Di Anna Turrini

LA TRANSIZIONE UNGHERESE VERSO IL GOVERNO DI ORBÁN

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli Stati dell’est Europa riacquistarono gradualmente la propria indipendenza politica. Tra questi l’Ungheria divenuta Repubblica nell’ottobre 1989, una neonata democrazia liberale acclamata a gran voce da una parte considerevole della sua popolazione. Tuttavia, il passato ungherese come del resto quello degli altri Stati dell’Europa orientale è stato caratterizzato per secoli da regimi autoritari che non hanno lasciato spazio alla fioritura di una forte cultura democratica, motivo per il quale il processo di nuova istituzionalizzazione avviato negli anni ‘90 ha incontrato ostacoli che hanno condotto ad una deriva illiberale.

Il caso ungherese è emblematico, tra il 1989-1992 la transizione del paese verso il sistema democratico viene guidata dai due principali partiti sorti nella seconda metà degli anni 80, l’Alleanza dei liberi democratici (SZDSZ) formazione liberale tra i principali oppositori del comunismo e il Forum democratico ungherese (MDF) forza nazional-conservatrice. Quest’ultimo, uscito vincitore alle elezioni del 1990, forma il primo governo post-comunista insieme ad altre forze politiche minori, rifiutando la possibilità di un’alleanza con SZDSZ in nome di una “grande coalizione nazionale”.

Nello stesso periodo viene redatto un primo testo costituzionale a carattere provvisorio che tuttavia sarebbe rimasto in vigore per circa vent’anni. La Costituzione ungherese del 1989 non scaturì dal dibattito e coinvolgimento popolare ma dal lavoro della sola élite politica, scelta che quindi non permise di consolidare nella collettività il cambiamento politico apportato.

Quattro anni dopo, l’elettorato ungherese ripone la propria fiducia nel partito socialista, erede del partito socialista operaio ungherese. Tuttavia, i voti ottenuti non garantiscono la maggioranza utile a formare un governo. Intervengono quindi in soccorso i liberali di SZDSZ, spostando quindi a sinistra dell’asse politico mentre invece a destra i conservatori di MDF vedevano diminuire i propri consensi. Ciò che si stava prefigurando era un vuoto di rappresentanza in una popolazione non ancora abituata ai meccanismi della democrazia di stampo occidentale.

È in questo nuovo spazio politico che FIDESZ, partito guidato da un giovane Viktor Orbán, si insedia. FIDESZ è l’acronimo di Fiatal Demokraták Szövetsége (Alleanza dei giovani democratici), fondato nel 1988 come forza politica anticomunista e liberale. Il partito inizia a guadagnare la fiducia dei cittadini solo 10 anni dopo quando alle elezioni del 1998 stringe alleanza con il Partito dei piccoli proprietari indipendenti (Kisgazdpárt) e l’MDF ottenendo il 29,4% dei voti, risultato che rappresenta un grande passo per Orbán che viene nominato Primo Ministro. L’ascesa di Viktor Orbán è molto rapida, affacciatosi alla politica solo nel 1988 riesce a guadagnare la carica di governo a soli 35 anni, ponendo le prime basi di quel governo dalle venature illiberali che vanterà pochi anni dopo di aver instaurato nel suo paese.

Se nei due mandati successivi FIDESZ non riesce a riconquistare la maggioranza parlamentare, il partito e il suo leader riescono comunque a sfruttare gli errori della compagine socialista per saldare la propria base elettorale. Una serie di scelte finanziarie azzardate, il mancato appoggio alla questione della cittadinanza agli ungheresi all’estero e le proteste del 2006 contro il Primo ministro socialista sono le principali motivazioni che permettono a FIDESZ di vincere le elezioni del 2010 dando inizio al governo di Orbán. Un consenso trasversale conquistato anche grazie ad abili scelte propagandistiche, come la creazione di “circoli di cittadini” (polgári körök) centri di potere locale simili a cellule di partito su tutto il territorio.

Nell’ultimo decennio Orbán riesce a radicalizzare le posizioni del partito traghettando di conseguenza l’Ungheria verso la deriva illiberale. Restrizioni alla libertà di stampa e una nuova legge elettorale che ostacola l’opposizione sono alcune delle prime misure varate dal governo per consolidare il proprio potere. Non ultima la questione migratoria, sfruttata per fare leva sui sentimenti identitari della popolazione riportando alla luce un latente nazionalismo etnico. Anche i centri culturali sono compromessi, le università vengono poste sotto il controllo governativo, recenti sono gli sviluppi riguardanti l’Accademia delle scienze, storico istituto indipendente oggi completamente soggetto alle volontà del Premier ungherese grazie ad una legge approvata nel 2019.

Gli eventi eccezionali del 2020 legati all’epidemia Covid-19 diventano l’ennesima occasione per erodere le basi democratiche: il Parlamento conferisce ad Orbán i pieni poteri, ufficializzando un potere di cui di fatto il Premier aveva già abusato negli anni precedenti. La decisione viene poi revocata a giugno in virtù degli sviluppi del contagio ma tuttavia non modifica la situazione critica della democrazia in Ungheria.