ISTAT: il mio programma

(Torna alla pagina personale di Lucio Picci)

Bologna, 29 agosto 2018

Al Presidente del Consiglio dei Ministri

    Prof. Giuseppe Conte

e per conoscenza:

    Al Presidente della Repubblica

    On. Prof. Sergio Mattarella

Al Ministro per la Pubblica Amministrazione

    On. Avv. Giulia Bongiorno

Al pubblico

Gentile Presidente Conte,

desidero descrivere una sintesi del mio programma se sarò nominato Presidente dell’ISTAT, considerato che ho risposto positivamente alla raccolta delle manifestazioni di interesse da poco conclusa presso il sito Web del Ministero per la Pubblica Amministrazione. Scrivo a Lei, perché la nomina avviene “con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri”. E siccome un progetto per il futuro dell’ISTAT ha le gambe che saprà fornirgli il prossimo Presidente, di gambe robuste abbiamo bisogno: per argomentare che ne dispongo, farò riferimento alla mia esperienza professionale, che il curriculum allegato descrive nel dettaglio.

    Questa lettera è aperta, per un motivo principale. Il dibattito democratico e i decisori pubblici necessitano di statistiche ufficiali di qualità e imparziali. È essenziale che di questi dati ci si fidi, perché se non vi è un’accettazione comune su quali sono i fatti, non vi può essere alcun dibattito proficuo su come li si debba affrontare. Inoltre, il decisore pubblico ha bisogno di informazioni puntuali per potere definire i suoi interventi, e le tecniche di analisi statistica più attuali, applicate alle grandi masse di dati che l’era digitale mette a disposizione, possono fornire indicazioni preziose circa quali siano i disegni migliori per le azioni di governo.

    Tutto questo è nell’interesse degli italiani e in difesa del loro diritto a conoscere. Per questo, il futuro dell’ISTAT, che è il cuore del Sistema statistico nazionale, non può essere questione soltanto per gli “addetti ai lavori”, ma riguarda da vicino tutti gli italiani. Mi muove quindi la speranza che la pubblicità di questa lettera possa contribuire al dibattito pubblico, oltre che a fissare in modo trasparente qualche parametro utile per la scelta del nuovo Presidente, il cui curriculum dovrà essere eccellente.

    Una discussione sulle statistiche ufficiali è tanto più necessaria considerato che stiamo assistendo a cambiamenti importanti sia nella loro natura, sia in come vengono prodotte. Sempre più sovente infatti le statistiche derivano dall’utilizzo di basi di dati amministrativi che esistono non tanto per soddisfare le esigenze di rilevazione statistica, quanto per garantire il funzionamento corrente delle amministrazioni pubbliche di volta in volta coinvolte. Per esempio, e per citare un caso di successo italiano, le statistiche ufficiali sul commercio internazionale si alimentano direttamente dagli applicativi informatici utilizzati abitualmente dalla Agenzia delle dogane e dei Monopoli. Sono evidenti i vantaggi in termini di qualità e completezza delle statistiche, di tempismo e di costo. Informazioni di questo tipo sono esempi di “microdati”, sono insomma unità elementari di informazione, e presentano aspetti problematici, ma anche importanti opportunità. Le trasformazioni cui ho accennato sono parte di quella rivoluzione digitale che stiamo vivendo e costituiscono il punto di partenza per un ragionamento su che cosa sia l’ISTAT oggi, e che cosa debba essere domani. Sono temi sui quali ho avuto modo di riflettere in numerose mie ricerche, tra cui un libro pubblicato dalla casa editrice dell’Università di Stanford.

