Non vanno usati come contorno, perché non sono verdura.
Non sostituiscono il secondo, perché oltre alle proteine contengono amido (mentre le carni no).
Non devono essere ignorati per tutto l’anno per poi essere consumati a palate a Capodanno (così non portano soldi, ma tanto gonfiore).
Non è detto che se non li digerisci una volta, non li puoi più mangiare.
Il galateo del legume
E’ soprannominato la “proteina dei poveri” perché in passato era la fonte proteica maggiormente consumata dai contadini; oggi sappiamo che il suo valore biologico (la capacità di sostituire in una certa percentuale di proteine che compongono il nostro organismo) è inferiore rispetto a uova, carni e formaggi e quindi il suo significato si è spostato verso un alimento meno “prestigioso”.
Ma il denigrarlo è solo una delle numerose ingiustizie che si commettono nei suoi confronti.
Iniziamo dal definirlo da un punto di vista biochimico: è costituito sia da proteine, sia da amido, fibre e micronutrienti (vale a dire minerali e vitamine). Quindi sarebbe scorretto utilizzarlo come secondo, magari dopo un bel primo importante! La mossa vincente è utilizzarlo per condire il primo: pasta e ceci, pasta e fagioli (senza cotenne o altre variazioni sul tema per renderla più light) o riso e bisi sono ottimi piatti unici da abbinare a una verdura per completare il pasto senza troppi ingredienti in cucina.
Perché abbinarlo a un carboidrato? Perché è vero sì che contiene proteine, tuttavia tra gli amminoacidi che le compongono risultano assenti quelli contenuti nelle proteine del cereale: pertanto, per avere un pool di amminoacidi (e quindi di proteine) complete occorre abbinare questi due alimenti.
Siete preoccupati per le calorie? Basterà ridurre di poco la quota di cereale e il gioco è fatto. In più va tenuto presente che la quantità di fibra presente nel legume svolge una funzione chelante nei confronti degli zuccheri: va a “sequestrare” ai villi intestinali le molecole di glucosio prodotte dalla digestione del carboidrato, riducendone la quota assorbita. E anche la glicemia ne trova giovamento.
A proposito di fibre
La responsabile dei gonfiori addominali e dei gas è la fibra del tegumento esterno del legume. Se è da molto tempo che non vengono consumati ricorrere ai legumi decorticati o spezzati: si tratta di legumi ai quali è già stata tolta la buccia e risultano tollerati anche dai bambini che iniziano a introdurli.
Un’altra idea molto valida per le zuppe di legumi è di passare al passaverdure il legume: in questo modo il reticolato dello strumento farà da filtro per le bucce, liberando solo la parte interna. Se non avete il passaverdure non usare il frullatore a immersione! Quello frulla, ma non separa nulla.
Lo step successivo è quello di utilizzare la pasta fatta con farine di legumi: sono molto colorate e attraenti (anche per i più piccoli) e sono un’alternativa veloce perché cuociono negli stessi tempi e modalità della pasta classica.
Infine è bene ricordarsi che le frequenze settimanali per il consumo di legumi (in contesto di dieta onnivora, anche iperproteica) è di 3 volte a settimana: se questa frequenza dovesse dare fastidio all’intestino ridurre a 1 per poi aumentare gradualmente.
Motori e alimentazione sono (secondo me) un paragone azzeccatissimo.
Dobbiamo trattare il nostro organismo come se fosse un’auto da corsa: scattante, con una buona tenuta di strada ma senza appesantirla più del dovuto.
Ogni sportivo che si rispetti, che sia amatoriale o professionista, ha uno stile di vita che gli consente di gestire al meglio le sessioni di allenamento e le gare. La specificità degli allenamenti, il miglioramento del gesto tecnico sono importanti quanto la giusta alimentazione: perché alla fine ciò che mangiamo è il carburante dell’organismo.
Vista l’emozionante gara di ieri oggi entrerei nel dettaglio di come si alimenta un pilota di F1. Certe indicazioni possono però andar bene anche per altre tipologie di sport 😉
Per sostenere una prova su pista occorre tener presente che l’organismo deve essere lucido e pronto di riflessi: i piloti di questa specialità sono infatti addestrati a sopportare e gestire altissimi livelli di stress ed è fondamentale che la digestione sia stata completata affinchè non vada a sottrarre energie e che la circolazione non sia maggiormente impegnata a livello intestinale che non al cervello.
