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Cos’è?
Uno storico che ha fatto la Storia
"Sì, lo conussèa, mi, el Lino Turrini; e savèa anca che l’avèa za scrito un misterioso libro con piassè de 600 pagine (tute scrite a machina), su la storia de Bovolon. El disèa che no’l volèa mia farlo stampar, ma no’l spiegava mia parché… Se ciacolava in giro che, sicome siezènto pagine le i era massa, i editori i volèa scurtar el laòro fato in vint’ani… Figureve el Turrini, orgoglioso come che l’era! (ma el g’avèa resòn, òstrega!)" 1
In questo piccolo estratto, Tiziano Lanza riportò una testimonianza sulla figura di Lino Turrini. Fu uno storico importante e un grande studioso che, tra le altre cose, contribuì moltissimo alla ricostruzione di un’analisi storica del territorio bovolonese grazie alle sue innumerevoli ore trascorse negli archivi in giro per l’Italia. Da questo punto di vista, il 1974 fu un anno importante, in cui si ricorda la pubblicazione del libro “L’Ormaneto. Dalla canonica di Bovolone alla corte di Madrid”, frutto di anni di lavoro del Signor Turrini. Proprio nell’introduzione decise di citare le motivazioni che lo spinsero a intraprendere la stesura della faticosa produzione. Si tratta della realizzazione della monografia di un importante personaggio storico. Lo studioso fece appello all’orgoglio e alla simpatia che legano l’animo umano ai personaggi illustri della propria terra, con particolare riferimento al luogo in cui si è nati. Nell’appassionante libro, Lino Turrini ripercorse meticolosamente, quasi scientificamente, la vita e imprese di Niccolò Ormaneto (1515-1584), che fu l’artefice di alcune campagne riformatrici che nel 1500 segnarono la Storia e che è impossibile omaggiare senza il ricordo indelebile che impresse sulla Città di Bovolone.
Sempre il 1974 fu l’anno che vide la promozione di un progetto che altro non può essere che un vanto per i bovolonesi: il recupero e il trasporto dalla chiesa veronese di Santa Maria Chiavica a Bovolone del sarcofago che accoglieva le spoglie di Niccolò Ormaneto e, a grande sorpresa degli storici, altri quattro cadaveri della famiglia. Chiaramente ciò che rimane dei resti mortali dei defunti oggi è soggetto a una nuova e migliore conservazione.
Questo pezzo di storia non è stato nascosto, né precluso da una libera visione, anzi: probabilmente passa spesso inosservato. Certamente molte persone, entrando nel Duomo di Bovolone, si saranno chieste cosa fosse quell’imponente sarcofago decorato che si trova all’entrata, proprio sulla parete destra. Si tratta del sarcofago in cui fu rinvenuto l’Ormaneto una cinquantina di anni fa e che dopo varie vicissitudini è stato riportato nel posto che portò tutta la vita nel cuore: Bovolone.
In realtà, la scritta sopra la facciata frontale dell’arca funebre precisa come si tratti della tomba di Avogario Ormaneto, nobile cavaliere morto nel dicembre del 1396. Antonio da Mestre fu lo colui che realizzò il sarcofago e volle probabilmente riprendere l’arca di Can Grande della Scala che si trova a Verona, essendo noto come scultore della signoria scaligera a cavallo tra il XIV e il XV secolo. Come avveniva per tutti i personaggi illustri, il materiale scelto dall’artista fu il marmo rosso di Verona.
Nella parete frontale la scena è sobria e per questo immediatamente chiara per chi osserva: siamo di fronte alla Vergine, a Cristo nel sepolcro e a San Giovanni, tipica scelta iconografica in riferimento alla morte ma soprattutto alla Resurrezione, con lo scopo di veicolare un messaggio di salvezza per il defunto e per coloro in vita, sofferenti per la sua mancanza. Queste figure sono in compagnia di due elmi da cavaliere sopra i quali sono immortalati un cane e l’araldo di famiglia, scelto dal capostipite Zonta quando arrivò a far parte dell'alta nobiltà cittadina veronese. Si tratta di una colomba nera in campo rosso e verde e si può osservare anche sulla corazza del defunto scolpito sopra il sarcofago. Il gisant indossa l’elmo e una cotta di maglia, l’usbergo, la spada e anche dei guanti.
