di Nikola Hristov

Debiti di guerra e crisi economiche


Un fattore comune di ogni guerra è il debito. Il debito, imposto o dovuto che sia, influenza più di qualsiasi altro fattore la stabilità economica e sociale, il futuro di uno Stato o anche la stabilità di tutto il sistema delle relazioni internazionali. Un caso particolare dove si coglie l'intreccio profondo tra debito e guerra è il caso tedesco alla fine della Grande Guerra e la storia economica è ricca di episodi di indebitamento legati a conflitti bellici.

Con il trattato di Parigi, il 30 maggio 1814, alla Francia sconfitta non venne chiesta alcuna indennità economica, venne solamente costretta ad alcuni sacrifici territoriali. Con grande rammarico della Prussia che nel 1806, con la sconfitta di Jena, venne costretta a versare un’indennità monetaria alla Francia. Il trattamento riservato alla Francia nel 1814 dimostra come le richieste e le imposizioni riservate agli sconfitti non sempre siano guidate da questioni finanziarie, ma persistono anche fattori strategico-politici. Nel 1870, dopo la sconfitta di Napoleone III, la Francia venne costretta a cedere l'Alsazia e la Lorena, ma le venne anche imposto di pagare un’indennità pari a 5 miliardi di franchi oro (oggi 623 miliardi di euro). Con la grande guerra il problema dell'indennità e del debito assunse proporzioni incomparabilmente maggiori per diverse ragioni. Quando fu deciso che la Germania avrebbe dovuto pagare le riparazioni di guerra, tutti i governi dovettero presentare la somma dei danni subiti. Non sorprende che la Francia, dopo l'umiliazione subita 50 anni prima, fosse la più esigente. Louis-Lucien Klotz, ministro delle finanze francese sostenne che il danno subito dal suo paese fosse di 134 miliardi di franchi. John Maynard Keynes, espresse pubblicamente le sue perplessità riguardo le richieste alleate. Keynes era arrivato a Parigi nel 1919 come rappresentante del tesoro britannico, contrastò le clausole d'imposizione del trattato e si dimise per protesta all'impossibilità di modificarle. Nello stesso anno pubblicò un libro, intitolato "Le conseguenze economiche della pace", dove spiegava le ragioni della sua contrarietà e del suo abbandono. Anziché evocare la guerra e le responsabilità tedesche, preferì concentrarsi sulle questioni economiche e in particolare sull'intreccio dell'economia tedesca con le economie degli altri paesi alla vigilia del conflitto. Mostrò come in molti casi la Germania fosse il paese che contribuiva di più allo sviluppo dei partner e dei clienti. Mostrò anche come il sicuro fallimento delle industrie tedesche avrebbe portato alla fame milioni di cittadini tedeschi. Ma queste osservazioni non esercitarono alcuna influenza sulla posizione francese, anzi la regressione dell'enorme potenziale economico e tecnologico tedesco sembrò essere il primo obiettivo francese. Il rigore della Francia, che aveva maggiormente sofferto durante gli anni della guerra, finì per contagiare gli altri paesi creditori. In ultima analisi, la Germania fu costretta a pagare 132 miliardi di marchi oro, in merci o denaro, entro 30 anni. Per Keynes la richiesta di una somma superiore a 2 miliardi sarebbe stata irragionevole.

L'articolo 231 del trattato di pace definiva come unico colpevole del conflitto la Germania. Quest'affermazione, assieme al difficile risanamento dell’economia, ebbe un impatto devastante sul dibattito politico della Germania, una delle conseguenze fu la nascita della questione della “colpa” e il “mito del tradimento”. Tutto ciò fece in modo che nella società tedesca si creasse il sentimento di una punizione ingiusta e finì per conferire legittimità ai corpi franchi e ai movimenti nazionalisti. Prese piede anche la ricerca di un colpevole interno, tanto che il maresciallo Hindenburg, futuro presidente della Repubblica, parlò di "tradimento del fronte interno". L'insurrezione spartachista del 1918 fu assimilata dall’opinione pubblica come uno dei principali motivi della sconfitta e si cercò quindi di fare ricadere tutta la colpa della sconfitta sui spartachisti. Si formò così in Germania un sentimento di rabbia, rancore e desiderio di rivalsa pronto a esplodere in ogni momento. La crisi economica e sociale del 1930 fu la scintilla che scatenò il fuoco.

Con quest’esempio vediamo come il debito di guerra e le crisi economiche sono due fattori fortemente interrelati. Tim Geithner, ministro del tesoro americano durante la crisi (dal 2008 al 2013), ha provato a dare una risposta al perché gli uomini non riescano, da sempre, ad evitare di imbattersi nelle crisi economiche. Nelle sue memorie fa capire che le crisi sono dovute a un misto di avidità, ignoranza e stupidità, caratteristiche eterne e immutabili degli esseri umani, contro cui nulla possono le autorità monetarie e finanziarie. Ciò che traspare dalle sue parole è che oltre alle analisi dedicate alle questioni economico-finanziare, non bisogna mai togliere la centralità del fattore umano da ogni situazione. Il rapporto tra Stato e Stato o tra enti finanziari non differisce per struttura da quello tra uomo e uomo. Oltre a tutte le loro complessità, anche le istituzioni poggiano sulla stessa base sulla quale poggiano tutti gli uomini nel loro piccolo.

La raffigurazione grafica del Leviatano di Hobbes definisce perfettamente il concetto, lo stato è un insieme di uomini che formano un uomo solo, così che anche le relazioni tra Stati sono condotte da un uomo solo formato da un unione di uomini. Quindi anche per questi rapporti tra “giganti” la base è il fattore umano. Senza tralasciare il fatto che la maggior parte delle relazioni tra le persone non sono configurate in modo positivo, anzi sono spesso influenzate da sentimenti come avidità e egoismo. Il peso delle debolezze e delle imperfezioni umane non manca anche nelle questioni economiche.


LETTURE E APPROFONDIMENTI


  • D. Graeber, “Debito. I primi 5000 anni”, Il Saggiatore, 2012