Qual è la strategia? Alimenti facilmente digeribili almeno 2 ore dall’inizio della competizione o allenamento. Per alimenti digeribili intendo una fonte di carboidrati (come riso e pasta) associata a una fonte proteica magra (come carne bianca o bresaola) e verdure rigorosamente non bollite o molto fibrose.
Va quindi evitato tutto ciò che rallenta la digestione come grassi (no a burro, frutta secca e abbondare con l’olio), ma anche cotture che sovraccaricano lo stomaco come le bolliture e il lessato.
Anche lo stato di idratazione è molto importante: se si pensa alle temperature percepite nell’abitacolo e alla durata della gara la possibilità di disidratazione è molto alta e meno acqua c’è, meno il muscolo e il cervello lavorano in maniera efficace. Avere un buono stato di idratazione non significa bere alla goccia litri d’acqua prima della competizione, ma mantenere un apporto di liquidi costante durante tutta la sessione sportiva per abituare il rene a gestire le scorte idriche.
Nel post gara ci si può quindi concedere quel qualcosa in più o di diverso, ma con un occhio di riguardo allo stato di idratazione (vale a dire non eccedere con gli alcolici che peggiorano la situazione) e anche per il recupero muscolare. Quindi sì a un secondo con contorno e patate e volendo un piccolo dolce a base di yogurt e qualche biscotto nel dopocena.
Oltre a questi due momenti sono presenti anche spuntini a base di frutta e acqua (o anche the e tisane per migliorare l’assorbimento dei liquidi) e una buona colazione con farina di avena, frutti e semi.
Il peso pilota è un altro fattore da considerare: anche se dal 2019 è stata introdotta la regola di gara del peso minimo di 80Kg, la forma fisica del pilota è da tenere monitorata per avere sempre ottime prestazioni, sicurezza al volante e lucidità.
Ovviamente l’alimentazione specifica di ciascun pilota deve essere personalizzata sulle esigenze e i gusti personali: ad esempio il campione in carica Lewis Hamilton di recente ha dovuto studiare il modo ideale per passare da una dieta onnivora a una vegetariana, andando a sostituire carne e derivati animali con legumi, falafel e tofu senza però trascurare il gusto apporto proteico.
Da qualche tempo sui social, siti web e chat online si sente parlare di dieta chetogenica o keto diet.
Spesso e volentieri viene decantata come dieta “brucia grassi” e chi la promuove (dal professionista qualificato al testimonial) ne vanta gli effetti dimagranti. Questo perché – purtroppo – con la parola “dieta” si intende spesso e volentieri qualcosa che debba necessariamente far dimagrire e privare del piacere di sedersi a tavola. In realtà la dieta chetogenica nasce da ben altri propositi.
Per anni messa in discussione perché in contrasto con la dieta mediterranea, la dieta chetogenica nasce in realtà per curare l’epilessia farmaco resistente nei bambini. Può essere impostata esclusivamente con gli alimenti oppure avvalersi di integratori ad hoc per incrementare la quota di grassi.
L’obiettivo è quello di togliere al corpo tutte le fonti di zuccheri (e carboidrati) che si possono ingerire con la dieta e obbligarlo quindi a produrseli da solo, convertendo le riserve di grasso corporeo in corpi chetonici (l’acetone di quando si ha la nausea, per capirci) e utilizzarli come fonte di energia alternativa. In gergo si dice che il corpo va in una condizione di chetosi controllata.
Come si possono sostituire i carboidrati?
Con i grassi, che sono i grandi protagonisti di questo protocollo alimentare. Se in una dieta mediterranea o dieta bilanciata abbiamo un apporto di grassi pari al 25-30% di tutto ciò che si consuma in un giorno, nella dieta chetogenica avremo almeno il 50% dei grassi presenti.
I carboidrati saranno relegati a una piccolissima quota, altrimenti non si avrà più il fenomeno della chetosi.
E le proteine?
La maggior parte cade in errore su questo punto perché pensa a una dieta iperproteica e va ad alzare la quota di cibi proteici da introdurre. Sbagliatissimo! Se vogliamo fare la dieta chetogenica le proteine saranno le stesse che si vanno a introdurre in una dieta mediterranea o bilanciata. Per ricordarsi di questo aspetto basta pensare alla storia della chetogenica: era destinata a pazienti di età pediatria che, per via delle loro caratteristiche fisiologiche, non devono assolutamente aumentare la quota proteica più di un certo valore fissato dalle linee guida.
