Le leggi di Noè nella storia

Capitolo 4

Le leggi di Noè nella storia

Le leggi di Noè nella storia

Nei periodi durante i quali il popolo ebraico visse in Terra Santa, non venne meno alla sua responsabilità di insegnare ai gentili i Sette comandamenti. Nel corso dei 410 anni in cui ci fu il primo Tempio e dei 420 del secondo, se i gentili che volevano abitare in Terra di Israele accettavano le leggi noachiche, avevano il diritto di entrare nel Sacro Tempio e offrire sacrifici a D-o (Zaccaria 14, 17-18)38.

Quanto alle altre nazioni, si ponevano però molte difficoltà. Benché autorevole e influente, particolarmente ai tempi di re Salomone, la Terra di Israele era soltanto un paese in un mondo abbastanza grande e l’osservanza delle leggi noachiche nei paesi circostanti era rara.

Nei paesi a cultura ellenica però, circa duecento anni prima della caduta del secondo Tempio, sorse un movimento volto al superamento della cultura greca e alla conoscenza della Torà per trovarvi illuminazione. I membri di tale movimento si moltiplicarono, e formarono ampie comunità raccolte intorno alle sinagoghe un po’ in tutto il Medioriente e l’area mediterranea. Ai tempi della nascita dell’Impero romano, avevano assunto tanta importanza che il governo di Roma diede loro uno statuto speciale rafforzandone così l’influenza. Gli appartenenti a queste comunità venivano chiamati i “timorati di D-o”, yiré shamaìm in ebraico; in Italia e in altre regioni sotto il dominio romano l’appellativo corrispondente era metuentes mentre nei territori di lingua greca, dove erano di gran lunga più numerosi, phoboumenoi (timorati dellUnico) o theosebei (i fedeli di D-o).

Una tavoletta ritrovata ad Afrodisia in Turchia nel 1976, scritta in onore di persone che si erano distinte per le loro offerte in opere di carità, ne riporta i nominativi suddivisi in due gruppi distinti: uno è formato da ebrei, l’altro da greci i cui nomi sono preceduti dalle parole “ed anche i seguenti ‘timorati dell’Unico’”.

Un’iscrizione simile è stata ritrovata nella sinagoga di Sardi in Asia Minore, ma con tre gruppi di nomi: quello di ebrei di nascita, di convertiti all’ebraismo e di osservanti delle Sette leggi noachiche. I “timorati” sono menzionati frequentemente dai commentatori e dagli storici di Roma, che ne parlano spesso con sarcasmo e tono di scherno per la loro vicinanza al mondo e alle idee ebraiche.

Giuseppe Flavio riferisce di come ogni città siriana da cui l’imperatore aveva espulso gli ebrei (verificare), conservasse una popolazione di greci loro “simpatizzanti”. Egli descrive anche l’ampia comunità di non ebrei legata alla sinagoga di Antiochia, che era ai tempi una delle più grandi città del mondo. Plutarco, nella sua Vita di Cicerone, racconta che il grande uomo di legge difese un romano accusato di aver abbandonato il culto pagano a favore di “pratiche giudaiche” dimostrando che l’imputato non si era per questo convertito all’ebraismo.

Gli scrittori Petronio e Giovenale prendevano di mira, nelle loro satire, i non ebrei che “recitano la parte dell’ebreo” schernendoli per la loro riluttanza verso la circoncisione anche dopo aver accettato la fede ebraica. Fonti talmudiche parlano di un re non ebreo di nome Lemuele che fu rimproverato da rabbi Chanina, per il suo comportamento, con l’ammonizione “tuo padre era un timorato del Cielo”. Gli osservanti delle leggi noachiche erano spesso persone colte, a volte appartenenti all’aristocrazia romana, e sopportavano i concittadini pagani con molta pazienza rispondendo ai loro attacchi con grande raffinatezza intellettuale. Si pensa che l’imperatore Antonino – legato da stretta amicizia a Rabbi Yehudà Hanassì, il compilatore della Mishnà – avesse intessuto la relazione con il grande maestro grazie alla sua adesione alle Sette leggi.

Giuseppe Flavio cita un certo Izate, re di Adiabene, che intraprese la strada della “conversione” all’ebraismo, senza circoncisione, dopo una serie di discussioni con un ebreo di nome Anania che viveva nel suo regno, in Mesopotamia.

