Non sempre l'importanza è valutabile
Lucio Picci
da: "Affari e Finanza", supplemento di "La Repubblica", 19 luglio 1999.
Se i romani non avessero costruito una imponente rete viaria europea, forse non ricorderemmo il loro impero. Se John Kennedy non avesse avviato il programma Apollo che portò l'uomo sulla luna, con maggiore difficoltà chiameremmo "americano" il secolo che si chiude.
Ho partecipato al programma di ricerca che ha tentato di valutare l'impatto economico delle infrastrutture in Italia. Tuttavia, queste semplici considerazioni storiche mi portano a proporre uno sguardo che vada oltre l'opinione dell'economista e il metro delle stime econometriche.
Lewis Mumford ci ricorda che la cloaca maxima, il sistema fognario costruito a Roma nel sesto secolo avanti Cristo, è ancora in uso. Il governo americano segnala che il contributo dell'industria delle tecnologie dell'informazione alla crescita del reddito negli Stati Uniti è di quattro volte superiore alla frazione di reddito che rappresenta. Quale tecnica statistica può descrivere il ruolo perdurante della spesa pubblica nella Roma antica, o il valore dell'iniziativa pubblica che negli Stati Uniti portò all'invenzione di Internet?
Non vi è solo un problema di misurabilità delle grandezze economiche. Le strade romane e Cape Canaveral, prima ancora che l'economia, hanno fatto la storia. Le infrastrutture attribuiscono significato a un'esperienza collettiva, e le risorse che utilizzano non sono ponderabili in un ipotetico mercato delle diverse opzioni storiche.
In questo senso, l'opinione di Roberto Perotti, nelle pagine dell'ultimo "Affari e Finanza", per il quale "è meglio che lo Stato non investa", è molto più storicamente determinata, e molto meno di derivazione economica, di quanto appaia. Rappresenta la comprensibile reazione verso il crescendo di inefficienza pubblica culminato in Tangentopoli. E' un'opinione che esprime un'opzione strategica per il Paese, prima che una valutazione economica, perché afferma che l'Italia non ha bisogno né di progetti collettivi né, evidentemente, di una dimensione di identità e di cultura in grado di porsi un tale problema.
Il colpo di Tangentopoli è stato duro ma, se questa deve essere la perdurante reazione, forse è giunto il momento di elaborare il lutto; di lasciare alle spalle certe visioni che identificano l'intervento pubblico con l'"eurosclerosi", laddove paesi più pragmatici e meno insicuri del nostro, come gli Stati Uniti, mostrano che il dinamismo economico non significa rinuncia alla capacità di realizzare grandi progetti pubblici.
Si tratta di capire se il nostro Paese è in grado di procedere oltre. L'Italia del boom economico in soli otto anni completò l'Autostrada del Sole: l'Italia di oggi avrà un futuro se saprà riguadagnare quel gusto del fare. E' in gioco il futuro della nostra esperienza nazionale, legata a quel che si sa realizzare insieme e all'identità che ne deriva. Sul futuro di questa esperienza nazionale, a sua volta, si fonda il funzionamento dei mercati e la nostra prosperità.
Per questi motivi, fa bene il governo a impegnarsi in questa partita. Il successo o l'insuccesso, per opera dei vari Barca, Bianchi, Rao, molto avrà da dire, oltre che sul futuro di una classe dirigente, sul progetto generale di modernizzazione del Paese.