    Per primo, le trasformazioni in corso attribuiscono centralità organizzativa ai sistemi informativi digitali e all’utilizzo delle tecnologie informatiche, e quindi all’ottenimento, gestione e sviluppo di tali risorse. Sono compiti sempre spinosi per le grandi organizzazioni e in particolare per le amministrazioni pubbliche, che ho avuto modo di osservare da vicino in diverse mie esperienze professionali e di ricerca. Per esempio, come esperto sulle tecnologie dell’informazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – che ebbi l’onore di rappresentare nell’Advisory Committee del World Wide Web Consortium, diretto da Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web; poi nel triennio in cui fui membro del Comitato Scientifico di CONSIP, e nel corso di due anni che trascorsi in Spagna ad occuparmi, come senior scientist, di innovazione tecnologica nel settore delle ICT presso l’Istituto di studi prospettici sulla tecnologia della Commissione Europea.

    Secondo, le trasformazioni elencate spingono gli istituti nazionali di statistica ad adottare un modello organizzativo incentrato non più sulla tipologia dei prodotti, ma sulla gestione dei dati, e da una struttura divisionale, a una con elementi “a matrice”. Di fronte a queste trasformazioni, l’ISTAT non è stata a guardare. Sotto la guida del Presidente uscente, Prof. Giorgio Alleva, è stata infatti avviata una riorganizzazione dell’Ente, che ho avuto modo di considerare da un osservatorio privilegiato: la Commissione per la garanzia della qualità dell’informazione statistica (d’ora in poi: COGIS), di cui sono attualmente membro. Questa riforma risponde ad esigenze e ad opportunità incontrovertibili: in una parola, risponde a un progetto di modernizzazione dell’Ente.

    Terzo, è bene sottolineare che nell’ISTAT di oggi, e di domani, le statistiche “tradizionali”, basate sulle indagini (campionarie e non) e sui questionari, non scompaiono di certo. Esse però tendono ad integrarsi con le statistiche amministrative, con un ruolo chiave dei “registri”: elenchi a carattere censuario dei soggetti (persone, imprese, luoghi) che permettono di unire insiemi distinti di microdati. Tale unione acuisce il problema della tutela della privacy dei soggetti coinvolti, un tema che purtroppo ha segnato negli ultimi anni un rapporto dialettico tra ISTAT e il Garante per la protezione dei dati personali. Inoltre, l’integrazione di basi di dati di provenienza diversa acuisce i problemi di coordinamento, non solo all’interno dell’ISTAT, ma soprattutto tra questa e gli altri enti titolari di dati rilevanti. La tentazione che essi hanno di adottare strategie dilatorie, in grado di oscurare le responsabilità individuali degli eventuali insuccessi, rappresenta un rischio concreto, come ho avuto modo di constatare in seguito alla mia esperienza all’interno della COGIS.

    Un esempio del nuovo modo di operare dell’ISTAT è rappresentato da un impegno importante e quasi imminente: la realizzazione del 15esimo Censimento Generale della Popolazione e delle Abitazioni, che l’ISTAT sta preparando da tempo. Per la prima volta, il Censimento diventa “permanente”, sfruttando numerose fonti di dati amministrativi che si integreranno con le modalità tradizionali di rilevamento. Il “Censimento Generale”, che da sempre è la regina delle statistiche ufficiali e impegna a fondo gli istituti nazionali di statistica, diviene ora ancora più impegnativo, avvenendo in un contesto organizzativo complesso, caratterizzato dalla presenza di molti processi concomitanti e in certi casi ancora non ben rodati.

    Queste considerazioni, con le quali ho voluto tratteggiare lo scenario generale in cui si muove oggi l’ISTAT, mi permettono di descrivere le linee essenziali della mia azione se sarò nominato Presidente.

1. Modernizzare l’ISTAT

È necessario consolidare e affinare la riforma organizzativa in corso. Se sarò nominato Presidente, il quadro di riferimento della mia azione sarà fornito dal “modello organizzativo” che si è affermato nella gestione delle grandi organizzazioni, basato sulla codifica dei processi organizzativi e sulla presenza di presidi interni di controllo. Esso in Italia è riflesso nel decreto legislativo n. 231 del 2001, la cui filosofia generale è stata in parte trasferita anche al settore pubblico, essenzialmente con la legge n. 190 del 2012, cosiddetta “anticorruzione”. L’azione del Presidente dell’ISTAT dovrà essere volta all’affinamento dei processi organizzativi, la cui codifica deve formare un quadro snello e ben leggibile che faciliti l’attribuzione di responsabilità. Questo, consapevoli del rischio che il “modello organizzativo” possa risultare in comportamenti individuali volti al mero soddisfacimento formale di quanto è prescritto.