Ma la dieta chetogenica fa dimagrire?
Dipende dalle calorie. Facciamo un esempio: se il mio fisico per dimagrire deve rimanere sulle 1500 Kcal al giorno, io posso usare il modello chetogenico per quanto riguarda la scelta degli alimenti, ma devo necessariamente rimanere sotto quella soglia calorica, altrimenti o non perdo peso oppure ingrasso! La caloria è sempre una caloria in qualsiasi dieta.
Perché in passato la dieta chetogenica è stata vista con sospetto?
In passato non si avevano sufficienti evidenze scientifiche per classificare questa strategia come buona pratica alimentare. In ambito medico era consentita solo per contrastare gli effetti di certe patologie come appunto l’epilessia non curabile con i farmaci o le emicranie croniche. Ed era utilizzata da molti bodybuilder che purtroppo hanno pagato un prezzo molto alto in termini di salute perché utilizzata in maniera non corretta. Ad oggi si sa che è una valida dieta per riformulare la composizione corporea, perdere peso quando ci sono condizioni particolari come il diabete mellito di tipo 2 o l’obesità avanzata quando la classica dieta ipocalorica bilanciata non è sufficiente a garantire il dimagrimento. Ad oggi in Italia è utilizzata in molti campi, ma in Svizzera è ancora in fase di approvazione, tanto da essere definita come atto medico.
E’ adatta a tutti?
Assolutamente no. Ad esempio per chi soffre di diabete mellito di tipo 1 e per chi ha problematiche legate all’apparato cardiocircolatorio è sconsigliata. In ogni caso chiunque voglia avvicinarsi a questo stile di alimentazione deve necessariamente essere seguito da un professionista che saprà consigliare metodi e tempistiche corrette per garantire il risultato senza compromettere la salute.
Nonostante la recente notizia dell’allentamento di alcune misure restrittive per prevenire la diffusione del coronavirus, dobbiamo rimanere in allerta (senza allarmismi) non solo per scongiurare i contagi, ma anche per avere un outcome dalla malattia meno traumatico possibile.
Finora la maggioranza si è convinta che i soggetti più colpiti sono le persone con età superiore ai 60 anni e chi soffre di patologie a carico dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio o altre problematiche che minacciano la salute in maniera significativa. Pertanto, contrarre il virus darebbe il colpo di grazia a situazioni già molto precarie.
Tuttavia la convinzione che il virus sia meno aggressivo nei confronti dei soggetti sotto i 50 anni non è una verità assoluta.
Un recentissimo studio condotto su 88 ospedali negli Stati Uniti ha analizzato la popolazione ricoverata per covid. Oltre a considerare l’età, l’etnia, il sesso e le patologie (se presenti) dei pazienti l’ha anche analizzata in base al suo BMI (body mass index o indice di massa corporea, che in maniera semplicistica si potrebbe definire “rapporto peso altezza”).
Tra gli under 50, l'85% è risultato in sovrappeso (BMI: 25-29 Kg/m2) o obeso (BMI: ≥ 30 Kg/m2), rispetto, per esempio, al 54% degli over 70. Ma ciò che ha sconcertato di più è stato il rischio di mortalità che tra i gravemente obesi è risultato del 36% superiore ai pari età ma normopeso.
Oltre al discorso sull’aumento dei casi di sovrappeso-obesità delle generazioni più giovani si può concludere che un BMI più elevato del normale è risultato correlato a complicanze a carico dell’apparato circolatorio.
Gli Autori individuano le persone obese come coloro che hanno maggiori probabilità di essere ricoverate in ospedale se colpiti da Covid-19 rispetto ai normopeso. Una volta ricoverati, poi, il rischio di complicanze, ventilazione meccanica e mortalità è per loro più alto, anche se quando l’età dovrebbe in teoria giocare a loro favore.
Concludono quindi che i gravemente obesi andrebbero considerati ad alto rischio, indipendentemente dall’età.
