Il curioso caso della carneficina dello zodiaco
-Ariete
Ho sempre odiato le fredde mura di una stanza. Sono vuote, atone, come se dovessero essere lì solamente per ordinaria amministrazione. Mi chiamo Stefano, abito a Napoli, sono nato il 21 marzo del 1993 ed ho commesso un omicidio. Molte volte mi chiedevo, e lo faccio ancora adesso, perché al mondo esistessero determinate elementi. E no, signori miei, non sto assolutamente commentando sarcasticamente e, a mio parere, inutilmente, qualcosa che soggettivamente possa piacere ai ragazzini, agli ignoranti o a qualsiasi categoria che è considerata al di sotto della media. Sono qui a far questi pensieri per puro piacere personale e perché l’ho sempre fatto qui, in questo diario. Non sono mai stato un individuo molto prevedibile, probabilmente perché non mi facevo notare poi così spesso. Non mi definirei introverso, più che altro misantropo. Ho sempre odiato gli uomini e il loro comportamento spregevole, molte volte anche me stesso. Quando mi guardavo allo specchio era sempre un festival di insulti, ma non per difetti comuni. La società m’aveva plasmato a suo piacimento inconsapevolmente, spingendomi ad odiare ciò che non ritenevano opportuno. Ho detestato a lungo il mio amore per me stesso, per ciò che gli altri non ritenevano degno di tale, che dovevi respingere forzatamente. Non ho mai studiato al liceo, non mi curavo mai la barba ed ho sempre avuto un’insana passione per lo zodiaco. Sì, quei segni lì. Nessuno si ferma mai a contemplare quanto gli astri siano importanti nella vita di qualcuno, quanto formino una persona e quante cose possano spiegare! Ma non sono qui per parlarvi di questo. So che siete arrivati fin qui, probabilmente annoiandovi, volendo solamente sapere cosa mi ha spinto a commettere un atto così impuro. E chissà, se alla fine della mia storia, riterrete ancora così orribile questo gesto. O meglio… se sia stata davvero colpa mia. E non vostra, ad esempio. La società è come una fune che ti si aggroviglia al collo, piano piano, senza che tu lo voglia. E’ come una condanna a morte per l’esattezza! Sì sì, proprio così. Me la sentivo stretta quella corda, sapete? Faceva male, potevo sentire il flusso d’emozioni strangolarmi. Ero diverso, diverso da tutti. o perlomeno, era quello che mi diceva il cuore. Non comprendevo nessuno, nessuno sembrava comprendermi ed era sempre filato tutto liscio. O perlomeno sembrava. Anche perché, siamo sinceri, non ho poi avuti questi grandi rapporti umani. Voglio bene a mia madre, forse a mio padre, ed ho fatto sesso qualche volta ma non ho mai provato niente per quelle persone. Lo feci con una ragazza un giorno, lei sorrideva e mi sussurrava parole che mi fecero sentire davvero strano. Non me le ricordo per l’esattezza. E’ passato un po’ di tempo, ma rimembro un qualcosa che riguardava il concetto di possessività. Passò un giorno e lo feci con un ragazzo, lui sorrideva e mi sussurrava le stesse identiche parole. Passarono due giorni e mi beccai uno schiaffo da lei, un pugno da lui e non capii il perché allora. “Sei misterioso!” mi avevano detto. “E’ ciò che ti rende attraente.” affermavano con convinzione. E poi? Un pugno ed uno schiaffo in faccia? Poi il pazzo sono io! Non capivo, non capivo, non capivo… però poi mi venne in mente la soluzione! E che soluzione…. Società. La società imponeva che io dovessi consumare i miei bisogni con uno solo di loro, entro ventiquattr’ore, altrimenti sarei stato etichettato come uno stronzo, come un bugiardo e come un traditore. Traditore? Io? E perché? Credevo di essere stato abbastanza chiaro. O forse no, non ho parlato tutto il tempo durante l’atto entrambe le volte. Gli anni del liceo passavano con tortuosa velocità. Mi sembrava di aver dedicato una vita intera a me stesso, sebbene lo studio e “lo stile di vita sano” non fossero esattamente i miei migliori amici. Nessuno lo era. Ero soddisfatto. Sessanta all’esame di maturità e poi nulla, assolutamente il vuoto. Disoccupato per due anni. La situazione a casa non è mai stata delle più eccelse. I miei genitori sono sempre stati separati, fin dai miei due anni a quanto dice mia madre, e non ne ho mai fatto problemi. Vivono tranquilli, io vivo tranquillo e papà veniva ogni fine settimana da ormai un decennio a questa parte. Il problema più fastidioso sono sempre stati i soldi. Scarseggiavano e, soprattutto, non si riusciva mai a trovare un modo per guadagnare. Mamma lavorava come cameriera in un ristorante di quartiere. Il nome? Sinceramente non lo ricordo, non ci sono mai andato in dieci anni. Quel che so è che non viene pagata quando dovrebbe, il suo capo è un essere egoista e trova sempre diversi inganni per tenersi i guadagni per sé e, chissà, magari un giorno scappare col denaro. Sinceramente non lo biasimo. Avrei fatto lo stesso. Ma la vita è una ruota, gira e si ferma dove vuole. Mi sono dovuto adattare e quindi, senza vergogna, andai a fare il commesso in umile negozio d’abbigliamento. La paga non era granché, facevo il minimo e non mi sforzavo nemmeno di essere cordiale coi clienti. Il mio lavoro era rimanere dietro la cassa, fare i conti e restare seduto. Non dovevo e volevo fare nient’altro, perché a consigliare combinazioni di colori, abbinamenti e chissà che altro c’erano le mie colleghe. Una di queste mi colpì particolarmente: si chiamava Chiara. E, fidatevi, di chiaro non avevo un bel niente.
di Pierluigi Guarino