I diritti imprescindibili del lettore

1. IL DIRITTO DI NON LEGGERE

[…] la maggior parte dei lettori si concede quotidianamente il diritto di non leggere […] Tra un buon libro e un brutto telefilm, il secondo ha, più spesso di quanto vorremmo confessare, la meglio sul primo. Inoltre, non leggiamo sempre. I nostri periodi di lettura si alternano sovente ad alcuni digiuni durante i quali la sola vista di un libro risveglia in noi i miasmi dell’indigestione[…]

Ma guardiamoci dall’associare [...] il corollario secondo il quale ogni individuo che non legge dovrebbe essere considerato a priori come un potenziale bruto o un cretino assoluto. Poiché, così facendo, faremmo passare la letture per un obbligo morale e questo sarebbe solo l’inizio di una spirale che porterebbe poi a giudicare, per esempio, la “moralità” dei libri, in funzione di criteri che non avrebbero alcun rispetto per l’altra libertà inalienabile: la libertà di creare. A quel punto il “bruto” saremmo noi, per quanto “lettori”. E Dio sa se il mondo non è pieno di bruti di questa specie.[…]

Se possiamo tranquillamente ammettere che un singolo individuo rifiuti la lettura, è intollerabile che egli sia – o si ritenga – rifiutato da essa.

È una tristezza immensa, una solitudine nella solitudine essere escluso dai libri. Anche quelli di cui si può fare a meno.

2. IL DIRITTO DI SALTARE LE PAGINE

Ho saltato delle pagine […]. E tutti i ragazzi dovrebbero fare altrettanto. In questo modo potrebbero buttarsi prestissimo su tutte le meraviglie ritenute inaccessibili per la loro età.[…] Un grave pericolo li minaccia se non decidono da soli quel che è alla loro portata saltando le pagine che vogliono: altri lo faranno al posto loro.

3. IL DIRITTO DI NON FINIRE IL LIBRO

Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo prima della fine: la sensazione del già letto, una storia che non ci prende, il nostro totale dissenso rispetto alle tesi dell’autore, uno stile che ci fa venire la pelle d’oca […] Inutile enumerare le 995 altre ragioni, fra le quali si debbono tuttavia annoverare la carie dentale, le angherie del capoufficio o un terremoto del cuore che ci paralizza la mente.

4. IL DIRITTO DI RILEGGERE

Rileggere quel che una prima volta ci aveva respinti, rileggere senza saltare nessun passaggio, rileggere da un’altra angolazione, rileggere per verificare […]

Ma rileggiamo soprattutto in modo gratuito, per il piacere della ripetizione, la gioia di un nuovo incontro […]

“Ancora, ancora”, diceva il bambino che eravamo un tempo. Le nostre riletture di adulti nascono dallo stesso desiderio: incantarci di una permanenza e trovarla ogni volta così ricca di nuovi incanti.

5. IL DIRITTO DI LEGGERE QUALSIASI COSA

[…] Ci sono “buoni” e “cattivi” romanzi, molto spesso sono i secondi che incontriamo per primi sulla nostra strada e, parola mia, quando toccò a me, ricordo di averli trovati “belli un casino”. Ma sono stato fortunato: nessuno mi ha preso in giro… qualcuno ha solo lascito sul mio passaggio qualche “buon” romanzo guardandosi bene dal proibirmi gli altri.

6. IL DIRITTO DEL BOVARISMO

È questo, a grandi linee, il “bovarismo”, la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni:

l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’identificazione che diventa totale e il cervello che prende (momentaneamente) le lucciole del quotidiano per le lanterne dell’universo romanzesco…

È il nostro primo stato di lettori.

7. IL DIRITTO DI LEGGERE OVUNQUE

Qualunque luogo è buono per chi ami la lettura…

Leggete l’esempio che riporta Pennac nel suo saggio Come un romanzo:

Châlons sur Marne, 1971, inverno.
Caserma della scuola di Applicazione di Artiglieria.
All’assegnazione mattutina delle corvé, il soldato di seconda classe Tizio (Matricola 14672/1, ben noto ai nostri reparti) si offre sistematicamente volontario per la corvé meno popolare, più ingrata, assegnata spesso a titolo di punizione, vero oltraggio agli onori più temprati: la leggendaria, infamante, innominabile corvé delle latrine.
 