Data inoltre la scarsa disponibilità di vaccini a tappeto per la popolazione, una presa di coscienza riguardante il proprio stato di salute è assolutamente necessaria: è vero che siamo in vista del Natale, ma a differenza degli anni passati – in parte perché non potremo festeggiare con tavolate e cenoni epici – dovremmo davvero iniziare a pensare che la prima prevenzione avviene a tavola. Non si tratta di grosse privazioni, ma di piccole modifiche e miglioramenti che possono davvero fare la differenza su tanti fronti.
Non si vive per mangiare, si mangia per vivere.
Quest’anno sarà un Natale molto diverso per la maggior parte di noi. Le norme imposte per fronteggiare l’emergenza sanitaria vietano gli assembramenti, anche solo per scambiarsi gli auguri.
Come nutrizionista so benissimo che questo periodo dell’anno coincide con il “la dieta la riprendo a gennaio” come proposito dell’anno nuovo.
Ma dato che questo 2020 è stato segnato da una serie di eventi che hanno messo a prova la nostra capacità di mantenere uno stile di vita corretto, a Natale vediamo come gestire al meglio i pasti che generalmente attentano alla nostra linea, ma senza toglierci il piacere di vivere la festività.
Visto che ormai dobbiamo anticipare tutto di 2 ore per via del coprifuoco, giochiamo d’anticipo anche sui buoni propositi.
Il consiglio più facile da ricordare e che rammento spesso è “UNA P SOLA NEL PASTO”.
Questo significa che non devo rinunciare a tutte le pietanze più golose e ridurmi a scegliere solo le più light, ma fare un’attenta scelta per evitare i dannati chili di troppo e anche le complicazioni legate alla digestione.
In parole povere questo significa che in un pasto deve esserci o un primo, o del pane, o le patate o il panettone/pandoro.
Non voglio assolutamente privarmi del panettone o del pandoro a fine pasto?
Va benissimo! L’importante è non esagerare con il primo (pasta, risotto, lasagne,…) scegliendone una porzione piccola o evitandolo del tutto - se non avete ancora pensato al menu – non cedere alla tentazione del pane a tavola che se serve per accompagnare delle verdure o della carne va bene, ma se deve sommarsi al primo e alle patate (che ricordo NON SONO UNA VERDURA) risulta eccessivo nella totalità del pasto!
Ci tengo a specificare questo perché spesso siamo portati a pensare che se un alimento sia da evitare o da ridurre, è perché sia dannoso per la salute. Nulla di più sbagliato: non esistono assolutismi in nutrizione che etichettino un alimento come “eccellente” e quindi da consumare senza limiti di dose e abbinamenti, ma nemmeno cibi “che fanno male” e che quindi siano da mettere al bando dalle nostre cucine.
Esistono cibi che in certe dosi e frequenze sono benefici o dannosi per l’organismo, come anche altri cibi che consumati insieme ad altri possono giovare o nuocere. E non è nemmeno detto che un alimento che sia poco consigliato per me lo sia anche per tutti gli altri che mi stanno accanto. Questa è appunto la personalizzazione della dieta.
Anno Nuovo, Vita Nuova. Vale anche per le diete?
Periodicamente siamo bombardati dall’annuncio di nuove diete “miracolose” che fanno perdere peso, che fanno perdere liquidi, che fanno perdere grasso localizzato…e fanno perdere voglia di vivere. Sì, perché nella maggior parte dei casi ci costringono a mangiare un solo tipo di alimenti a iosa da Capodanno a Natale. Il risultato è che ogni fine anno ci troviamo concordi a dire “dal 2 gennaio mi metto a dieta” ma anche “ah no, le diete non fanno per me” e infine “ma sono sempre a dieta! Eppure non vedo risultati”
Dai, quest’anno facciamo qualcosa di diverso?
Regola N°1: non farti tentare dalla nuova dieta del momento
Lasciamo perdere la sezione “salute e benessere” dei giornali, delle librerie e di tutti i siti non specializzati. Non perché dicano il falso, ma perché spesso e volentieri sono curate da persone che non sono specialisti della salute (ovvero dietologi, biologi nutrizionisti e dietisti) che – senza farlo apposta – non spiegano in modo corretto e chiaro cosa sia davvero la dieta che stanno proponendo nel loro articolo; oppure, al contrario, sono degli esperti massimi della nutrizione, ma spiegano dei concetti che se non si hanno delle nozioni di base in materia possono generare confusione.
