Funes, l'uomo della memoria
Comparso per la prima volta nel 1942 sul quotidiano “La Naciòn”, Funes el memorioso viene poi inserito nel volume Ficciones pubblicato nel 1944, una raccolta di tredici racconti scritti tra il 1935 e il 1944 (ai quali saranno aggiunti, nel 1956, El sur, El fin e La secta del Fénix) dall’argentino Jorge Luis Borges (Buenos Aires, 1899 – Ginevra, 1986), poeta, scrittore e saggista che, in particolar modo nelle Ficciones e nell’El Aleph, affronta temi universali come la morte, il tempo, la pazzia, l’eternità, e lo fa attraverso trame perlopiù di genere fantastico; i personaggi di Borges sono ideali eppure realissimi: le loro vicende, spesso di esito drammatico o patetico, non hanno nulla di stilizzato, ed essi, nonostante il grande carico di umanità che è inscindibile dalla loro natura, diventano modelli umani che trascendono il tempo. Borges, filosofo ancor prima che narratore, si addentra nella psiche umana e riesce a coglierne e a sintetizzarne gli aspetti più reconditi e segreti, elaborando un tipo di letteratura geometrica ed ermetica, che cela una “visionarietà ironicamente erudita, minuziosa fino a sembrare perversa e abbastanza vaga da spingerci a cercare di decifrarla come una lingua straniera”, ut ait Giuseppe Montesano.
“…mi sembrò monumentale come il bronzo, più antico dell’Egitto, anteriore alle profezie e alle piramidi.”
Ireneo Funes è un ragazzo di Fray Bentos che rimane paralizzato in seguito a un incidente con un cavallo; quando il narratore torna nel paesino (dove, qualche tempo prima, era stato in villeggiatura) Funes gli domanda un libro latino, senza conoscere il latino, accompagnato da un dizionario. Dovendo, per un imprevisto, ripartire, il narratore si reca da Funes e lo trova nella sua camera, immerso nell’ombra, mentre declama in latino il primo paragrafo del capitolo XXIV del libro VII della Naturalis historia di Plinio il Vecchio.
Il narratore lo paragona addirittura ai superuomini (“uno Zarathustra selvaggio e vernacolo”) a causa della superlativa capacità di memoria causatagli dall’incidente, la quale genera una correlazione indissolubile fra ogni cosa (“Noi, in un colpo d’occhio, percepiamo tre bicchieri su un tavolo; Funes, tutti i rami e i grappoli e i frutti di un pergolato”), realizzando, dunque, la teoria di Spencer enunciata nei Primi Principi, secondo la quale non può non esservi correlazione fra tutte le cose: il mondo, dunque, è una densissima rete di collegamenti e Ireneo la percepisce appieno. Egli, infatti, proprio per questa sua capacità di vedere tutto in modo assoluto e completo, che gli impedisce di generalizzare, appare sovrumano al narratore, che lo considera come l’apoteosi della memoria, ritenendosi indegno di dire: “Ricordo”.
Il narratore ha l’impressione che Ireneo esista da sempre, signore assoluto di tutto: Funes riprende il concetto espresso da una frase del Don Quijote di Menard (protagonista di un altro racconto delle Ficciones), il quale scrive, diversamente da Cervantes, che la storia è la madre della verità, non la sua indagine, e dunque Ireneo, padrone di ogni conoscenza, possiede, nell’ordinato disordine della sua mente, tutta la storia, e di conseguenza tutta la verità, facendole combaciare perfettamente. Inoltre, il narratore evita addirittura di parlare, poiché è inibito dal “timore di moltiplicare gesti inutili”: ciò ricorda la Biblioteca de Babel di Borges, che è “illimitata e periodica”, nella quale “parlare è incorrere in tautologie”.
Ma, proprio perché è signore del tempo e dello spazio e comprende tutto, Ireneo non possiede la capacità di pensare, poiché ciò gli richiede il più grande degli sforzi: generalizzare. L’incapacità di generalizzare riafferma, per contrasto, la libertà dello scrittore (o, più in generale, del pensatore), che, unendo molti concetti in poche sintetiche frasi, elimina l’innecessario; Ireneo, però, non può fare altrettanto: seppure inutili, egli possiede tutte le informazioni e non può perciò racchiudere in un solo pensiero la monumentale enormità dell’insieme di tutti i suoi pensieri, la quale genera un enorme edificio dall’architettura indistruttibile.
di Matteo Amato