la somalia italiana

di Lorenzo Bonaguro

La storia del colonialismo italiano in Africa viene spesso trattata in maniera superficiale e sbrigativa nei libri di testo, con la sola eccezione dell’aggressione fascista al Regno d’Etiopia. Un esempio delle storie trascurate è quella relativa al colonialismo italiano in Somalia. Un tempo nota come Banaadir, l’area costiera del Corno d’Africa fu oggetto delle attenzioni imperialiste del nostro paese fin dalla metà dell’Ottocento. L’atteggiamento particolarmente assertivo di questi anni fu in gran parte dovuto alla politica estera del Presidente del Consiglio Francesco Crispi. Il territorio somalo è per la gran parte desertico, con scarse risorse naturali, ma ciò che interessava al Regno d’Italia, e non solo, erano i suoi porti: controllandoli era possibile tenere sotto scacco il Golfo di Aden e il Canale di Suez.

In una prima fase il dominio italiano si caratterizzò come un protettorato. Infatti, i sultanati somali cercarono l’appoggio degli italiani per avere un sostegno esterno nelle loro lotte intestine. Fondamentale fu l’accordo di protezione concluso dal Regno di Italia con il Sultanato di Obbia nel 1889: il dominio italiano era iniziato. Infatti, a livello locale, il potere rimase in mano ai nativi, che però accettarono la preminenza dell’Italia in materia militare e di politica estera. In quegli stessi anni furono stipulati accordi simili con altri sultanati come quello di Migiurtina, storico rivale di Obbia. Di grande importanza fu anche l’accordo commerciale con Zanzibar, che concesse il pieno controllo dei porti agli italiani per venticinque anni. In questo periodo, il ruolo ricoperto da Roma fu limitato agli aspetti di politica internazionale, mentre l’influenza delle compagnie private italiane fu preminente.

Le cose cambiarono drasticamente nel 1905. La compagnia del Benadir, che fino a quel momento aveva gestito la presenza italiana, fu accusata d’essere soltanto una perdita economica per lo Stato e di non essere capace d’ampliare la presenza italiana oltre le città costiere. Privata della gestione della colonia, venne retrocessa, il 14 aprile 1905, a semplice soggetto di diritto privato e la colonia passò nelle mani dello Stato italiano.

Il nuovo governo coloniale aveva vasti poteri: controllava vari aspetti dell’economia dalle esportazioni ai tassi di cambio – venne introdotta la rupia somala, sostituita dalla lira somala, entrambe gestite da Roma – tasse, e il controllo della polizia. Inoltre ai soldati italiani furono affiancate truppe di irregolari reclutati fra i locali che si distinsero durante la repressione di rivolte e asservimento di sultanati recalcitranti.

Con l’avvento del fascismo si intensificarono gli sforzi di controllare la regione e di sfruttarla al meglio, in particolare dal punto di vista agricolo. Grande ruolo fu ricoperto dal governatore fascista Cesare Maria De Vecchi, il quale riuscì per la prima volte a imporre un reale controllo sulle regioni interne. A seguito del successo nella Guerra d’Etiopia, l’intera regione venne riformata dal punto di vista amministrativo. La Somalia divenne un governatorato, suddiviso in otto commissariati, e fu unita ai territori eritrei per formare l’Africa Orientale Italiana. Negli anni ’30 furono fatti ulteriori notevoli sforzi per lo sviluppo dell’economia locale, come la costruzione di ferrovie; tutti questi tentativi furono alla fine fallimentari.

Durante la guerra, l’esercito italiano riuscì a conquistare i territori britannici in meno di un mese creando così un'unica colonia estesa a tutta la popolazione somala, la “Grande Somalia”. La situazione durò ben poco: la controffensiva inglese, con il sostegno dei locali, spazzò via qualunque tentativo di difesa da parte del Duca Amedeo d’Aosta.


LETTURE E APPROFONDIMENTI:

  • Michele Pandolfo, “La Somalia coloniale: una storia ai margini della memoria italiana, https://doi.org/10.4000/diacronie.272

  • Matteo Gugliemo, "Il Corno d'Africa. Eritrea, Etiopia, Somalia", il Mulino, 2013