I bottoni di Zero
Mr. White viveva a New York, nel bel mezzo della Grande Mela. Era tutto tranne che un uomo imperfetto ed era necessaria un’attenta e minuziosa osservazione per scorgere in lui anche solo l’accenno di qualcosa che poteva somigliare ad un difetto. Era l’uomo che ogni donna avrebbe voluto sposare, che ogni capo d’ufficio avrebbe voluto come impiegato, che ogni scapestrato alcolista che vive in una roulotte avrebbe voluto come compagno di bevute. Lavorava, al tempo dei fatti narrati, in una delle prime compagnie che sviluppavano computer ed era uno dei migliori nel suo settore. Era sposato, aveva due splendidi figli, un maschio e una femmina, e una meravigliosa moglie, con la quale viveva da molti anni senza mai aver avuto problemi durante il matrimonio. Ecco, si puó dire che Mr. White fosse un uomo perfetto, tranne per una piccola imprecisione, un dettaglio che lo contraddistingueva tra tanti altri: la sua tremenda fobia dei bottoni. Eh sì, il solo parlare di bottoni provocava in lui una sensazione di ansia pungente e un’eccessiva sudorazione, figurarsi la vista! Quei piccoli dischetti di plastica lucida grandi poco più o poco meno di una moneta terrorizzavano Mr. White piú di qualsiasi cosa. Ancora piú incredibile era il fatto che fosse totalmente innata: nessun suo parente ne soffriva, né aveva avuto traumi in etá infantile. Ci conviveva, semplicemente, faceva di tutto per evitare il contatto con l’oggetto della sua fobia. Nessuno faceva molto caso al fatto che staccasse i bottoni da giacche e camicie di lavoro o che portasse pantaloni senza bottoni, sorretti da spessi cinturoni; magari la cosa incuriosiva qualcuno, ma mai piú di tanto, perchè alla gente bastava che Mr. White facesse il suo lavoro ed impicciarsi del resto era solo poco professionale. Tuttavia, Mr. White era perfettamente cosciente di questa sua fobia e si rendeva conto di quanto fosse innata e ridicola, ecco perché non aveva intenzione di parlarne con qualcuno, né con uno psicologo, né con i suoi genitori, né tantomeno con la sua famiglia, anzi, soprattutto con la sua famiglia! Già immaginava sua moglie poggiare l’anello nuziale sul mobiletto in cucina asserendo che non aveva intenzione di essere moglie di un uomo così immotivatamente pavido, i suoi figli guardarlo confusi, chiedendo alla mamma perché stessero preparando le valigie e dove sarebbero andati.
No, lui non se lo poteva permettere. Amava la sua vita e non sarebbe di sicuro stata la fobia dei bottoni a portargliela via, perciò continuava a convivere con le sue stranezze, che sembravano essere completamente messe in secondo piano rispetto a ciò che di veramente utile Mr. White faceva.
Ebbene, le sue sfortune iniziarono quando la ditta per cui lavorava fallì e tutti i dipendenti si ritrovarono senza lavoro, compreso Mr. White. Consapevole di dover trovare un'altra occupazione, l’uomo si recò prontamente all’ufficio di collocamento il giorno dopo aver ricevuto la notizia e, dopo esser stato lasciato in sala d’attesa per ben quattro ore, finalmente ricevette la chiamata che indicava il suo turno. Titubante, passò attraverso lo stretto corridoio che portava ad un angusto ufficio in cui a malapena entravano una scrivania e dei cassetti ricolmi di scartoffie. Una donna sulla cinquantina lo accolse e gli chiese di sedersi di fronte a lei per iniziare le pratiche ma, ad un tratto, osservandola meglio, Mr.White trasalì: la giacca della donna era piena di bottoni, più di quanti ci si aspetterebbe da una normale giacca. Potete ben immaginare il pover’uomo iniziare a sudare freddo alla vista di quegli oggettini sulle vesti della donna, ma il peggio capitò quando vide una scatolina sulla scrivania piena di bottoni fino all’orlo, con un’etichetta scritta a penna: “COLLEZIONE PERSONALE DI BOTTONI: NON TOCCARE”
