di Lorenzo Balma


La politica dell’appeasement


“Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra” Winston Churchill


Con appeasement, ovvero pacificazione, si intende la politica perseguita da Gran Bretagna e Francia nei confronti della Germania nazionalsocialista tra il 1937 e il 1939. Se il termine suggerisce caratteri concilianti e diplomatici, ironicamente passò alla storia come un termine negativo, giacché fu proprio la mancanza di durezza diplomatica uno dei principali motivi per cui scoppiò la Seconda Guerra Mondiale.

La speranza delle democrazie liberali che scendere a patti con Hitler, assecondandolo sulle sue mire di conquista, avrebbe evitato un secondo conflitto mondiale, si rivelò presto una cieca illusione. Se questo atteggiamento non deve essere letto come sintomo di reale collusione da parte di Francia e Gran Bretagna, come poi avvenne nei regimi collaborazionisti, una cosa è certa: per molti all’interno delle classi dirigenti europee era meglio avere rapporti diplomatici con il Bundestag piuttosto che con il Cremlino. Inoltre, già nel 1937 Lord Halifax, ministro degli esteri britannici, durante il suo viaggio a Berlino mostrò le sue simpatie verso le pretese territoriali tedesche.

L’Europa, l’indomani del trattato di Versailles in cui veniva sciolto l’impero austro ungarico, vedeva nascere nuovi stati con minoranze tedesche tra la popolazione. Hitler, che voleva vendicarsi dell’umiliazione subita a Versailles, cercò di recuperare poco alla volta questi territori.

Il primo passo fu quello di annettere l’Austria alla Grande Germania. Il partito nazista di austriaco nel frattempo (di comune accordo con quello tedesco), incominciava a seminare disordini in città con azioni violente e comizi di piazza che invocavano l’intervento del Furher: iniziava il cosiddetto Anchluss. Le truppe tedesche entrarono in Austria l’11 e il 12 marzo 1938 e a Vienna li accolse una folle applaudente e festante, mentre il giorno dopo una legge proclamava l’annessione al Reich, e veniva successivamente legittimata da un plebiscito il 10 aprile approvato con il 99.70% dei consensi.

Lo straordinario consenso che ebbe l’annessione alla Grande Germania va letto sia in un ottica del profondo senso di appartenenza e di unione nel mondo di cultura tedesca, densamente stratificato tra la popolazione (e sostenuto dalla propaganda), ma ovviamente anche dal clima di strisciante violenza nelle città austriache durante il voto.

In Francia e in Gran Bretagna nessuno prese le distanze sull’accaduto, anzi, in Inghilterra molti non disprezzarono il paragone con l’annessione della Scozia alla corona inglese.

Un altro neonato Stato su cui Hitler aveva mire espansionistiche era la Cecoslovacchia, una democrazia liberale creata sul modello di quelle occidentali e in particolare ambiva occupare la regione dei Sudeti (la Boemia e la Moravia), abitata da tedeschi. Scoppiarono, veicolate dal partito nazionalsocialista, agitazioni interne e la stampa nazista tedesca mostrò a tutto il mondo la necessità di proteggere i tedeschi in terre straniere. I riferimenti al Trattato di Versailles furono continui e la cattiva coscienza di Francia e Gran Bretagna riguardo i problemi di fondo del trattato, fece sì che venissero esercitate forti pressioni al primo ministro cecoslovacco Hacha affinché autorizzasse la formazione di un protettorato nazista sui Sudeti.

Si credette di poter risolvere la questione cecoslovacca, sventando così la minaccia di una nuova guerra, passando tramite l’organizzazione di un tavolo di trattativa, che prese il nome di Conferenza di Monaco, tenutasi il 29 e 30 settembre 1938 e a cui parteciparono Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia, ma con la Cecoslovacchia che dovette attendere il verdetto della conferenza senza nemmeno parteciparvi. Solo i sovietici si proposero di formare un’intesa antitedesca con le potenze occidentali per difendere gli interessi cecoslovacchi, invito che cadde nel silenzio della stampa e delle delegazioni europee. L’ambasciatore inglese a Mosca inviò un telegramma a Londra che esprimeva la volontà di tenere fuori la Russia dalla politica europea e dai concordati internazionali. Questo atteggiamento era viziato da un errore di fondo da parte dei governi occidentali: il pensiero che lo scacchiere internazionale potesse essere ancora solo una questione europea e che sacrificare parte dell’Europa orientale avrebbe salvato tutto il continente. Al suo ritorno da Monaco, Chamberlain atterrò all’ aeroporto di Londra e venne accolto dalla folla esultante, mentre i giornalisti lo immortalarono durante un discorso tristemente famoso in cui esortava gli inglesi a “dormire sonni tranquilli”, mentre sventolava il documento con la firma del Fuhrer.