    La mia attività di ricerca su questi temi, con un taglio che deriva dai miei studi sulla corruzione, mi permetterebbe di affrontare un tale compito con una cognizione chiara sia delle opportunità, sia dei rischi che presenta. Si occupa dell’insieme di questi temi un mio libro di imminente pubblicazione (con Alberto Vannucci), Lo Zen e l’arte della lotta alla corruzione. Menziono inoltre l’esperienza che maturai presso una grande multinazionale, all’interno di un ristretto gruppo di lavoro multidisciplinare attivato dall’Università di Roma - Tor Vergata, col fine di rivalutarne i processi organizzativi e la conseguente formalizzazione, alla luce del citato decreto legislativo n. 231 del 2001.

    Il “Censimento Generale della popolazione” (e insieme ad esso, il Censimento dell’agricoltura) rappresenterà un’occasione importante per verificare da vicino il funzionamento dei numerosi processi organizzativi che si attiveranno, con l’obiettivo di informare e di permettere gli eventuali aggiustamenti organizzativi più opportuni.

2. Lavorare bene

Il processo di riforma organizzativa ha portato a modifiche dell’organigramma e delle responsabilità individuali che, inevitabilmente, non sono state universalmente apprezzate all’interno dell’Ente. Nel realizzare quel processo di consolidamento ed affinamento delle trasformazioni avviate sul quale mi sono soffermato, vi sarà molto probabilmente necessità di ulteriori ridistribuzioni di responsabilità per perseguire, come è dovere del Presidente, obiettivi di efficienza e di efficacia organizzativa. In questo, mi guiderebbero due principi.

- L’ISTAT deve essere esigente con il proprio personale – ad iniziare dal suo Presidente e dalle altre figure apicali. Non soltanto per la quantità e la qualità del lavoro svolto, ma anche nel richiedere un atteggiamento generale nell’affrontare i propri compiti, che deve farsi metodo di lavoro: prestare attenzione agli obiettivi sostanziali, e non a un mero soddisfacimento di quelli formali. Si tratta di una questione particolarmente importante nel contesto di trasformazione organizzativa in corso, segnato dalla crescita critica di interrelazioni tra processi, sia dentro l’Ente, sia con gli altri soggetti del Sistema statistico nazionale. Quel quadro snello e ben leggibile di procedure codificate al quale ho accennato costituirebbe la cornice per perseguire un tale obiettivo.

- I lavoratori dell’ISTAT sono il suo capitale più importante. Maggiori risorse devono essere dedicate alla formazione interna. Per quanto possibile, e nella consapevolezza che si tratta di un tema delicato per una molteplicità di ragioni, si deve garantire che all’interno dell’ISTAT vi siano ragionevoli aspettative di avanzamento di carriera in base a un criterio meritocratico. Vedo con favore la possibilità di istituire forme cosiddette di smart working, che introducano un grado di flessibilità ulteriore negli obblighi di presenza in sede – come del resto avviene in analoghe istituzioni all’estero, per esempio, all’EUROSTAT. E ogni sforzo deve essere fatto – innanzitutto con l’esempio quotidiano che deve fornire il Presidente – affinché si lavori bene non solo nel senso che i collaboratori dell’ISTAT sono operosi, ma che sono anche per quanto possibile contenti, perché rispettati e valorizzati, e orgogliosi di poter partecipare a un’opera collettiva che è essenziale per il Paese.

