di Luca Sorrenti

L’attentato a Lenin

30 agosto 1918

«Il mio nome è Fanja Kaplan. Oggi ho sparato a Lenin. L'ho fatto da sola di mia propria iniziativa. Non rivelerò chi mi ha procurato la pistola. Non darò nessun dettaglio. Decisi di uccidere Lenin molto tempo fa. Lo considero un traditore della rivoluzione.»


Il 1918 è l’anno in cui i bolscevichi di Lenin assumono stabilmente la guida della Russia rivoluzionaria: a gennaio, con il supporto della Guardia Rossa, sciolgono l’Assemblea Costituente; a marzo firmano il contestato trattato di Brest-Litovsk con le potenze centrali sancendo l’uscita della Russia dalla Grande Guerra. Una decisione fortemente voluta da Lenin ma che acuisce non poco le frizioni tra le diverse frange rivoluzionarie. Molti discordano, vorrebbero che la continuazione della guerra si trasformasse in rivoluzione mondiale e considerano il semplice trattare con i governi borghesi di per sé un tradimento. La tensione all’interno del variegato panorama rivoluzionario è palpabile. I bolscevichi sono una minoranza, ma sono i più organizzati e determinati. Hanno un programma e non hanno paura di metterlo in atto. L’inizio della guerra civile contro l’Armata Bianca dei controrivoluzionari spinge i bolscevichi a dare il via ad alcuni provvedimenti durissimi che passeranno alla storia come “comunismo di guerra”. Tra questi, le requisizioni forzate di cibo nelle campagne che causano una frattura insanabile con il Partito Socialista Rivoluzionario, forza maggioritaria fino a quel momento alleata di governo. In estate, dovendo far fronte a nemici esterni ed interni, il governo bolscevico pare appeso a un filo.

Nel pomeriggio del 30 agosto 1918, Lenin esce dal Cremlino a bordo della sua Rolls Royce nera per recarsi alla fabbrica metalmeccanica Michelson e tenere un comizio. Arringa gli operai per quasi un’ora con un discorso appassionato ed infiammante sulla necessità di continuare a lottare per la rivoluzione. Poi, all’uscita della fabbrica, si trattiene a parlare con alcune donne mentre l’automobile lo aspetta a pochi metri. All’improvviso una donna magra, tisica e d’un pallore esaltato dai capelli neri richiama la sua attenzione e, quando si gira verso di lei, si odono distintamente tre spari. Il leader bolscevico cade a terra; una folla di operai subito lo circonda, la donna è bloccata e Lenin viene condotto d’urgenza nel suo appartamento al Cremlino. La situazione è grave, ma si rifiuta di essere portato in ospedale per timore di ulteriori attentati. Dei tre colpi sparati due lo hanno ferito. Uno al collo, provocando un’emorragia ed un’infiltrazione di sangue in un polmone; l’altro nella spalla sinistra. Per alcuni giorni le sue condizioni sono critiche, ma alla fine riesce a sopravvivere.

L’attentatrice, Fanja Kaplan, è una ventottenne attivista del Partito Socialista Rivoluzionario; ex anarchica che ha trascorso più di dieci anni nel sistema penitenziario russo per aver tentato di assassinare, appena sedicenne, un funzionario dello zar. La donna si assume immediatamente la responsabilità dell’attentato, dichiarando di aver agito autonomamente con il desiderio di colpire chi, a suo avviso, aveva tradito gli ideali rivoluzionari.

La vicenda è da subito poco chiara ed alcuni dubbi permangono tutt’oggi. Fanja, detta anche Dora, è infatti pressoché cieca. Anni di maltrattamenti e violenze in carcere e nei campi di lavoro siberiani ne hanno irrimediabilmente compromesso la vista, già danneggiata dall’esplosione della bomba artigianale con la quale aveva tentato di uccidere il funzionario dello zar. L’attentato a Lenin viene realizzato dopo il tramonto, una condizione nella quale sembra ancor più difficile che l’ipovedente Fanja possa essere riuscita a colpire il suo obiettivo. Un primo comunicato ufficiale, inoltre, parla di diversi sospettati, cosa che non corrisponderebbe alla versione definitiva che fa riferimento ad una sola attentatrice immediatamente bloccata dagli operai presenti.

Difficilmente si potrà far luce sulla vicenda ma alcuni storici ritengono che la Kaplan non fosse sola e che non sia stata lei a sparare, ma che si sia offerta di assumere su di sé tutte le responsabilità e coprire così i suoi compagni.

L’attentato a Lenin non è il primo compiuto da parte di socialrivoluzionari nel corso del 1918. Già qualche mese prima avevano infatti assassinato il console tedesco, considerando la sua presenza in Russia un’intollerabile offesa. Mentre, quello stesso 30 agosto, uccidono anche Moisej Urickij capo della Ceka, la polizia politica bolscevica, di Pietrogrado.

La risposta non si farà attendere. Nonostante la Kaplan continui ad affermare di aver agito autonomamente, la responsabilità è addossata ai socialisti rivoluzionari dando ai bolscevichi un perfetto pretesto per liberarsi degli antichi alleati. La repressione sarà durissima. In pochi giorni vengono fucilati centinaia di oppositori politici ed altrettanti vengono arrestati e deportati. Il 3 settembre toccherà anche a Fanja, uccisa con un colpo di pistola alla nuca nel cortile del Cremilno, mentre il motore acceso di un’auto cela il rumore dello sparo. È l’inizio del “Terrore Rosso”, chiunque è tacciato di essere un agente della controrivoluzione, viene deportato, arrestato o passato per le armi. I bolscevichi ne escono rafforzati. Le altre forze politiche sono messe al bando ed il potere viene sempre più centralizzato. È anche l’inizio del culto della personalità di Lenin, alimentato dagli stessi bolscevichi attraverso la stampa, per quanto contro la sua volontà. Una caratteristica, quella della “deificazione” del leader, che deriva direttamente dalla Russia zarista e che diventerà peculiare delle leadership comuniste.

Lenin, come sappiamo, sopravvive. Dopo solo tre settimane è già tornato al lavoro ed alla guida del partito bolscevico. Non vive però a lungo. Muore infatti il 21 gennaio del 1924 a seguito di numerosi ictus che ne avevano compromesso irrimediabilmente la salute, molto probabilmente collegati con il proiettile sparato dalla Kaplan, rimastogli conficcato nel collo per molti anni.


LETTURE ED APPROFONDIMENTI

Pezzica Lorenzo, Le magnifiche ribelli. 1917-1921., Elèuthera, 2017.

Sebestyen Victor, Lenin. La vita e la rivoluzione. Rizzoli, 2017.