Nel frattempo continuavano i disordini in Cecoslovacchia fomentati dai nazisti, così che Hitler decise nel marzo del 1939 di convocare il Presidente cecoslovacco informandolo che l’esercito era pronto a intervenire per garantire la pace. Le agitazioni servivano ad Hitler per poter aggirare l’accordo di Monaco che non prevedeva, dopo l’acquisizione dei Sudeti, delle aggressioni non provocate, ed avere quindi un pretesto quasi giustificato per l’intervento. Il 14 marzo 1939 Hacha firmò, sotto minaccia di un bombardamento immediato della Luftwaffe su Praga, un documento che autorizzava l’ingresso dell’esercito nazista in Cecoslovacchia, arrivando fino a Praga.

Il 17 marzo, mentre il mondo guardava immobile, il primo ministro Chamberlain venne convocato e interrogato alla Camera dei Comuni a cui rispose senza paventare la sicurezza di pochi mesi prima, ma nonostante iniziasse a manifestare il dubbio che della Germania non ci si potesse fidare, il governo non prese nessun provvedimento, esattamente come la Francia di Daladier. La “pace ad ogni costo” rimaneva comunque il primo dei pensieri dei governi occidentali, l’unico vero scopo da perseguire, anche a discapito di qualche perdita.

A questo punto il Bundestag svelò un’ulteriore ambizione territoriale: la città di Danzica, assegnata alla Polonia a Versailles. Il regime autocratico militarista polacco aveva tutte le ragioni di credersi amico del Reich, infatti solo a fine gennaio del ‘39 Hitler ribadiva al Bundestag la fratellanza tra i governi e il 26 marzo il governo polacco riuscì persino ad ottenere un pezzo di Cecoslovacchia ormai smembrata.

Il copione fu il medesimo rispetto a quello austriaco e cecoslovacco: il partito nazista a Danzica inizió ad aizzare la folla, a commettere violenze per provocare l’intervento tedesco, che venne prontamente annunciato ai governi interessati.

Il 15 agosto del 1939 i sovietici proposero un’altra alleanza antinazista, (mentre stavano trattando segretamente con i nazisti un patto di non aggressione, per difendere almeno il confine occidentale durante la guerra contro il Giappone in Manciuria),ma ancora senza successo. Troppa era la diffidenza tra le delegazioni, nessuno si voleva fidare di Stalin e Stalin non si voleva fidare di nessuno.

L’azione diplomatica di Francia e Inghilterra si protese fino all’ultimo giorno disponibile, cercando di convincere i polacchi a cedere. I giornali inglesi in quei giorni titolavano che nessuno infatti sarebbe morto per difendere Danzica.

Quando l’ambasciatore inglese a Varsavia ricevette il telegramma di Lord Halifax per cercare di trattare con i nazisti per l’ultima volta, l’esercito nazista era già penetrato in Polonia e procedeva verso Varsavia.

La politica dell’appeasement fu un errore di valutazione e di strategia politica internazionale. Le democrazie europee si privarono della possibilità di trovare nell’Unione sovietica un interlocutore: in maniera diffusa in tutte le cariche di potere, dalla classe dirigente a quella industriale, al clero, tutti erano sicuri che il male peggiore fosse il comunismo. Tutti si illusero di poter preservare l’ordine stabilito dopo Versailles ridisegnando qualche confine territoriale e senza dare nessun pretesto per una guerra come successe a inizio secolo, senza accorgersi che stavano solo preparando il terreno per un’altra.


LETTURE E APPROFONDIMENTI

- “Storia contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi.”, G. Sabatucci e V. Vidotto, Laterza, 2018.

- “Il secolo breve”, E. Hobsbawn, Bur, 1995