La tomba - visione completa e frontale.
Dettaglio - il gisant.
Dettaglio - ritratto di Niccolò Ormaneto posto sopra alla sua tomba.
Gli Ormaneto
Can Grande della Scala (1291-1329) fu Signore di Verona e Vicario imperiale nella prima metà del Trecento. Dell’intera dinastia scaligera è senza dubbio il più conosciuto e celebrato. All’inizio del secolo chiamò presso la sua nota corte un tale Zonta Ormaneto, membro di una nobile famiglia di Prato, per affidargli l’incarico di "Prefetto generale della caccia”. Si trattava di una carica molto importante a quei tempi poiché la caccia era un’usanza signorile che richiedeva l’impiego di molto personale, di cui il signore si serviva anche per lo scambio di doni che faceva recapitare nelle ville e nei castelli. Zonta fu quindi il capostipite della famiglia veronese degli Ormaneto, che con il tempo diede alla Città figure essenziali per la sua Storia: guerrieri, ecclesiastici, letterati. Terzo di tre figli, Avogadro fu il più celebre tra gli eredi di Zonta e viene ricordato ancora oggi con una lapide infissa sulla Torre dei Lamberti a Verona che parla di un suo lascito testamentario a favore dei carcerati della Città. Fu un uomo pio e ottimo militare. Intorno al 1515, quando la famiglia Ormaneto viveva il periodo di suo massimo splendore, nacque Niccolò Ormaneto, il quarto dei sette figli avuti dai nobili Francesco e Paola Bevilacqua.
Niccolò, Verona e le “humanae litterae”
Fin da piccolo, Niccolò dimostrò una personalità eccezionale e si applicò da subito ai suoi studi, dedicandosi con particolare passione alla cultura. Grazie anche all’ambiente in cui nacque, riuscì a dare molta attenzione alla sua istruzione, tra cui figuravano le “humanae litterae”, che esercitarono su di lui un fascino particolare. Fu, infatti, anche poeta. Molto doveva anche all’ambiente cittadino in cui ebbe la fortuna di crescere, che lo spingeva ad approfondire i suoi studi letterari: nel 1500 Verona stava pienamente vivendo il movimento rinascimentale. Gian Matteo Giberti era al tempo il vescovo veronese e viene ancora chiamato il precursore della riforma cattolica del XVI secolo poiché sotto la sua guida la Chiesa di Verona diventò ricca di istituzioni e collaboratori. Il vescovo ebbe la possibilità di conoscere Niccolò e apprezzò molto il temperamento del giovane, tanto da consigliargli di proseguire la sua carriera accademica presso l'Università di Padova. Nel 1533 Niccolò Ormaneto si iscrisse e si dedicò in particolare allo studio del Diritto Civile e Canonico nello stesso luogo dove prima di lui erano state preparate personalità eccellenti, tra cui Ludovico Ariosto e Pico della Mirandola, per citarne alcuni. Dalla tempra che finora aveva dimostrato, è facile intuire che si applicò con tale scrupolo alla disciplina che arrivò a eccellere per tutto il periodo dei suoi studi. Provava una vera e propria passione per lo studio.
La chiamata al sacerdozio
Il Vescovo Giberti, per l’affetto e l'ammirazione che provava per Niccolò Ormaneto, decise di inviarlo a Roma come suo rappresentante. L’arrivo nella Città fu per l’Ormaneto un punto cruciale, una chiave di svolta dopo la quale la sua vita prese una nuova direzione. È proprio a quel momento che, a posteriori, possiamo far risalire il germe della vocazione al sacerdozio. Scoprì che la Chiesa aveva molto bisogno di anime buone che lavorassero affinché si potesse raggiungere una riforma. A Roma trattò anche importanti questioni che, per la competenza con cui le condusse, diedero prestigio al giovane presso i Prelati della Curia. Le sue abilità si dimostrarono tali che il Giberti volle ricompensarlo per l’impegno dimostratogli: subito gli assegnò due ricchi benefici ecclesiastici, ovvero Bovolone e Brentonico.