Mr. White quasi svenne, mentre la povera donna cercava di capire cosa non andasse e gli chiedeva se avesse bisogno di aiuto. Lui si alzò a stento e si congedò, dicendo di aver avuto uno spiacevole contrattempo. Per i quattro giorni successivi non fu in grado di tornare all’ufficio di collocamento vedendo, ogni volta che si avvicinava, la scatolina dei bottoni sulla scrivania dell’impiegata che sembrava essere l’unica presente nelle vicinanze per sbrigare quel tipo di pratiche al momento. Il quarto giorno tornò a casa senza alcun risultato e la trovò improvvisamente vuota, con un biglietto sulla cucina lasciatogli dalla moglie: gli spiegava di aver scoperto da alcuni colleghi che aveva perso il lavoro, si diceva indignata per non averlo saputo da lui e delusa dal fatto che, a parer suo, non avesse fatto nulla per cercarne un altro. Diceva che sarebbe stata via con i bambini a casa dei suoi genitori, finché lui non avesse avuto le idee più chiare. Mr. White si disperò e dopo aver cercato, invano, di contattare la moglie, sembrò gettare la spugna. Considerò l’opzione di parlare con qualcuno della sua fobia, magari avrebbe potuto farsi aiutare da uno psicanalista o, almeno, dai suoi genitori, ma scacciò subito l’idea, convinto che le cose sarebbero solo peggiorate in quel modo. Era deciso a non raccontare a nessuno questa storia e cercare un nuovo lavoro e forse una nuova famiglia, tuttavia da quel momento la sorte sembrò essergli completamente avversa: ovunque lui andasse bottoni, file di bottoni, disegni di bottoni lo perseguitavano. Sembrava una sorta di maledizione iniziata con la collezione dell’impiegata dell’ufficio di collocamento. La sua vita era gravemente condizionata da ciò, e i suoi attacchi di panico erano sempre più frequenti: ormai sognava bottoni anche durante la notte o immaginava di vederli quando era sveglio e in astinenza da sonno. I soldi della liquidazione erano ormai finiti e nella vita dell’uomo non si poteva scorgere nemmeno una prospettiva di miglioramento. Finalmente, una sera di Dicembre, Mr. White decise che le cose dovevano cambiare e che era ora di riprendere in mano la sua vita, perché è ciò che un vero uomo avrebbe fatto. Avrebbe trovato un lavoro, riconquistato sua moglie e riavuto l’affetto e la stima dei suoi figli. I suoi amici, che ora lo consideravano strano e malato, lo avrebbero di nuovo chiamato il venerdì sera per andare a bere al pub e lui li avrebbe battuti a poker come al solito. Sarebbe stato di nuovo un uomo felice, perché se lo meritava, come tutti gli uomini del mondo, e neanche tutti i bottoni di questo pianeta avrebbero potuto mettersi tra lui e il suo obiettivo. Prenotò una seduta psichiatrica dalla specialista più vicina a casa sua per il martedì successivo e con determinazione ci andò.
Purtroppo, quel martedì, sulla strada che lo avrebbe portato lì, fu investito da un camion, di cui il conducente aveva perso il controllo a causa del ghiaccio sulla strada e (pace all’anima sua!) morì. Immensa tristezza colpì tutti coloro che lo avevano conosciuto, che lo piansero come il loro più caro amico o il loro parente più stretto. Al funerale andò anche l’impiegata dei bottoni dell’ufficio di collocamento e i suoi amici del pub, con cui non parlava da molto; insomma, ci andarono proprio tutti. Perchè in fondo ne avevano quasi il dovere, per tutto ciò che di buono Mr. White aveva fatto durante la sua vita. E si sentivano i soliti discorsi da funerale,del tipo: -Era proprio un brav’uomo..-
- Ci mancherà tantissimo! -
- Guardi,guardi com’era giovane! - - ...giovanissimo! -
- E guardi come gli sta bene il completo , lì, nella bara! -
- Quale? -
- Ma come quale? Quello del matrimonio! -
-...ah,sì? - Sì, sì...quello nero,elegante...quello con quei bei bottoni... -.