Si dice spesso che “il dieci per cento della popolazione dell’impero” fosse ebraica ma l’affermazione non è esatta, poiché la maggior parte di quelli che vengono considerati ebrei erano in realtà non ebrei seguaci delle leggi noachiche, che avevano rigettato il paganesimo e creato un legame con la Torà acquisendo in tal modo uno statuto a parte.

Furono tempi in cui avvenne una grande elevazione morale nel mondo non ebraico e in cui l’assurdità dei vecchi culti pagani diventò palese agli occhi di molti. Un progresso simile si diffuse anche nell’Impero persiano e raggiunse terre lontane come l’India e la Cina. Fu allora che la religione indù si allontanò dall’idolatria per riconoscere un unico Creatore e vi si diffuse il buddismo, portando la cultura dell’Estremo Oriente a livelli mai conosciuti prima.

Mentre si svolgevano questi eventi, lo Stato romano divenne il teatro di un forte conflitto fra i non ebrei osservanti delle leggi noachiche e i primi esponenti della Chiesa cristiana, che volevano fondare una nuova religione fondata su tematiche ebraiche ma che riaccoglieva nel suo seno elementi del paganesimo greco. La divisione fra le due tendenze si manifestò allora a tutti i livelli, e quindi anche sul piano politico. Al suo apice, il conflitto condusse alla breve ma esemplare ascesa al trono dell’imperatore Giuliano, passato alla storia come l’ “Apostata”. Aveva appena ventiquattro anni quando divenne imperatore nel 361 e.v., deciso a dare una base morale al governo.

Era cugino dell’imperatore Costanzo II e nipote di Costantino; cresciuto lontano dalla corte di Roma, la sua educazione si basava soprattutto sulla conoscenza della filosofia greca. Benché fosse considerato estraneo alla politica imperiale, o forse proprio per questo, Costanzo ne riconosceva l’acuta intelligenza e gli affidò il comando dell’esercito nella guerra contro le tribù situate nell’area dell’attuale Germania. Al di là di ogni previsione, egli ebbe successo in battaglia e suscitò così la gelosia dell’imperatore, che gli revocò il comando.

Gli amici di Giuliano a Roma, quando lo seppero, si sollevarono contro Costanzo e proclamarono imperatore il giovane. Prima che la situazione potesse degenerare in guerra civile, Costanzo morì lasciando Giuliano come legittimo successore. Il novello imperatore non aveva vincoli con nessuno dei vari poteri romani, la cui avidità e arroganza stavano lacerando il tessuto sociale dello Stato. La sua formazione filosofica lo aveva condotto alla conoscenza della cultura ebraica e delle Sette leggi noachiche. Malgrado le pressioni dei vescovi cristiani che volevano che la loro fosse riconosciuta come unica dottrina ufficiale, Giuliano proclamò la libertà di religione come atto costituzionale. Permise a tutti di praticare il proprio culto e quindi anche ai pagani, ma la sua politica di governo si basò su valori spirituali tesi ad elevare il tenore di vita e ad andare oltre la competizione fra le varie fedi. Ridusse le tasse che opprimevano i lavoratori, contenne l’inflazione impedendo il rialzo dei prezzi e mantenendo i flussi dell’oro entro i confini dell’impero; governò con il sostegno dei “timorati di D-o”, che ne rafforzarono il prestigio facendo in modo che il tessuto sociale divenisse più coeso e la qualità della vita migliore.

Ben presto, però, la classe senatoriale si sentì minacciata nei suoi privilegi e la Chiesa la considerò una potente alleata per avere la meglio sulle altre religioni. Si sparse ad arte la voce fra i poveri secondo cui gli ebrei e i loro amici stavano progettando di sfruttarli peggio di prima, e a favorire queste dicerie furono proprio i burocrati che Giuliano aveva preposto ad amministrare le riforme. Dopo appena due anni, la posizione dell’imperatore era in pericolo; malgrado la sua elevatezza e gli sforzi per la moralizzazione della società, l’impero era troppo instabile e facilmente preda del caos.

Partito per una spedizione contro l’Impero persiano decisa al fine di rafforzare i confini orientali, fu colpito da una freccia durante una marcia di ripiegamento e morì. Cadde così l’ultimo sostenitore ufficiale delle Sette leggi nel mondo antico, uno dei pochi uomini giusti che ebbe il coraggio di sfidare i pregiudizi e l’arroganza del potere.

Questo avveniva nel 363 e.v. Circa trecento anni prima, Gerusalemme con il suo Tempio era caduta nelle mani dei romani ed era iniziato l’esilio della maggior parte degli ebrei, la diaspora in tutto il mondo. Con il passare degli anni, divenne sempre più difficile per loro insegnare le Sette leggi ai gentili anche a causa dell’affermazione del cristianesimo, che si presentava loro come alternativa accettabile.