Se proprio ci si vuol dare alla lettura meglio scegliere opuscoli e manuali redatti dal Ministero della Salute come ad esempio Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana (ne cito uno random, ma ne esistono altri) che definiscono i concetti cardine per stare in forma 365 giorni all’anno in modo semplice.
Regola N°2: la dieta non è un sacrificio, ma un modo di vivere
Lo spiego usando uno studio recentissimo che trovo estremamente convincente.
Nel 2018 uno studio dell'Università di Harvard si è chiesto quale sia la dieta migliore per rimettersi in forma, preservare la salute e facile da mantenere a lungo termine. Ha fatto uno studio su circa 500 partecipanti: metà di loro hanno seguito una dieta low-carb, l'altra metà low-fat e ad entrambi hanno associato un'attività fisica moderata e quotidiana.
Risultato? Entrambi i gruppi sono migliorati, ma non ci sono state differenze significative (come si dice in gergo): una dieta non è risultata statisticamente migliore dell'altra.
Quindi?! Gli scienziati hanno concluso che una dieta per avere effetti benefici sulla salute deve poter essere portata avanti nella vita senza dover sentire momenti di sofferenza e portare a rinunce. Altrimenti c'è qualcosa che non va e giustamente si molla il colpo. Anche gestire lo stress per gli scienziati è un fattore importante per dirsi in salute: no a improvvisazioni, restrizioni impensabili e diete last-minute.
Regola N°3: non sottovalutare lo stress e le difficoltà
I momenti difficili esistono per tutti: il 2020 è stato qui per dimostrarcelo.
Il problema non viene da ciò che accade, ma da come ci muoviamo noi per andare avanti.
Non riesco a rinunciare al dolce? Colpa di mio marito che copra i cioccolatini e io li trovo in casa…
Faccio fatica ad avere orari fissi per i pasti? Ho un lavoro troppo impegnativo, non riesco a staccare mai!
Sembra un complotto internazionale, vero? Invece no, la colpa è di ognuno di noi che non mette al centro i bisogni di se stesso. Se non voglio mangiare i dolci posso dire a mio marito “comprali pure, ma tienili nascosti così non li vedo e non te li finisco tutti” e se non riesco mai a staccare dovrò imparare a segnare in agenda una mezzora di tempo dedicata a me stesso, come se fosse una riunione improrogabile.
Certo, può succedere l’imprevisto grave dove non si riesce a proseguire come si pensava: posso provare a perseverare, ma se diventa insostenibile allora meglio rivedere i programmi. E il nutrizionista è proprio quella persona che ti ascolta e mette in atto la soluzione migliore per consentirti di andare avanti.
Regola N°4: chiedi sempre aiuto o consiglio a un professionista qualificato
Perché andare da un nutrizionista? Perché è una persona laureata, competente e capace di darti una mano in questo senso.
Mettiamola così: andare dal nutrizionista è come andare a comprare un vestito in un atelier. L’abito non solo deve essere comodo, bello e pratico, ma deve anche vestire bene la persona, non segnare sui fianchi e calzare a pennello per il tipo di siluette. Il nutrizionista è il sarto che sa come regolare l’abito affinchè sia perfetto e su misura dell’interessato. Niente prêt-à-porter, si fa tutto su misura e la cosa migliore è che il prodotto finale non sarà mai fuori moda…come le diete del giornale.
Scusate, ma il paragone viene spontaneo dal momento che il nutrizionista usa lo stesso metro del sarto! 😉
Pronti per il 2021? Che sia l’anno della rinascita.
Quando si reagisce d’istinto, apparentemente senza aver riflettuto si dice che si prendono decisioni di pancia. Come se quella parte anatomica non c’entrasse nulla con il pensiero e le capacità decisionali.
In realtà molte delle nostre azioni sono dettate da un processo che trascende ogni controllo della mente: quante volte è capitato di avere voglia di sgranocchiare qualcosa, senza sentire veramente fame oppure ci si è sentiti intristiti o angosciati senza aver fatto nulla di diverso dal solito.
In tutte queste situazioni il nostro comportamento – che pure a noi appare inspiegabile – è determinato da un secondo cervello: l’intestino.
MICROBIOTA INTESTINALE
Nel nostro tratto gastrointestinale soggiornano milioni di microrganismi che nel loro insieme formano il cosiddetto microbiota intestinale. Non uso il termine flora batterica intestinale perché è un concetto fuorviante: se si pensa a “flora” vengono in mente specie appartenenti al regno vegetale, mentre la popolazione che colonizza questo tratto è prevalentemente composta da batteri, che rientrano in un regno a parte.
