di Lorenzo Balma


LA "BABY BOOM GENERATION"


"Alla metà degli anni sessanta le ripercussioni sociali dell'esplosione demografica iniziarono ad essere avvertite ovunque nel mondo"

T. Judt, "Postwar"


Il termine "baby boom generation" apparve per la prima volta sulla stampa statunitense nel 1951 e indicava la generazione dei nati tra il 1946 e il 1964, che sarà poi protagonista delle grandi trasformazioni sociali tra la fine degli anni sessanta e inizio anni settanta. Fu proprio questa la generazione del '68 e dei movimenti giovanili, che si scontrò con il tradizionalismo e il reazionarismo di una società ormai percepita come "anziana".

Alla fine della guerra infatti il tasso di natalità si impennò per due motivi prevalenti: il primo di carattere più pratico, costituito dal ritorno dei soldati dal fronte, il secondo costituito invece dalla prospettiva di pace e stabilità in cui le famiglie avrebbero potuto vivere.

A differenza della prima, la seconda guerra mondiale ebbe un carattere veramente globale, dunque il baby boom post bellico sembrerebbe a primo sguardo, un fenomeno diffuso in egual misura o quasi. In realtà le statistiche riguardanti il numero medio di figli per donna nei vari stati nazionali, mostrano che solo i paesi di popolamento "occidentale", ad esempio Canada, Stati Uniti e Australia, iniziarono a crescere demograficamente nei 20 anni del baby boom (1945-1965). Nei paesi del terzo mondo, come India, Cina e America Latina invece la crescita continuò a crescere a tasso costante (come era stato prima della guerra e come in molti paesi continuerà a crescere anche dopo il baby boom, chiaramente per altri fattori). In Europa invece il picco di nascite fu solo immediatamente successivo alla fine della guerra, mentre in seguito si iniziò a depositare il germe della contrazione delle nascite, il baby bust, che caratterizza ancora oggi il vecchio mondo.

La generazione del baby boom nutriva aspettative e speranze maggiori dei loro genitori che invece avevano fatto e patito la guerra nelle sue conseguenze più immediate. Questa fiducia si tradusse, grazie all'agevolazione dei governi nazionali, nelle politiche di consumo accessibili alle masse, nel pensare ad un sistema di welfare state come naturale proseguimento della stagione dei diritti sia civili che sociali e infine, ma non meno importante, nella scolarizzazione superiore e universitaria come leva di reddito (proprio su quest'onda nei paesi occidentali si abbassò l'età del voto a 18 anni).

Il processo trasversale che sarà alla base di tutto il '68 e che coinvolse attivamente la baby boom generation fu l'aumento esponenziale in quasi tutti i paesi del mondo degli studenti universitari e di studenti che allungavano il loro percorso scolastico superiore. Se nei paesi del mondo industrializzato la scolarizzazione venne usata nella maggior parte dei casi come ascensore sociale, nei paesi decolonizzati o in via di decolonizzazione le strutture universitarie, sedi di formazione dei figli delle élites indipendentiste e dirigenti, rappresentarono un'ulteriore cristallizzazione delle disuguaglianze, segno della differenza che correva tra la crescente terziarizzazione nei paesi sviluppati e il resto del mondo. La disillusione degli studenti in Occidente fu invece segnata dall'inadeguatezza del sistema scolastico e universitario, dalle strutture non adeguate per un'università di massa e dal tradizionalismo dei programmi e del corpo docente.

L'altra grande differenza e frattura tra la generazione precedente e quella immediatamente successiva alla guerra fu costituita da un ripensamento della famiglia, dal metodo e dall'ambiente in cui crescere i figli (che diventerà presto differenza tra società urbana e rurale, oltre che tra primo mondo e resto del globo). Questa differenza può essere sintetizzata dall'espressione coniata dal premio Nobel per l'economia Gary Becker di "capitale umano": le famiglie a reddito medio alto iniziarono a preferire avere meno figli, in modo tale da essere più tutelati sul loro futuro come prima priorità grazie a maggiori "investimenti" sulla loro istruzione.

La novità del nuovo modo di pensare il ruolo dei figli, aprì riflessioni anche in campo pediatrico, soprattutto nell'attenzione ai problemi dell'infanzia. Il best seller "Common Sense Book of Baby and Child Care" del dr. Benjamin Spock (con milioni di copie vendute in tutte le lingue), contribuì in maniera significativa all'affermazione dell'idea che i bambini avessero una moralità e dei diritti da garantire, unendo l'idea che l'età delicata dell'infanzia dovesse essere affrontata con i giusti strumenti, assecondando le inclinazioni della prole, con il fine di accompagnarli ad una crescita equilibrata.

Questo tipo di letteratura dedicata alla famiglia fornì, sempre in Occidente e nelle città in particolare, la spinta che serviva alle madri per un ripensamento del matrimonio e delle sue regole, oltre che fornire alle figlie e ai figli adolescenti la possibilità di ragionamento sulle pratiche sessuali al di fuori di esso, mal tollerate in maniera abbastanza diffusa nella società.

In questo clima di riflessione generale sui ruoli sociali va inserita la grande accelerazione dei diritti delle donne e delle comunità omosessuali. Dal 1945 alla fine degli anni sessanta, le donne conquistarono il diritto al voto in 103 paesi (ponendo le basi per una maggior rappresentanza femminile nei parlamenti nazionali), mentre per la prima volta nel 1976 la storica Natalie Zemon Davis definiva il concetto di "gender", che superava il determinismo biologico in favore di aspetti sociali e culturali storicamente variabili nel tempo.

La baby boom generation, che per prima risentì dell'influenza dei nuovi media e dei nuovi metodi di comunicazione e di scambio di informazioni, portatrice di un nuovo sistema valoriale generato dalla speranza nel futuro e nei diritti, può essere la risposta (parziale, ma non chiaramente totale) e la materia di studio al perchè in quasi tutte le parti del mondo, da Praga a New York, da Parigi a Città del Messico, da Ankara a Dacca, da Berkeley ad Addis Abeba, gli stessi attori sociali, ovvero studenti universitari e liceali appartenenti al ceto medio alto residenti nelle città, si sono mobilitati negli stessi mesi con le stesse rivendicazioni, utilizzando gli stessi metodi di lotta.


LETTURE E APPROFONDIMENTI

- T. Judt, "Postwar. La nostra storia 1945-2005", 2005, Laterza;

- M. Kurlansky, "'68. L'anno che ha fatto saltare il mondo", 2004, Mondadori;

- T. Detti e G.Gozzini, "L'età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017", 2018, Laterza.