Bar PETRARCA 1973 – 1989
Storie di un’estate che non finisce mai
C’era un tempo in cui l’estate aveva un respiro diverso.
Lo sentivi nell’aria, lo vedevi nei gesti semplici delle persone, lo riconoscevi nei piccoli riti quotidiani.
In quel tempo c’era anche lui: il Bar Petrarca.
Nato con amore e semplicità, costruito dalla mia famiglia come chi mette al mondo un sogno.
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All’inizio era bar e alimentari insieme: il pane fresco, il latte, le uova… e la scusa per fermarsi a bere un caffè o una gassosa.
Poi, come succede alle cose vive, anche lui cambiò pelle: via le sporte della spesa, dentro il jukebox, il flipper e i primi videogiochi.
Con Pac-Man, il “serpentone” e le navicelle spaziali, i pomeriggi si riempivano di ragazzi e bambini.
Attorno, le “capannelle” di spettatori tifavano, trattenevano il fiato, sospiravano al game over.
Non era solo un gioco per chi metteva il gettone: era uno spettacolo quotidiano, sempre nuovo, sempre emozionante.
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E poi c’era lui, il jukebox.
Cento lire bastavano per riempire l’aria di musica.
Alcune canzoni partivano dieci, venti, cento volte al giorno, fino a diventare la colonna sonora di un’estate intera.
Noi che ci lavoravamo le conoscevamo a memoria, e ogni volta che partiva la solita melodia ci scappava un sorriso: un po’ di complicità, un po’ di rassegnazione.
Ma era proprio questo il bello: vivere tutti dentro la stessa musica.
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Fuori, il biliardino trasformava le partite in sfide rumorose.
Niente tornei ufficiali, ma campioni riconosciuti da tutti.
La piazzetta con i tavolini accoglieva gli adulti: chiacchiere, risate, bicchieri freschi, mentre i bambini correvano e la musica arrivava da dentro.
E certe sere spuntava una chitarra: sotto le stelle le voci si univano, spontanee e vere.
Sembrava che il tempo si fermasse.
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Il Bar Petrarca non era solo svago, ma anche servizi che facevano la differenza.
Eravamo tra i pochi a vendere sigarette: ognuno lo riconoscevamo dal pacchetto che fumava.
Bastava vederlo entrare e il pacchetto era già pronto sul banco.
Poi arrivò il telefono a gettoni.
Una cabina improvvisata che prometteva privacy… ma era solo un’illusione!
Dentro si soffocava dal caldo, fuori il jukebox sparava musica, i bambini urlavano al bigliardino e la fila cresceva.
Al momento giusto, una mano spuntava dalla porta:
«Mi dai altri dieci gettoni?».
Si usciva madidi di sudore, ma felici di aver “preso la linea”.
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Il cuore del Bar aveva un nome: mamma Esterina.
Per tutti era “la signora Esterina”: con il suo sguardo vivo e la sua energia travolgente sapeva far sentire chiunque a casa.
Senza di lei, non era lo stesso.
La prima domanda, quando mancava, era sempre: «Ma dov’è la signora Esterina?».
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Il nome “Petrarca” nacque da un sogno.
Mamma vide dei marinai: uno le porse un foglio e le disse con insistenza “Firma, firma”.
Al risveglio capì: qui a Strongoli Marina era stata affondata la nave Petrarca durante la guerra. Quel nome sarebbe stato un omaggio ai caduti del mare.
Quando poi arrivò l’insegna, lo stesso marinaio le apparve di nuovo in sogno.
Questa volta sorrise soltanto e disse: «Grazie».
E così il Bar Petrarca nacque con un’anima: un luogo di memoria e di vita.
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Gli anni sono passati, e con loro tante estati.
Abbiamo visto crescere intere famiglie: bambini diventati ragazzi, ragazzi tornati con le fidanzate, poi con i figli.
Abbiamo raccolto sorrisi, confidenze, addii e ritorni.
Ogni estate era un capitolo nuovo, scritto con gli stessi volti e gli stessi cuori.
Il Bar Petrarca è stato le nostre estati.
Estati senza cellulari, senza filtri, con poche foto ma tantissimi ricordi.
Perché le immagini più belle non stanno negli album, ma nei nostri cuori: nei profumi che tornano all’improvviso, nelle melodie che ancora risuonano dentro di noi.
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Oggi, dopo tanti anni, so che quel bar non era soltanto un posto.
Era una comunità, un’accoglienza, un modo di stare insieme.
Era casa.
E con gratitudine, diciamo grazie a chi ha riso, cantato, giocato, amato sotto le sue insegne.
Il Bar Petrarca non c’è più, ma continua a vivere:
nei ricordi, nella memoria collettiva, nella leggerezza delle cose belle che sanno durare.