Come anche molti spot pubblicitari ci hanno insegnato un intestino in equilibrio con i suoi abitanti è indice di benessere, salute e soprattutto regolarità intestinale. Vero, ma ci sono scoperte recenti che dimostrano che c’è dell’altro…
SIAMO CIO’ CHE MANGIAMO…FORSE
Lo celeberrima frase è verissima e si applica a moltissimi casi: in questo caso il cibo che noi consumiamo per poter essere utilizzato come fonte energetica dovrà essere digerito. Una delle fasi di digestione che sfruttiamo è quella della fermentazione batterica intestinale: fibre insolubili e altri composti vengono infatti digerite in questo tratto, ad opera di questi microrganismi (loro in cambio ci chiedono di essere ospitati e di trattenere una parte del cibo per la loro sopravvivenza).
Perciò una persona quando consuma regolarmente determinati cibi allena il suo tratto intestinale a digerirlo in maniera sempre più efficiente.
Dal momento che non tutti i microrganismi sanno trattare tutti i tipi di cibo ingerito avremo una selezione: solo quelli che saranno in grado di gestire i cibi che il corpo assume riusciranno a sopravvivere.
A questo punto però i batteri presenti saranno selezionati e per garantirsi la sopravvivenza cercheranno di indurre il nostro corpo a preferire solo i cibi che loro sono in grado di elaborare.
COMUNICAZIONE INTESTINO-CERVELLO
Ma quindi cosa c’entra il microbiota sulle nostre decisioni e soprattutto le nostre emozioni?
Gli scienziati hanno individuato un asse di comunicazione (ma forse anche una rete, ancora sono in corso gli studi) tra intestino e cervello. E il fatto sorprendente è che questa comunicazione è bilaterale: il cervello può comunicare con l’intestino, ma può avvenire anche il contrario!
Il primo caso è semplice e immediato da capire: quando si è in tensione difficilmente si pensa di andare il bagno perché il sistema nervoso enterico produce adrenalina che è l’ormone (e il messaggero o neurotrasmettitore) tipico dello stato di allerta. Questa è una delle spiegazioni della stipsi: quando si attraversa un periodo particolarmente duro o stressante la difficoltà di evacuazione è una condizione del tutto normale e transitoria. Inoltre una tensione muscolare continua può essere causa di alterazioni della mucosa intestinale che quindi si rivela un ambiente poco adatto ad ospitare certe specie batteriche (disbiosi)
Il secondo caso è quando i batteri intestinali comunicano la loro situazione al cervello: servendosi degli stessi messaggeri inviano dei segnali al cervello condizionandone le scelte. Ad esempio, tra i vari ceppi batterici presenti nell’intestino ve ne sono alcuni che se in netta maggioranza rispetto a una condizione di equilibrio (eubiosi) rilasciano noradrenalina, un messaggero simile all’adrenalina, che è in grado di andare ad aumentare i battiti cardiaci e a mobilizzare le riserve di glucosio nel sangue affinchè il corpo sia pronto a reagire a un potenziale attacco.
E per questo motivo ci si può sentire agitati anche quando non si avvertono particolari pericoli!
Vi sono studi ancora in corso per capire realmente i meccanismi che regolano questo processo, ma sono già disponibili dei risultati che dimostrano come determinate condizioni psicologiche (stati d’ansia frequenti, depressione) e anche patologie neurodegenerative come il Parkinson possono essere influenzate da un microbiota non in equilibrio.
Come fare?
Sicuramente un consumo di prebiotici – alimenti che i batteri intestinali usano per vivere - vale a dire vegetali e cereali integrali dà beneficio e nutrimento al microbiota, ma in alcuni casi può essere utile un’integrazione probiotica - fermenti vivi da assumere in associazione a una dieta mirata - che vada a riequilibrarne la composizione.
Primavera – cosa preferire a tavola per purificarsi
Piccola introduzione
Sebbene la funzione principale dei reni sia quello di produrre l’urina a partire dal sangue, permettendo di eliminare le scorie presenti nell’organismo, questi due organi risultano molto importanti anche per altre funzioni. Sono i reni, ad esempio, a secernere l’eritropoietina, l’ormone che promuove la maturazione dei globuli rossi o a secernere la renina, un enzima che gioca un ruolo importante nella regolazione della pressione sanguigna. Sono infine i reni a elaborare la vitamina D nella sua forma attiva affinché possa essere utilizzata dall’organismo in modo efficiente.