Una volta eseguita la sua missione a Roma, nel 1543 l’Ormaneto tornò a Verona e decise prontamente di dare un orientamento alla sua vita: abbracciò il sacerdozio. Da quel momento passò una vita sobria e dedita al ministero sacerdotale. Poco prima di morire, il Vescovo Giberti confermò l’assegnazione dei benefici e lo nominò anche Arciprete di Bovolone.
Bovolone: beneficio ecclesiastico del XVI secolo
Bovolone contava al tempo una popolazione di circa 2 000 abitanti, era perciò molto diversa dalla Città che conosciamo oggi. L’economia si muoveva principalmente grazie all’agricoltura, attività primaria della maggior parte della popolazione della bassa veronese. Era un’agricoltura povera, senza mezzi e costituita da poche colture che crescevano in boschi e prati; certo però non mancavano le attività commerciali, anzi: i bovolonesi erano conosciuti come gente assai perspicace negli affari, che potevano esercitare abilmente nello storico mercato del martedì. Era diffuso anche l’artigianato: falegnami, fabbri e calzolai popolavano le vie offrendo ai cittadini i loro preziosi servizi.
Il grande amore di Niccolò Ormaneto
Nel freddo inverno del 1543 Monsignor Gian Matteo Giberti cedette tutti i privilegi connessi alla Chiesa Parrocchiale dei Ss. fermo Fermo e Rustico di Bovolone a Niccolò Ormaneto, eleggendolo quindi Arciprete. Qualche giorno più tardi inviò anche il mandato per la presa di possesso della Pieve di Bovolone.
Niccolò Ormaneto non accettò l’incarico a cuor leggero e riservò alla sua Parrocchia tutto l’amore e lo zelo possibile, affidandola, quando suo malgrado era costretto ad assentarsi, a sacerdoti di cui aveva molta fiducia. Fino al 1570 non cessò di essere l’Arciprete di Bovolone, mantenendo il titolo, quindi, per oltre 26 anni, anche se fu assente per oltre 14 di essi, nei quali fu impegnato a Trento, Milano e Roma. Ciononostante, la sua attività parrocchiale fu molto intensa: la situazione morale era buona ma certo non mancavano degli abusi contro i quali dovette intervenire.
Nel 1564 dovette recarsi nuovamente a Roma, dalla quale tornò nelle vesti di Monsignore, Protonotario Apostolico e Vicario generale del Cardinale Carlo Borromeo (1538-1584) a Milano. È indubbio che i bovolonesi furono ben felici per l’Ormaneto, nonostante l'amarezza per il distacco dal loro amato Arciprete dovette essere altrettanto forte. Da quel momento non tornerà mai più stabilmente in paese, a cui farà visita di rado ma sempre con gioia e sollievo di spirito per l’amore nei confronti di questa Chiesa. Lo stesso Cardinale Borromeo affermò che il suo pensiero rimase sempre rivolto ai suoi figli bovolonesi. Quando gli fu offerta la carica di Arciprete di Avignone lui rifiutò deciso, non dimenticando mai di essere innanzitutto Arciprete di Bovolone.