3. Qualità della produzione e della ricerca

Nello scorso mese di luglio, in apertura della Conferenza nazionale di statistica a Roma, Mariana Kotzeva, Direttrice generale di Eurostat, ha riconosciuto pubblicamente il ruolo di leadership di ISTAT sul piano dell’innovazione e della ricerca. Un complimento così autorevole ci rammenta anche un problema importante che assume un carattere strutturale ed inevitabile: quale equilibrio trovare tra due nature distinte dell’Ente, che è sia di produzione, sia di ricerca. Ed ente di ricerca l’ISTAT non può non essere, innanzitutto perché solo così può garantire una produzione di qualità, che per essere tale deve costantemente alimentarsi dei saperi e delle tecniche più avanzate.

    Nel perseguire prudentemente un equilibrio, sono convinto che si possa e si debba rafforzare la vocazione dell’ISTAT come ente di ricerca. La questione va vista all’interno di quelle trasformazioni dalle quali ho preso le mosse, e riguardo a queste, constatare un ritardo italiano: nell’utilizzo dei microdati, che presentano potenzialità di utilizzo di estremo interesse, ma che in Italia sono scarsamente disponibili all’esterno delle amministrazioni che ne sono titolari. Per questo motivo i ricercatori italiani utilizzano spesso dati stranieri, in qualche misura regalando i risultati che ottengono ad altri paesi.

    I microdati rappresentano l’area tematica principale attorno alla quale far ruotare una strategia di sviluppo della capacità di ricerca dell’ISTAT. Perché è trasversale agli interessi principali dell’Ente all’indomani della riforma – la gestione di grandi masse di microdati, e la loro unione, per permetterne un utilizzo che sia al servizio delle esigenze conoscitive degli italiani. Perché la disponibilità di microdati consentirebbe alla comunità dei ricercatori – in Italia e all’estero – di realizzare indagini che avrebbero ricadute positive sul Paese, permettendo di capirne meglio i fenomeni, le cause e gli effetti. La questione presenta evidenti criticità dal punto di vista della tutela della privacy. E su questo, il punto di vista dell’ISTAT, e del suo Presidente, deve sapere esprimersi autorevolmente, in difesa di un interesse pubblico prevalente, nel dibattito pubblico, e nei confronti del Garante per protezione dei dati personali.

    Ritengo di avere l’esperienza e le competenze scientifiche per poter irrobustire la vocazione di ente di ricerca dell’ISTAT, aiutato anche da una varietà di interessi scientifici che si riscontra credo raramente all’interno dell’accademia italiana. Nel corso della mia carriera ho utilizzato un ampio spettro di tecniche di analisi dei dati, in alcuni casi proponendone di nuove, per risolvere problemi in ambiti tra loro anche molto diversi. In più occasioni ho proposto nuove soluzioni per misurare concetti complessi e sfuggenti, come l’innovazione tecnologica e la sua dimensione internazionale, e la corruzione. I risultati delle mie ricerche sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali, anche di grande prestigio, di econometria, economia, e scienze politiche. Oltre due mila citazioni di “Google Scholar” sono una misura riassuntiva, per quanto grossolana, della visibilità che l’insieme delle mie pubblicazioni ha raggiunto all’interno del dibattito scientifico internazionale. A suo tempo godetti della fortuna e del privilegio di avere ottimi maestri. Per esempio, scrissi la tesi di dottorato (in econometria) sotto la supervisione di Robert Engle, che vinse il premio Nobel per l’economia nel 2003. E il mio dottorato negli Stati Uniti fu solo un episodio di una carriera caratterizzata da una spiccata proiezione internazionale, di cui è corollario, oltre alla conoscenza della lingua inglese, la capacità di utilizzare liberamente lo spagnolo, e una conoscenza di livello intermedio-avanzato della lingua russa e francese.

4. Un ISTAT consapevole delle proprie responsabilità e del proprio ruolo

Ho esordito analizzando il contesto generale in cui si muove l’ISTAT, dal punto di vista delle trasformazioni cui stiamo assistendo per quanto riguarda la natura dei dati, le loro modalità di produzione, e il loro utilizzo. Per concludere, e per dare compiutezza alla mia visione degli indirizzi che vorrei imprimere alla mia azione se sarò nominato Presidente, debbo aggiungere qualche elemento al contesto in cui ci troveremmo ad operare.

