We are who we are

di Carolina Cominelli

Somewhere in Northern Italy vi è una storia che tratta di temi giovanili importanti e complicati, ma con una leggerezza tale da non cadere mai nella volgarità o nel banale, normalizzando ciò che troppo spesso viene respinto dalla società odierna.


Da pochi mesi abbiamo assistito al debutto seriale di Luca Guadagnino, nonché regista di lungometraggi come Call me by your name e Suspiria, dove in we are who we are, un intimo ritratto adolescenziale, ci trasporta all’interno di una base militare americana nei pressi di Chioggia, che ricrea perfettamente il clima statunitense e multietnico.

All’interno, un gruppo di ragazzi sarà protagonista di un percorso personale di crescita che li porterà ad accettare nuove sensazioni e lentamente scoprire lati essenziali della propria personalità, che non meritano di essere nascosti o repressi.

Assistiamo ad un viaggio attraverso gli occhi di ogni singolo adolescente e siamo in grado di ascoltare e accogliere diversi punti di vista. Guadagnino, infatti, non si limita ad offrici un prodotto puramente commerciale, bensì se ne allontana completamente, decidendo di narrarcene uno che dà spazio alla libera interpretazione di noi spettatori, trovandoci circondati da sensazioni contrastanti, che si fanno spazio nelle anime di ogni singolo personaggio.

A capo di questa ricerca così intima e soggettiva, troviamo Fraser (Jack Dylan Grazer) e Caitlin (Jordan Kristine Seamón), due adolescenti intrappolati in un contesto che non gli permette di essere in equilibrio con se stessi.

Apparentemente incompatibili, si scopriranno in sintonia nel loro piccolo mondo, condividendo così sensazioni, nuove scoperte, piccoli segreti e desideri nascosti.

In questa continua esplorazione in cerca della propria collocazione nel mondo, realizziamo con loro, che a quattordici anni, è normale sentirsi confusi sul proprio orientamento sessuale, voler sperimentare per poi rendersi conto, strada facendo, che il percorso intrapreso può essere modificato se non rispecchia ciò che vogliamo essere, identificandoci in ciò che ci fa sentire liberi e tenendoci lontani dagli stereotipi che la società impone.

Attraverso una regia ed una fotografia eleganti, attente ai dettagli, agli sguardi, ai sospiri e nel contempo condizionata da diverse emozioni, riusciamo anche noi a crearci un piccolo spazio in questa storia, empatizzando con i personaggi e rispecchiandoci talvolta nelle loro scelte.

Una menzione speciale va anche alle musiche, che spaziano tra generi come: l’indie italiano, il pop americano ed una melodia al pianoforte cantata dalla bravissima Francesca Scorsese.

Una canzone in particolare però spicca fra tutte, nel suo testo ritroviamo il viaggio interiore che Fraser e Caitlin hanno compiuto, che terminerà sotto le luci pallide di una Bologna notturna.

‘Time will tell’ dei Blood Orange, infatti, ci ricorda che col tempo tutto prenderà una forma ed un senso e che nessuno ci sta affrettando a prendere decisioni importanti, perciò, non ci resta che vivere e goderci il momento. Un vero e proprio carpe diem.

‘Right here, right now’ è la frase di apertura di ogni episodio, che Guadagnino ha deciso di mostrare per ricordarci che tutti i ‘grandi’ dubbi e preoccupazioni che ogni giorno, come adolescenti, ci affliggono, non sono altro che piccole tessere di quel puzzle che è la vita. Perché a questa età, c’è ancora tempo per diventare ciò che si vuole, come per Jonathan, ottimo militare, una rockstar, per capire cosa ci fa star bene e cosa invece ostacola il nostro buon umore.

Forse, in realtà, la nostra esistenza è vana e non lascerà un grande impatto su questo mondo, che si cela dietro a tanti segreti. Ma abbiamo compreso che è inutile fingere di essere ciò che non si è, perché siamo quello che siamo e al mondo deve andare bene così.