I reni in quanto organi deputati all’eliminazione di sostanze assimilate dall’organismo coopera con il fegato, il quale se a sua volta risulta sollecitato, si avvale dell’aiuto dei reni che quindi si accollano parte del suo lavoro. Perciò se il rene viene sfruttato più del dovuto si avrà una cattiva filtrazione del sangue, la ritenzione di diverse sostanze e l’aumento del volume di liquidi trattenuti, causando edemi.
Secondo la medicina orientale la primavera è il giusto momento per occuparsi della loro depurazione: se con l’inverno si assiste a un maggior trattenimento di liquidi (un po’ anche per via del fatto che si sente meno la sete), i primi caldi della primavera stimolano questo bisogno indicendo il corpo a depurarsi con maggior efficacia. In questo periodo è normale assistere a una maggior voglia di cibi salati in quanto il sale è il gusto che interessa il bilancio idrico-salino ed è uno dei primi segnali di necessità di depurazione.
Gli alimenti suggeriti sono dunque ricchi di acqua e sali minerali utili per stimolare il rene, correggere il pH urinario e favorire il drenaggio.
Colazione
Fiocchi di avena cotti in acqua (porridge o birchenmuesli) con fragole oppure
Fiocchi di avena tostati al forno con miele e olio di semi di girasole
Pranzo
Verdura indicata: rapanelli, daikon, asparagi, cicoria, carciofi, zucca, porri, tarassaco, sedano, pomodori, fagiolini (cornetti, taccole, piattoni)
Condimenti: olio extravergine per ogni pasto (senza esagerare). Erbe e spezie a piacere, sale se possibile evitare di usarne. Si può preparare una salsa fatta con avocado frullato
Spuntino: centrifugato di verdure e frutta
Infusi indicati
Tiglio (ottimo la sera per rilassare e favorire il drenaggio muscolare)
Liquirizia (tonico per il surrene e lo stomaco)
Ribes nero (anche da lasciare in infusione in acqua per una bevanda fresca)
The mate (massimo 1-2 tazze al giorno)
Biancospino
Regina dei prati
Una delle prime mosse che si fa quando ci si vuol “mettere in riga” è eliminare una categoria di alimenti perché ritenuta particolarmente incisiva sul peso o perché consumata troppo frequentemente.
Viene vista la dieta come un atto punitivo: dato che questo cibo mi piace e non mi trattengo quando ce l’ho sotto gli occhi lo tolgo dalla mia vita perché non mi so comportare bene.
Ecco questo è uno dei primi errori che commettiamo quando vogliamo rimetterci in forma o più semplicemente quado vogliamo educare il nostro corpo (e la nostra mente) al mangiar sano.
Per spiegare meglio questo concetto provo a fare un paragone un po’ azzardato (che può far sorridere per la sua ingenuità), ma penso sia efficace.
Immaginiamo di dover insegnare a un cucciolo (di un qualsiasi animale addomesticabile, o anche l’uomo) una regola: ad esempio a rispettare un limite come il recinto o la cancellata di casa. Gli si fa capire che può muoversi liberamente all’interno del giardino o dell’area delimitata, ma che non si deve assolutamente scavalcare il recinto perché fuori è pericoloso: si rischia infatti di perdersi o di imbattersi in situazioni pericolose.
Può capitare che per un motivo o un altro il cancello rimanga aperto e la tentazione di oltrepassare il confine inizi a farsi sentire. Se becchiamo il nostro cucciolo oltre il confine o sulla linea nell’atto di oltrepassarla la reazione più istintiva è quella di richiamarlo e di ammonirlo affinchè non lo rifaccia più. Se la situazione dovesse ripresentarsi la sgridata potrebbe tradursi in una sorta di punizione, del tipo “fila in camera tua e non uscire più nemmeno in giardino”.
Torniamo a noi e alla voglia di cibi “proibiti”.