Venerato come un Santo
Malgrado l’Ormaneto soffrisse da tempo di gotta, si dedicava instancabilmente a un intenso lavoro con estrema volontà e dedizione. Fu così che nell’autunno del 1576 la sua salute subì un duro colpo e alla soglia dei sessant’anni si ritrovò quasi in fin di vita. I familiari lo invitarono a dettare le sue ultime volontà, egli però si rifiutò di farlo poiché sosteneva di non possedere nulla. Qualche tempo dopo, tra riprese e ricadute, Monsignor Niccolò Ormaneto si spense e la sua salma fu esposta alla venerazione del popolo, che lo accolse in folla. Si dice persino che in una sola giornata oltre diecimila persone si presentarono per potergli baciare i piedi o toccare le vesti, proprio come se si trattasse di un santo. Non solo: quando vendettero il suo umile arredamento, la somma raggiunta fu cinque volte il valore reale in quanto tutti fecero a gara nell’offrire la somma maggiore e possedere oggetti che consideravano reliquie.
Una traccia indelebile
Bovolone non dimenticò mai Niccolò Ormaneto e nel corso dei secoli i cittadini vollero concretamente dimostrare la loro gratitudine. Don Francesco Tarocco fu Parroco tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo. Egli incaricò il letterato Clementino Vannetti di Rovereto (1754-1795) di comporre un’epigrafe latina, dapprima scritta su pergamena. Quasi due secoli dopo questa stessa iscrizione fu fatta incidere su marmo e trasportata nel nuovo Duomo: per l'occasione, in Paese si tenne una solenne commemorazione dell’Ormaneto, a cui venne intitolata una via.
Ma nella Chiesa di San Giuseppe è conservata anche un’altra memoria visibile del leggendario Arciprete e si tratta di un ritratto ad olio. Egli viene qui rappresentato mentre indossa le vesti vescovili e mostra una lettera inviata ai suoi ex parrocchiani. Molto probabilmente la lettera non è una vera testimonianza, ma il pittore aveva a cuore la volontà di mostrare chiaramente il perenne ricordo che legò Bovolone e l’Ormaneto. Si legge: “Alla rispettabile Comunità di Bovolone, Ho gradito la vostra lettera. Io quantunque lontano da voi vi porto nel cuore. Sarò sempre qual fui essendo il vostro Parroco. 10 maggio 1573 V. di Padova”.
1 Sito web del Centro Studi e Ricerche della Pianura Veronese (sede Bovolone), https://centrostudiricerche.wordpress.com/2015/06/19/ricordo-di-lino-turrini-storico-bovolonese-nellarchivio-parrocchiale/, consultato in data 07/03/2024.
Dov’è?
Don Filippo Accordi
Nel 1781, proprio a Bovolone, nacque una figura importante, che con il suo coraggio ha lasciato nella nostra piazza un segno monumentale: si tratta di don Filippo Accordi, parroco del paese dal 1833 al 1857. Il 16 Aprile del suo quinto anno di sacerdozio riunì un’assemblea, detta Convocato, alla quale parteciparono i rappresentanti del Clero, della Fabbriceria, della Deputazione Comunale e 461 capi famiglia. Don Filippo Accordi aveva una missione ben precisa: l’allargamento della chiesa di S. Biagio. Fu con questa sollecitazione che aprì il dibattito, ma la sua mozione incontrò il dissenso della Deputazione, che riteneva l’intervento inutile. Le due proposte vennero messe al voto segreto, che non lasciò nessun dubbio: l'ampliamento fu approvato con 398 voti favorevoli, contro solo 63 contrari. Nei mesi a seguire, però, l’Arciprete si rese conto dei disagi che un lavoro di quella portata avrebbe comportato e così si convinse che era preferibile edificare una chiesa completamente nuova, piuttosto che allargare la vecchia: la popolazione ne fu entusiasta.
La decisione riguardo allo spazio che il nuovo edificio avrebbe occupato cadde sul terreno del cimitero accanto alla chiesa di San Biagio, che era stato trasferito fuori dal centro. La nuova chiesa parrocchiale fu intitolata a San Giuseppe e la prima pietra fu posata il 19 Settembre 1844. Don Filippo Accordi affidò il progetto al milanese Luigi Clerichetti (1798-1876), noto architetto neoclassico, e i lavori continuarono per 13 anni, ovvero fino alla morte dell’Arciprete nel 1857. Purtroppo, con questo duro colpo per i fedeli bovolonesi, i lavori vennero sospesi, nonostante don Accordi avesse lasciato tutto il necessario per completare l’opera. In quel momento, i muri avevano raggiunto l’altezza di 2 metri.