    Viviamo, non soltanto in Italia, una fase di sfiducia verso attività di governo che sono percepite come tecnocratiche ed elitiste, e anche nei confronti delle fonti di informazioni che dovrebbero informare il dibattito pubblico. Una possibile reazione è di trincerarsi dietro alla presunta neutralità delle statistiche ufficiali che, non a caso, talvolta chiamiamo le “fredde statistiche”. È una condotta comprensibile ma che non condivido, perché la mia lunga esperienza nell’utilizzo dei dati, e nella ricerca di metodi nuovi per misurare fenomeni sfuggenti, mi ha convinto invece che le statistiche sono molto “calde”. Sono il risultato di un’attività sociale che non è mai neutrale: nella definizione dei concetti che sono passibili di misura, nel come misurarli, e poi nella decisione se, effettivamente, misurarli.

    Vi sono due motivi per cui dobbiamo riconoscere apertamente una tale complessità e inevitabile non neutralità delle statistiche. Il primo risponde a un principio fondamentale che deve informare tutta l’azione dell’ISTAT e del suo Presidente: per onestà intellettuale, perché così è. E il secondo perché la tattica del trincerarsi dietro alla presunta neutralità dei tecnicismi, da membri di un’élite tecnica-scientifica quali siamo, è per l’appunto un elitismo, inappropriato in generale, e tanto più all’interno del tipo di dibattito pubblico oggi prevalente.

    Si pone un problema di fiducia verso le statistiche, ma anche della loro leggibilità complessiva. Per un verso, è necessario dotarsi di strumenti più adeguati per la rappresentazione dei dati, tenendo conto delle tendenze attuali in questo campo, che vedono una collaborazione stretta tra statistici, informatici e designer. Se sarò nominato Presidente, esplorerò la possibilità che da questo ambito di attività si possa trarre una rilettura in chiave più moderna delle attività di alfabetizzazione statistica dell’ISTAT, che vanno ripensate ed ampliate. Immagino per esempio delle attività nelle scuole in cui gli studenti apprendono ad usare un linguaggio di programmazione, utilizzando statistiche ufficiali, e rispondendo a una sfida: raccontare, con esse, e con tutta la creatività di cui sono capaci, un aspetto dell’Italia. In questo modo, non soltanto toccherebbero con mano i problemi che si incontrano nel trattamento e nell’analisi dei dati, ma anche, conoscerebbero meglio questo nostro Paese e vi ragionerebbero sopra, acquisendo nel mentre delle competenze che sono molto apprezzate nel mercato del lavoro.

    Per ultimo, da Presidente dell’ISTAT sarebbe mio dovere essere geloso custode della sua indipendenza. Custode ultimo della sua indipendenza, che deve fondarsi in modo poderoso su quell’orgoglio professionale di tutti i colleghi dell’ISTAT, che farei il possibile per coltivare ed incoraggiare. Argomentando, ogni volta in cui dovesse essere necessario, non nell’interesse dell’ISTAT, ma del suo ruolo all’interno della nostra Repubblica, ovvero, nell’interesse di tutti gli italiani a conoscere.

    Gentile Presidente, se questa lettera le è sembrata lunga, pensi, e mi perdoni la battuta, che mi son dovuto trattenere. Tra tante questioni importanti, non ho menzionato per esempio l’impegno necessario per ricondurre finalmente le diverse sedi dell’Ente a una unica – anche per i risparmi che permetterà.

    Ma spero almeno che la mia visione generale, il mio disegno per il futuro, e quanto della mia esperienza professionale lo rendono credibile, appaiano netti su questa carta. Ma soprattutto, spero di aver convinto che la nomina del prossimo Presidente dell’ISTAT, chiunque egli o ella sarà, merita un ragionamento pubblico e buoni argomenti.

Un saluto rispettoso,

                                                                                            Lucio Picci

Professore ordinario di Politica Economica

Dipartimento di Scienze Economiche

Università di Bologna

Strada Maggiore 45

(Torna alla pagina personale di Lucio Picci)