La missione di Abramo
Capitolo 18
La missione di Abramo
La missione di Abramo
Nella parashà di Lech Lechà leggiamo:
Il Signore disse ad Abramo: “Va’ via dal tuo paese, dal tuo parentado, dalla tua casa paterna, al paese che ti indicherò. Farò di te una grande nazione… si benediranno in te tutte le famiglie della terra. Abramo… prese con sé Sarai sua moglie, Lot figlio di suo fratello, tutti i beni che possedevano e le persone [lett. “le anime”] che avevano fatto a Charan (Genesi 12, 1-5).
D-o promette dunque ad Abramo che sarà una benedizione per tutte le nazioni della terra, non solo per il popolo che sarebbe disceso dalla sua stirpe. Inoltre, l’espressione “le anime che avevano fatto a Charan” viene interpretata dai maestri come un riferimento ai seguaci che si erano raccolti intorno ad Abramo durante il suo soggiorno in questa città. Più avanti (Genesi 20, 7), D-o si rivolge così ad Abimelec: Ora restituisci la donna di quest’uomo, poiché è profeta [nabi], pregherà per te e vivrai. Da questo passo apprendiamo che, fra i pagani, Abramo era considerato un profeta e lo era appositamente per loro: a chi altri, infatti, avrebbe potuto rivolgere la sua predicazione? In Genesi 23, 6, i figli di Cheth (gli Ittiti) lo chiamano nesi ‘Elohim, principe di D-o. È evidente che tale stima e venerazione da parte di pagani verso un uomo che professava il più puro monoteismo, potevano andare solo a chi avesse avuto successo nel comunicare la propria fede.
Si sa che D-o cambiò il nome di Abramo da Avram, che significa “padre eccelso”, in Avraham, “padre di una moltitudine di nazioni”. Secondo Maimonide, questa promessa di paternità significa che il patriarca ha insegnato il monoteismo ai pagani e che tutte le nazioni della terra sono destinate a entrare nella sua famiglia spirituale. Anche i più antichi maestri del Talmud danno la stessa interpretazione. Essi predicono che il proselito della porta dirà, come l’ebreo, recando al Tempio le primizie dei suoi campi: Guarda, o D-o, dall’alto della tua celeste dimora e benedici il tuo popolo di Israele e la terra che tu ci hai dato, come avevi giurato ai nostri padri.
Del resto, la promessa si ricongiunge con la benedizione già citata in apertura di paragrafo: si benediranno in te tutte le famiglie della terra. Comunque lo si intenda, questo testo resta la prova che il pensiero ebraico abbracciava sin dall’inizio l’orizzonte di tutta l’umanità e sembra affacciarsi l’idea di una fraternità di cui Israele avrebbe dovuto essere il centro. La Torà, del resto, ci mostra come Abramo abbia inteso questa benedizione: altrimenti, come si spiegherebbe la sua intercessione presso il Signore a favore di Sodoma? Inoltre nel Salmo 110, 4, è scritto: L’Eterno ha giurato e non si pentirà. Tu sei sacerdote per sempre secondo la parola di Melchisedeq. Secondo il Midrash Shocher Tov, il salmo è un inno di gratitudine che il Signore dedicò ad Abramo, il quale ha insegnato al mondo a riconoscere D-o. Rav Benamozegh estende così questa spiegazione in Israele e l’umanità:
Quanto a Melchisedeq, non può che essere il re di Salem, il quale ha avuto rapporti con l’ebraismo soltanto attraverso Abramo, e la qualifica di sacerdote, coen, evocata dal salmo è quella con cui la Scrittura qualifica il re pontefice84. Questa qualifica è passata di pieno diritto ad Abramo... Se l’idea che la Bibbia ci dà di Abramo è quella di un sacerdote, non ne consegue forse che a tale titolo sono collegati il compito e la missione di istruire e convertire i gentili?
Per quanto riguarda Salem e la sua identificazione con Gerusalemme, è interessante fare una breve digressione citando ancora dei passaggi dall’opera di Benamozegh:
Essa [Gerusalemme] ci viene descritta come la sede del culto del vero D-o ben prima della comparsa di Israele... Gli ebrei credevano che il loro primo antenato e padre dei fedeli, Abramo, aveva riconosciuto la legittimità del culto celebrato a Gerusalemme, e gli aveva reso omaggio onorando la persona del suo sommo sacerdote e invocando D-o con lo stesso nome di cui ci si serviva in quel luogo, El Elion, D-o Altissimo...