Don Timoteo Lugoboni
Passarono cinquant’anni nei quali il cantiere venne abbandonato, un periodo che a Bovolone venne vissuto con malinconia, sentendo la mancanza di qualcosa di grandioso che sembrava cadere lentamente nell’oblio. Ma un totale sconforto non fece in tempo ad arrivare nella nostra Città perché don Timoteo Lugoboni (1874-1944) decise di riprendere i lavori nel 1913, con la speranza di combattere la disoccupazione. Naturalmente dovette cambiare l’architetto, perciò il progetto, che subì delle modifiche rispetto a quello precedente, fu affidato a Domenico Rupolo (1861-1945), friulano e attivo a Venezia. Quello stesso anno venne istituita la Commissione direttiva ed esecutiva della fabbriceria: 19 membri capeggiati da Remo Gagliardi, che era anche tesoriere. Il giorno di San Giuseppe, don Lugoboni diede la benedizione per l’inizio dei lavori, ma la questione non si era ancora risolta: nel 1915 lo scoppio della Grande Guerra costrinse a una nuova interruzione.
Don Bartolomeo Pezzo
Per la ripresa dei lavori è necessario fare un breve salto temporale al decennio successivo, che vide, il 22 Ottobre 1927, l’innalzamento della statua del Cristo Redentore sulla facciata, così come quelle di San Pietro, San Giovanni e Ss. Fermo e Rustico. Da allora la chiesa poteva essere officiata e la sua benedizione avvenne il 5 Ottobre 1935, data in cui fu inaugurata. In questa terza fase di costruzione dobbiamo fare riferimento a un nuovo parroco, il “prete montanaro”: don Bartolomeo Pezzo. Egli volle portare a termine i lavori a tutti i costi per ospitare le funzioni sacre, sollecitando un avanzamento fino al 6 Ottobre 1945: dopo 101 anni e 16 giorni dal momento in cui la prima pietra fu posata, la chiesa venne finalmente consacrata.
Tra il 1942 e il 1979 furono avviate opere di rifinitura, tra cui: la soffiatura e la decorazione delle navate, la costruzione della scalinata di accesso, la realizzazione dell’affresco nel catino e il completamento della pavimentazione in botticino.
Visione frontale della chiesa di San Giuseppe.
La chiesa di San Giuseppe vista dalla navata centrale.
Dettglio - l'altare della chiesa.
Dettaglio - la decorazione nell'abside del Duomo.
Il progetto finale nacque dall’unione dei progetti di Clerichetti e Rupolo e non si tratta di una testimonianza architettonica tipica del primo Novecento in quanto esprime un palese eclettismo. Questo termine fa riferimento alla creazione di una nuova sintesi da parte di chi sceglie in vari stili ciò che trova più adeguato. È per questo che la navata e l’abside recano un’impronta paleocristiana, mentre la facciata è di stile neorinascimentale e il pronao è neoclassico.
All’interno della chiesa si trovano opere d’arte che sono, per la maggior parte, più antiche della chiesa stessa: la tomba dell’Ormaneto, la fonte battesimale e la pala con la Vergine, il Bambino e alcuni santi. È invece di tempi più recenti il rifacimento del pavimento in marmo, che sostituisce quello precedente in cemento.
Curiosità
C’è un aspetto importante che non può essere scollegato dalle fasi della costruzione del Duomo: l’appassionata partecipazione economica della cittadinanza. Il finanziamento avvenne, infatti, completamente grazie ai bovolonesi: anche le famiglie più povere offrirono generosamente tutti i mezzi a loro disposizione. È per questo che viene chiamata la “chiesa fatta con le uova”: moltissime furono le uova vendute con lo scopo di raccogliere i soldi per procedere con i lavori.