di Nikola Hristov

21 GENNAIO 1921. LA NASCITA DEL PCI


Se da sempre la destra italiana appare relativamente compatta nelle sue sfumature, si ha tutt'altra impressione della sinistra, oramai divenuta simbolo di scissione per antonomasia. Guardando alla storia italiana dall'unità fino ad oggi, esiste una data fondamentale per comprendere le innumerevoli divisioni della sinistra: il 21 gennaio 1921.

La politica europea del primo dopoguerra è tutt’altro che una politica facile. Economie devastate, il problema dei reduci, la massificazione della politica e dei partiti, la distruzione dell'assetto geopolitico del secolo precedente e l'eco della rivoluzione russa che si fa sempre più forte. L'instabilità domina in ogni settore della società e la precarietà ha fortemente radicalizzato le istanze sociali. All'interno dei partiti socialisti le fazioni rivoluzionarie diventano sempre più folte e rilevanti. Il caso italiano e quello tedesco sono i più emblematici. In Italia il PSI, nato nel 1895, è il partito più imponente negli anni del biennio rosso. Ma, al suo interno, il partito è tutt'altro che monolitico: tre correnti si fanno la guerra: quella "riformista", guidata da Filippo Turati, quella "unitaria", guidata da Giacinto Serrati e quella "rivoluzionaria" - o "comunista" - guidata dai cosiddetti "torinesi".

L'apporto che il gruppo torinese del PSI porta alla fazione più rivoluzionaria è cruciale. Torino non è più capitale d'Italia da un cinquantennio, ma come per controbilanciare il declassamento politico è divenuta la vera capitale italiana del lavoro. Il reddito industriale della città cresce a dismisura, passa da 25 milioni nel 1900 a 1000 milioni nel 1927. La FIAT le fa da padrone, è lo stabilimento industriale più grande ed è la prima fabbrica che applica il modello fordista ai propri impianti e produzione. È proprio in questo contesto che nasce e si forma la fazione degli "avanguardisti" del partito socialista: Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Angelo Tasca e Umberto Terracini. I quattro, al tempo ancora studenti, fondarono il settimanale Ordine Nuovo, attraverso il quale sostennero e guidarono le battaglie della classe operaia torinese. A Torino l'idea di coscienza e lotta di classe fu portata ad estreme conseguenze: in Italia è forse il caso più paradigmatico, il luogo in cui un'industrializzazione avanzata aveva prodotto il sentimento di classe profondo. Era a Torino che il conflitto di classe si mostrava nella sua forma più pura.

Tuttavia, le condizioni interne del paese non furono l'unica causa che portò alla nascita del PCI, ma le ingerenze esterne ebbero un ruolo cruciale. La pressione che Mosca esercitava sul PSI, chiedendo prima, e imponendo poi, la radicalizzazione su istanze rivoluzionarie di tutto il partito, contribuì notevolmente a esasperare la spaccatura interna. La rivoluzione russa, in un primo momento, diede grande slancio ai partiti socialisti e alle masse proletarie europee. Il sogno socialista sembrò davvero realizzabile: "fare come in Russia" diventò il motto più comune. Ma la rottura era dietro l'angolo. Lenin, cosciente della posizione di dominio che esercitava e forte dell'euforia rivoluzionaria, ricostituì l'internazionale comunista (Komintern) nel 1919. Il peso dei bolscevichi russi all'interno del Komintern era ovviamente preponderante. A tutti i partiti socialisti vengono imposte delle condizioni per aderirvi: in primis, cambiare nome in "partito comunista"; poi, espellere i riformisti; infine, accettare le "ventuno condizioni".

All'interno del PSI soltanto l'ala estremista, quella dei torinesi guidati da Gramsci, accettò a pieno titolo le condizioni imposte da Mosca. I conflitti interni si fecero sempre più accesi. I riformisti non accettavano ingerenze esterne e, secondo Turati, il gradualismo era l'unica strada percorribile per arrivare al socialismo. Gli "unitari" tenevano un piede in due scarpe, ma cedettero a favore della fazione riformista. Seppur contrari alla scissione, non vollero seguire i diktat di Mosca e tentarono una terzia via per mantenere un partito unitario. Gramsci, maggior esponente dei comunisti, invece non aveva dubbi: il momento di fare la rivoluzione era giunto, bisognava soltanto sfruttare la propulsione favorevole che la rivoluzione d'ottobre stava esercitando sulle masse.

Così, per decidere la linea da seguire, venne indetto un congresso per il 21 gennaio 1921. I delegati di tutta Italia si riunirono al teatro Goldoni di Livorno per sancire definitivamente cosa si dovesse fare di questo Partito Socialista. La maggioranza dei delegati votò a favore degli "unitari" di Serrati (98.028 voti); a seguire i comunisti (58.783) e, ultimi, i riformisti (14.695 voti). La divisione da percepita diventò reale e tangibile di fronte all'esito della votazione. I comunisti scelsero di abbandonare la sala e, guidati da Gramsci e Togliatti, si recarono in un altro teatro, il San Marco, dove diedero ufficialmente vita al Partito Comunista d'Italia. E, da questa prima scissione iniziò una storia nuova, una storia di divisioni, rotture e separazioni che perdura tutt'oggi.


Letture e Approfondimenti :


  • “La dannazione: 1921. La sinistra divisa all'alba del fascismo" (Ezio Mauro, Feltrinelli 2020)