La guerra del Biafra

ANDREA BERNABALE

LA GUERRA DEL BIAFRA

Sin dai tempi della colonizzazione britannica, la vasta e popolosa Nigeria fu governata come tre separate regioni a causa delle loro specificità e differenti etnie. A ogni regione corrispondeva infatti un'etnia dominante: gli Igbo nella regione orientale, i Yoruba in quella occidentale e gli Hausa-Fulani nel nord. Tali differenze e divisioni sono fondamentali per comprendere le origini della guerra del Biafra.

La Nigeria divenne dunque indipendente nel 1960 come federazione costituita da queste tre regioni e, dal momento che la parte settentrionale costituiva la fetta più popolosa, il governo federale passò proprio sotto le mani dei "settentrionali", ovvero gli Hausa e gli Yoruba.

Nel gennaio 1966, un gruppo di militari Igbo prese il potere con un colpo di Stato, i leader politici Yoruba e Hausa vennero uccisi e il generale musulmano di etnia Igbo Aguiyi-Ironsi assunse la guida del Paese. Da qui il caos.

Ne scaturì un contro-golpe di Stato organizzato dagli ufficiali "settentrionali" e il colonnello cristiano Yakuba Gowon assunse le redini del potere; Ironsi e i suoi seguaci furono assassinati così come 10mila civili di etnia Igbo presenti nel nord come minoranza. Un milione e mezzo trovarono invece rifugio nella regione orientale.

La regione orientale, a maggioranza Igbo e guidata ora da Emeka Ojukwu, decise tuttavia di non riconoscere il governo federale di Gowon e il 30 maggio 1967 dichiarò la secessione della regione orientale del Biafra, che divenne dunque “Repubblica del Biafra” con capitale Enugu. Di rimando, nel luglio 1967, Gowon annunciò una campagna militare contro il governo secessionista decretando l'inizio della guerra civile nigeriana. La neonata Repubblica del Biafra - riconosciuta solo da Tanzania, Haiti, Gabon, Costa d'Avorio e Zambia - venne invasa dall'esercito regolare nigeriano e, tra il 12 e il 14 luglio, le città di Nsukka e Garkem furono riconquistate.

Questo conflitto si distinse da subito per la brutalità e connotazione anarchica: la guerra assumerà infatti le caratteristiche di un lungo assedio quando le truppe nigeriane, conquistati i porti principali, stabilirono un blocco completo navale, terrestre e aereo di armi, medicinali e rifornimenti, volto ad affamare la popolazione ed in netto contrasto con il diritto internazionale. Gli stessi volontari della Croce Rossa furono attaccati dall'esercito nigeriano.

Non mancarono le accuse di genocidio, mosse dai secessionisti, dalla comunità internazionale e delle organizzazioni umanitarie nei confronti del regime di Gowon.

Nonostante tali accuse e le atrocità trasmesse nei telegiornali di tutto il mondo, nel dicembre 1969, la Nigeria intraprese l'offensiva finale che avrebbe concluso la guerra. Sotto la guida del colonnello Obasanjo - futuro presidente della repubblica -l'esercito conquistò l'ultima roccaforte del Biafra, la città di Amichi. Il leader secessionista Ojukwu fu costretto all'esilio in Costa d'Avorio, lasciando a Philipp Effiong il compito di gestire i negoziati di pace.

Il Biafra, privo del necessario supporto militare ed umanitario, uscì dal conflitto vinto, devastato e umiliato tanto nella popolazione quanto nel territorio. La differenza di mole tra i due eserciti (250mila i soldati a disposizione dell'esercito nigeriano contro i 30mila ribelli secessionisti del Biafra) permise il facile annientamento della regione orientale in un conflitto che registrò un mostruoso numero di vittime, ovvero circa 3 milioni. Nonostante la politica di riconciliazione nazionale di Gowon durante gli anni '70, gli Igbo continuarono a vivere nel proprio paese in una condizione di discriminazione e, di conseguenza, seguirono a sostenere il MASSOB, il movimento per la creazione dello Stato sovrano del Biafra.