Caspar David Friedrich
Olio su tela, 1808-10, (110x175cm)
Berlino, Alte Nationalgalerie
Cos’è un uomo di fronte alla natura? Nulla, riponde Caspar D. Fiedrich, il cui “Wanderer über dem Nebelmeer” (“Viandante sul mare di nebbia”) è considerato il “manifesto” della pittura romantica: la nebbia che si profila davanti agli occhi del viandante, avvolgendo tutto con il suo manto opaco, esprime l’insignificanza dell’uomo di fronte alla natura e la sua solitudine nella ricerca di Dio.
Questa inconsistente vastità divina si ritrova anche nel “Mönch am Meer” (“Monaco in riva al mare”), dipinto da cui Goethe ricavò una forte impressione, passando, come tutti romantici, da una concezione teosofica del mondo a una sotterranea percezione panteista; ciò racchiude il motivo di un amore profondo per la natura. E quindi gli oggetti, come dice il poeta Eichendorff, hanno un’anima:
“Schlӓft ein Lied in allen Dingen
die da trӓumen fort und fort
und die Welt hebt an zu singen
triffst du nur das Zauberwort.”
“Dorme un canto in tutte le cose
che continuano a sognare
e il mondo comincia a cantare
se tu soltanto troverai la parola magica.”
Dio è, dunque, in ogni cosa, e perciò il monaco appare tanto piccolo e insignificante di fronte al mare sterminato, l’”alto mare aperto” che tanto attira l’Ulisse dantesco e che ne è la rovina (e forse è anche questo che Friedrich sottintende: la grandezza e la pericolosità del mare, dunque di Dio, dunque della natura, che, bella e terribile a un tempo, tolse il fratello al pittore ancora giovane); le “colonne d’Ercole” del monaco sono rappresentate dalla spiaggia, che funge da confine tra l’uomo e la natura, tra il terreno e il divino.
Friedrich ha dipinto quest’opera in modo da obbligare l’osservatore a fissare l’attenzione sull’enorme contrasto fra la piccola figura del monaco e l’immensità del mare, che sembra quasi abbracciare l’uomo sulla riva (questa impressione è aumentata dal fatto che il monaco indossa un abito di colore scuro come il mare), e del cielo che, sfumando verso l’alto in tonalità più chiare, dà l’idea dell’inarrivabile ὕψος che è in Dio e, dunque, in tutte le cose.