di Lorenzo Bonaguro

LA TECNOCRAZIA


«[i tecnocrati] esercitano il potere in virtù del loro sapere tecnico»

Robert Putnam


Negli ultimi decenni l’Occidente sta affrontando una crisi di identità e di valori. La crisi economica, la corruzione della classe politica e ora la pandemia hanno messo a dura prova la società occidentale e in particolare uno dei suoi più cari principi: la democrazia liberale rappresentativa. Fra le varie proposte di alternative politiche e di governo una in particolare sta guadagnando terreno, grazie ai successi che sta ottenendo in alcuni paesi, ossia la tecnocrazia.

Concetto assolutamente non contemporaneo, lo stato ideale di Platone ne è un esempio perfetto, la tecnocrazia nella sua definizione più generale è l’organizzazione statale in cui il potere decisionale è in mano a un gruppo di esperti, che non fungono più da semplici consiglieri ai politici. La politica passa da arte della mediazione a scienza dei costi-opportunità. I tecnocrati sono esperti di discipline tecnico-scientifiche (economia, ingegneria, fisica, matematica) focalizzati sull’analisi quantitativa e qualitativa di dati e sull’ottenimento di risultati specifici. Salgono al potere a causa delle loro comprovata esperienza e conoscenza tecnica di specifiche questioni, non perché fanno parte di un blocco di potere, di cui devono difendere gli interessi anche a scapito dell’ottimizzazione della comunità. Solo in una società gestita in questo modo la produttività, la gestione dei servizi alla popolazione, la crescita e il benessere in generale raggiungono un livello ottimale, o quanto meno prossimo. «La democrazia produce soluzioni, la tecnocrazia produce soluzioni» scrive Parag Khanna.

Cosa rende le tecnocrazie più appetibili delle vecchie democrazie liberali? Il grado di soddisfazione della cittadinanza che legittima il governo dei tecnocrati e il loro modus operandi. Un esempio lampante di ciò è la città-stato di Singapore. L’ex colonia britannica si è evoluta dal porto strategico a città simbolo del progresso asiatico grazie al padre fondatore Lee Kuan Yew il quale, pur tramite mezzi autoritari, ha tenuto insieme una città multietnica e multireligiosa privilegiando la scalata al potere privilegiando la messa a disposizione delle proprie competenze. Questi esperti vengono comunque eletti e soprattutto mantengono sempre stretti rapporti con i cittadini che possono far sentire costantemente il loro grado di soddisfazione, senza dover attendere 5 anni per punire o premiare, grazie a piattaforme apposite e sondaggi. Il problema della paralisi che una prassi del genere provocherebbe viene evitata grazie indicatori di performance usati dagli uffici governativi.

Le società socialiste ben si prestano a sviluppare forme di governo tecnocratiche: non ci sono posizione politiche o economiche da far convergere, i decisori concordano sugli obiettivi di lungo termine da raggiungere. L’unica incognita è il procedimento da metter in atto per raggiungere tali obiettivi: i piani quinquennali richiedono economisti, matematici, ingegneri. L’Unione sovietica ci provò ma fallì a causa della coperta ideologica che rese inutili gli sforzi dei tecnici sovietici. Un altro esempio rilevante è la Cina. Secondo molti osservatori il gigante asiatico si è evoluto in una tecnocrazia grazie alle riforme di Deng Xiaoping: alla purezza ideologica il PCC ha preferito una politica orientata al risultato. Per questo motivo negli ultimi decenni la classe dirigente è stata formata sempre più da esperti tecnici che hanno prima dimostrato le loro doti partendo dal basso. La fedeltà al partito è rimasta comunque un fattore fondamentale per l’ascesa ai vertici. Gli ultimi tre presidenti Jian Zeming, Hu Jintao e lo stesso Xi Jinping hanno ricevuto un’istruzione tecnica.

Numerose sono le critiche mosse. Le principali sono la mancanza di fiducia nelle istituzione democratiche, che degraderebbe il governo degli esperti in un’oligarchia, e la disattenzione verso le questioni di equità sociale. Quest’ultima critica viene mossa dagli intellettuali di sinistra che accusano i tecnocrati di aiutare il capitalismo nell’oppressione delle classe lavoratrici. Gli umanisti criticano l’impostazione di pensiero che analizza le persone e la società nel suo insieme come un meccanismo da far funzionare, appiattendo l’individuo nelle sue molteplice sfaccettature, preoccupazione condivisa dai liberali.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:

Parag Khanna, “Technocracy in America: Rise of the Info-State”, CreateSpace, 2017

What Is A Technocracy?

Technocracy: The answer to failing democracies?