Con la caduta dell’Impero romano e l’avvento dei regni medievali, la situazione per gli ebrei si fece anche più ardua, soprattutto quando nel XIII sec. fu istituito il tribunale dell’Inquisizione contro i gentili che cercavano di purificare il cristianesimo dagli elementi pagani. Da ricordare a tale proposito il movimento dei Catari nella Francia meridionale e degli Hussiti e Taboriti in Boemia, che furono sterminati dal potere inquisitoriale; in tempi più recenti, nel XIX sec., il movimento dei Subbotniki in Russia fu perseguitato dagli zar che li accusavano di “giudeizzazione”.

Comunque già nel Quattrocento, con lo sviluppo dell’Umanesimo, i testi ebraici, che nel Medioeveo venivano bruciati pubblicamente, furono riscoperti da studiosi come Marsilio Ficino e soprattutto Pico della Mirandola che scrisse il De homini dignitate. Poi più tardi in Olanda, dove avevano trovato rifugio molti ebrei fuggiti dalla Spagna, i rabbini poterono discutere con eminenti artisti, fra cui Rembrandt, e studiosi questioni di legge e filosofia della legge cominciando a fondare una tradizione legale che finalmente si svincolava da quella ereditata dal Medioevo. Fra questi eminenti studiosi spiccano il giurista inglese John Selden (1584-1654) e il filosofo olandese Hugo de Groot (1583-1645), famoso con il nome latino di Grotius.

Selden era un ebraista, conosceva l’ebraico ed ebbe perciò modo di leggere le fonti ebraiche in lingua originale accettando l’autorità morale dei rabbini. Scrisse una esposizione completa delle leggi noachiche intitolata De juri naturali et gentium, juxta disciplinium ebraorum. Ne riportiamo qui un piccolo stralcio:

La sesta legge dei noachidi... riguarda l’istituzione di tribunali di giustizia secondo l’ordine che ne dà il Talmud39.

La settima è la proibizione di cibarsi delle “membra di animali vivi”, che vieta la crudeltà contro gli animali.

Grotius getta le basi del diritto internazionale moderno nello scritto De jure belli ac pacis, dove cita ampi stralci dei maggiori testi rabbinici come fonti di moralità universale. Egli scrive:

Nelle fonti ebraiche sono descritti “i giusti fra i gentili” secondo il Talmud, coloro i quali si impegnano ad osservare le leggi date ad Adamo e Noè e si astengono dall’idolatria, dal versamento di sangue e da altre azioni che saranno menzionate più avanti.

In tal modo le Sette leggi sono portate a costituire il fondamento della vita dei non ebrei, dando così un contributo essenziale alla formazione del corpus giuridico che regola oggi il mondo occidentale. Questa assimilazione negli stati moderni della legge ebraica spianò la strada alla futura emancipazione degli ebrei e alla loro uscita dai ghetti; i rabbini olandesi ottennero la riammissione in Inghilterra degli ebrei e iniziò così quel processo che ha portato alle condizioni odierne di vita in Europa.

Con l’emancipazione da una parte e la nascita degli Stati Uniti d’America dall’altra, che si fondava sulla proclamazione di diritti uguali per ogni individuo, i non ebrei cominciarono a chiedere agli ebrei che vivevano fra loro: perché mantenete così tenacemente la vostra identità? quali interessi servite? perché non ve ne andate se non vi sentite appartenenti a tutti gli effetti al nostro paese? e a quale scopo siete qui se il vostro destino è di andarvene? Erano (e forse sono ancora) questioni leggittime poiché gli ebrei, usciti dai ghetti, non si distinguevano più così facilmente dai loro concittadini gentili; ma non era semplice rispondervi. Fra coloro che ci provarono, troviamo nel XIX sec. il rabbino tedesco Samson Rafael Hirsch, che era il capo di una vasta comunità e raccolse molti non ebrei per studiare insieme a loro le Sette leggi e scrivere su di esse libri e lettere. Un altro esempio ci è fornito dall’importante corrispondenza che avvenne fra un giovane francese di nome Aimé Pallière e il rabbino livornese Elia Benamozegh, che ci fornisce una chiave di lettura illuminante sulle Sette leggi e sul ruolo degli ebrei nel mondo, e che prenderemo in considerazione nell’ultima parte di questo libro.

5 Il punto di vista della Cabala ›