Come che sia, è certo che la Scrittura ci presenta Gerusalemme, che apparteneva ancora ai gentili, come sede del vero culto... Scrive Nachmanide: “Salem è Gerusalemme. Infatti è scritto: Il suo Tabernacolo era a Salem [Salmi 76] e il suo re è chiamato, anche al tempo di Giosuè, ‘Adoni Sedeq [mio maestro di giustizia], perché fin da quell’epoca i gentili sapevano che quel luogo era il più venerabile... e la Tradizione aveva loro insegnato che esso corrisponde, su questa terra, al Tempio celeste in cui risiede la maestà divina, chiamata Sedeq”. Ma, si dirà, qual è la prova che Salem è davvero Gerusalemme? La prova è nel nome stesso. Nel primo elemento Yeru, aggiunto al nome Salem, è facile infatti riconoscere il nome che Abramo diede al luogo del sacrificio di Isacco: Abramo diede a questo luogo il nome di Awayà Yire [l’Eterno provvederà]85.
Secondo l’etimologia proposta dai rabbini, dunque, in Yerushalayim si ritrovano lo Yire di Abramo e il Salem di Melchisedeq, dove il primo elemento appartiene a Israele e il secondo alla gentilità. Dice il Midrash Bereshit Rabbà 36 : Abramo ha chiamato questa città Yire e Sem, il figlio di Noè, l’ha chiamata Salem. Il Santo, benedetto Egli sia, ha detto: “La chiamerò con il nome che le hanno dato tutti e due, ossia Yire Salem”. Bisogna anche tenere conto che la forma ebraica Yerushalayim è quella del duale; in alcuni altri casi, come Kirjiatayim o Mahanayim – citate rispettivamente in Genesi 14, 5 e 32, 2 –, il plurale grammaticale corrisponde a una dualità storica. Per quanto riguarda Gerusalemme, la ragione storica non si conosce ma quella religiosa risultante dal duplice elemento del suo nome è chiara. Se il re di Gerusalemme al tempo di Giosuè si chiamava Adoni Sedeq, significa che, sostituendo Adon con Melek, era il nome corrispettivo a quello del sacerdote Melchisedeq, re di Salem. Prosegue così la sua argomentazione rav Benamozegh:
Ora sappiamo da Isaia che il nome del Messia sarà Adonai Sidqenu o anche semplicemente Sidqenu (nostra giustizia), ossia Sedeq con l’aggiunta del possessivo. Se avviciniamo questo testo a un altro passo in cui è predetto che Gerusalemme sarà chiamata la città giusta, non possiamo non persuaderci che i suoi re, da Melchisedeq fino al Messia, assumono un titolo che racchiude il nome Sedeq (giustizia). Del resto Geremia non chiama forse Gerusalemme con lo stesso nome che Isaia annuncia per il suo re a venire…? Questo nome, Sedeq, appare dunque come una sorta di titolo dinastico per tutti i re di Gerusalemme…
Altrove è detto a proposito dell’esilio di Giuda: Tutta la popolazione di Giuda è condotta in esilio, Selonim è condotta prigioniera86. Selonim, nome che deriva da Salem o Salom (la pacifica, la pace), non può designare che Gerusalemme, e questo plurale giustifica il duale della pronuncia usuale, Yerushalayim…
Sedeq e Shalom, la giustizia e la pace, sono due parole e due realtà che si associano volentieri nel linguaggio della Bibbia: La giustizia e la pace si abbracceranno, dice il salmista87.
Dal momento che Salem e Gerusalemme non sono che un’unica e identica città… come disconoscere la prova di universalismo che ne risulta per l’ebraismo, poiché la designazione del luogo che doveva esserne il centro attinge la sua ragion d’essere nella storia di quella città come sede del monoteismo della gentilità?
Bisogna anche ricordare che l’architettura sia del Tabernacolo sia del tempio di Gerusalemme aveva un carattere altamente simbolico e, nell’idea ebraica, doveva essere l’immagine e il riassunto di tutto l’universo.