio di cinquanta italiani per ogni soldato caduto, compito da eseguirsi nelle ventiquattrore successive. Grazie all’intervento del generale prussiano Von Mackensen e il feldmaresciallo Kesselring, che in quel momento era al comando delle forze tedesche ad Anzio, si riuscì ad "ridurre" la proporzione fino a dieci italiani per ogni soldato tedesco.

La conseguenza più importante dell’attentato di Via Rasella, oltre ai vari rastrellamenti che la popolazione dovette subire nei giorni successivi, fu dunque l’evento che noi oggi conosciamo come l’Eccidio delle fosse Ardeatine: 335 persone, tra civili e militari, tra cui almeno 75 ebrei già detenuti per motivi razziali, furono trucidate come punizione per una nazione che non si sottometteva all’invasore. Per quanto questo attentato sia rimasto una delle azioni più controverse della storia della resistenza italiana, è importante sottolineare che si trattò di un evento spartiacque per l’occupazione tedesca in Italia: esso riabilitò gli Italiani, che avevano “osato sfidare in pieno centro un battaglione tedesco armato”, agli occhi degli alleati e diede una vigorosa spinta all’evacuazione tedesca della capitale, che infatti iniziò il giorno successivo all’attentato.