Tutte le mattine.
Con lo stesso sorriso. (Interiore.)
“Corvé delle latrine?”
Fa un passo in avanti:
“Tizio!”
 
Con la gravità estrema che precede l’assalto, egli afferra lo spazzolone da cui pende lo strofinaccio come se si trattasse dell’insegna della compagnia, e scompare, con gran sollievo della truppa. È un coraggioso: nessuno lo segue. L’intera armata rimane trincerata al sicuro fra le corvé rispettabili.
 
Le ore passano. È dato per perso. È quasi dimenticato. È dimenticato. Ma a fine mattina riappare, battendo i tacchi per il rapporto al maresciallo della compagnia: “Latrine impeccabili, mio signor maresciallo!” Il maresciallo recupera spazzolone e straccio con negli occhi un interrogativo profondo che non formula mai. (Rispetto umano impedisce). Il soldato saluta, fa mezzo giro e si ritira, portando con sé il suo segreto.
 
Il segreto pesa un bel po’ nella tasca destra della tuta mimetica: 2900 pagine del volume che la Pléiade dedica alle opere complete di Nicolas Gogol’. Un quarto d’ora di strofinaccio per una mattinata di Gogol!... Ogni mattina da due mesi di inverno, comodamente seduto sul trono nella ritirata chiusa a doppia mandata, il soldato Tizio vola ben al di sopra delle contingenze militari. Tutto Gogol’! Dalle nostalgiche Veglie, agli esilarianti Racconti di Pietroburgo, passando per il terribile Taras Bul’ba, e il riso nero delle Anime morte, senza dimenticare il teatro e la corrispondenza do Gogol’, quell’incredibile Tartufo.
 
Perché Gogol’ è come un Molière inventato da Tartufo – cosa che il soldato Tizio non avrebbe mai capito se avesse passato ad altri quella corvé.
 
L’esercito ama celebrare i fatti d’armi.
Di questo, non restano che due alessandrini, incisi molto in alto sulla ghisa di uno sciacquone e che sono da considerarsi fra i più eccelsi della poesia francese:
 
Non mento se dico, sedete, maestrine,
che tutto Gogol’ io lessi nelle latrine.
 
(Dal canto suo, il vecchio Clemenceau, “il Tigre”, famoso soldato anche lui, era grato a una cronica stitichezza senza la quale, affermava, non avrebbe mai avuto la fortuna di leggere le Memorie di Saint-Simon.)

8. IL DIRITTO DI SPIZZICARE

È la libertà che ci concediamo di prendere un volume a caso della nostra biblioteca, di aprirlo, dove capita e di immergercisi un istante, proprio perché solo di quell’istante disponiamo.

[…] Quando non si ha né il tempo né i mezzi per concedersi una settimana a Venezia, perché negarsi il diritto di passarvi cinque minuti?

9. IL DIRITTO DI LEGGERE A VOCE ALTA

“[…]tornata a casa rileggevo tutto ad alta voce.
Perché?
Per la meraviglia. Le parole pronunciate si mettevano ad esistere al di fuori di me, vivevano veramente.[…]”

L’uomo che legge a viva voce si espone completamente.

Se non sa che cosa legge, è ignorante nelle parole, è qualcosa di penoso, e lo si capisce. Se si rifiuta di abitare la sua lettura, le parole rimangono lettera morta, e si sente. Se riempie il testo della sua presenza, l’autore si ritrae, è un numero da circo e si vede. L’uomo che legge a viva voce si espone completamente agli occhi che lo ascoltano.

Se legge veramente, se ci mette il suo sapere dominando il piacere, se la lettura è un atto di simpatia per l’uditorio come per il testo ed il suo autore, se egli riesce a far sentire la necessità di scrivere risvegliando i nostri più oscuri bisogni di capire, allora i libri si spalancano e in essi, dietro a lui, si riversa la folla di coloro che si credevano esclusi dalla lettura.

10. IL DIRITTO DI TACERE

L’uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire. […]

Le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.