di Giorgia Gabucci

8 settembre 1943: una storia italiana

«Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Con queste parole, alle ore 19:42 dell’8 settembre 1943, il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, nominato il precedente 25 luglio Capo del governo, annunciò alla nazione la fine della guerra contro gli Alleati.

Gli eventi che accaddero nelle ore successive al proclama sono spesso ricordati come “la tragedia dell’8 Settembre”. L’armistizio di Cassibile, infatti, colse piuttosto di sorpresa gli italiani, sia civili che militari. Esattamente come fu una sorpresa anche la repentina risposta tedesca alla resa, nonostante quegli stessi cittadini e soldati stessero assistendo, da più di un mese, al costante e massiccio ingresso di divisioni tedesche dai passi alpini. Tutto ciò era stato frutto della lungimiranza tedesca: i nazisti avevano iniziato ad elaborare piani per l’invasione della penisola – la cosiddetta Operazione Achse – fin dalla destituzione di Mussolini.

Dunque, all’organizzazione e alla presenza della Wermacht e delle SS nel territorio italiano, corrispose un atteggiamento diametralmente opposto dell'esercito regio: la totale mancanza di direttive – che non arrivarono mai – provocò una reazione nei singoli soldati che può essere riassunta in un “si salvi chi può”. Le ritirate delle truppe dai vari fronti, come la resistenza all’occupazione nazista, vennero lasciate nelle mani dei singoli comandanti, piuttosto che ad una ragionata azione del governo e della corona. Le priorità dell’esecutivo, in quei concitati momenti, furono ben altre: non appena si seppe dell’inizio delle operazioni tedesche in Italia, il Maresciallo Badoglio e il Re Vittorio Emanuele III fuggirono a Brindisi, mettendosi al riparo nel territorio già liberato dagli Anglo-Americani. Il risultato della disorganizzazione governativa fu la deportazione di circa seicentomila soldati italiani nei campi di concentramento tedeschi.

Seppure, nel complesso, i risvolti del proclama furono un disastro e molti fascisti furono pronti a riprendere le armi e a rimettersi agli ordini tedeschi, si possono ricordare eventi di grande impavidità, come furono le quattro giornate di Napoli o l’attentato di Via Rasella. Ma parlando di episodi molto più vicini al momento del proclama, si deve nominare l’episodio meno conosciuto della resistenza a Porta San Paolo.

Il 10 Settembre 1943 la 21° divisione di fanteria Granatieri di Sardegna si oppose strenuamente all’offensiva tedesca a pochi chilometri da Roma, sulla via Ostiense. La resistenza dei militari, che il giorno prima avevano rifiutato di consegnare le armi ai nazisti, riuscì ad evocare anche nei civili uno spirito di insurrezione armata, una forte volontà di difendere la capitale e cacciare l’invasore. La battaglia fu, in realtà, una lotta concitata, ma molto breve e impari: al costo di seicento militari e duecento civili italiani, i nazisti riuscirono ad attraversare la Porta alle 17:00 dello stesso giorno, mentre già alle 16:00 era stata firmata la resa di Roma.

L’8 settembre rimane una storia italiana, nel senso che in quell’evento si ritrovano molte delle caratteristiche che, tanto a quell'epoca quanto ancora oggi, vengono imputate alla popolazione e ai governi della penisola, e non solo quelle puramente stereotipiche e negative: l’8 settembre mostrò una popolazione lasciata a sé stessa che, nonostante fosse stata piegata da anni guerra, riuscì a dimostrare la sua capacità di resistenza e auto organizzazione, in particolare proprio a Roma, che rimarrà per i nazisti, nelle parole di Eugene Dollmann “la capitale che ci ha dato più filo da torcere”.