Anche noi con il cibo abbiamo lo stesso approccio: metto dei paletti, definisco quali cibi sono “migliori” rispetto ad altri e mi creo la mia recinzione di sicurezza. Tutto procede bene, finchè la mia voglia torna a farsi sentire o qualcuno mi offre un cioccolatino. Per un po’ rifiutiamo, ma poi si cede e si mangia “dell’albero proibito”. E parte il senso di colpa che mi induce a castigarmi.
Arriva però un momento in cui, stanco di reprimermi continuamente, mangio tutto senza ritegno (o per lo meno senza farmi tanti scrupoli) e mi sento in colpa, ma ormai il danno è fatto e mi deprimo annunciando “la dieta non fa per me!”
Come fare?
Mettiamo meno paletti rigidi!
Se mi piacciono certi cibi, ad esempio i dolci, non è privandomene a vita il modo giusto per risolvere il problema: la privazione per il cervello è qualcosa di forte che per natura tenterà di sfidare sempre.
Mi piacciono i dolci, ma so che non posso mangiarli tranquillamente tutti i giorni perché rovinano la salute. Però mi piacciono e resistere alla tentazione di non mangiarne proprio è molto difficile…
Bene, scendo a compromessi: trovo delle alternative sane che poso concedermi più spesso (anche tutti i giorni) e i dolci più importanti me li concedo un paio di volte a settimana. Così rinfranco lo spirito, la mia volontà non vacilla, ma la linea non si appesantisce.
Ognuno di noi può trovare un compromesso che gli permette di raggiungere l’obiettivo fissato, ma senza fare una vita di sacrifici. Il ruolo dell’esperto è quello di valutare la situazione e mettere in atto la strategia vincente.
Smettiamola di essere troppo duri con noi stessi!
E’ da tempo ormai che si parla di digiuno come forma di depurazione dell’organismo o metodica per perdere peso andando a riequilibrare l’organismo.
Ma come in tutti i concetti di nutrizione è facile incappare nell’errore e convincersi di essere sulla buona strada, quando invece l’obiettivo richiede un approccio diverso.
Iniziamo dalle basi.
Per motivi culturali o religiosi siamo indotti a pensare che il digiuno sia un’astinenza prolungata, che può durare giorni se non settimane. E quindi subito ci scoraggiamo.
Molti di noi, senza nemmeno accorgersi, passano diverse ore a digiuno. Ad esempio di notte o tra la colazione e il pranzo quando saltiamo la pausa caffè.
Digiunare significa semplicemente non mangiare. Posso farlo in diversi modi e posso anche seguire la dieta che preferisco (dalla classica mediterranea, alla vegetariana o vegana fino anche alla paleo o chetogenica), ma le ore di digiuno saranno uguali in tutti i casi.
Ovviamente è concesso bere acqua, the o caffè rigorosamente non zuccherati.
Ma come ci si approccia a questo stile?
Se si è abituati ai 5 pasti giornalieri (colazione, pranzo, cena più i 2 spuntini) allora bisognerà procedere per gradi. Si inizia a togliere uno spuntino e dare al corpo qualche giorno per ristabilirsi e poi si può iniziare a pensare di passare al digiuno intermittente vero e proprio che dira 16 ore.
Qui sta a ognuno capire se è più congeniale il digiuno dalle 21 alle 13 (vale a dire che l’ultimo pasto della giornata è la cena e il primo del giorno successivo è il pranzo) oppure in un’altra fascia oraria che va escludere un altro pasto.
Ciò che però rende il digiuno intermittente efficace per il dimagrimento è la restrizione calorica: saltando un pasto, infatti vado a ridurre l’apporto calorico giornaliero senza dover ritoccare le porzioni degli altri pasti. Va da sé che non dovrò mangiare di più negli altri pasti o semplicemente anticipare i pasti perché “ho meno tempo per mangiare”! Questo è un altro approccio, che non rientra nella casistica del digiuno intermittente.
Quali benefici apporta?
Si è visto che il digiuno intermittente può abbassare i livelli di glicemia nel sangue, determinando così una riduzione dell’insulina secreta. Questo approccio viene proposto dagli specialisti proprio a chi soffre di insulino-resistenza e di glicemia sopra i valori normali.
Ha controindicazioni?
Certo, come tutti gli approcci ha delle limitazioni di applicazione. Non è consigliata a chi ha scarso controllo del senso di fame in quanto può indurre a un’abbuffata. Ma attenzione anche all’effetto opposto: è possibile che questo timing di introduzione degli alimenti porti a percepire senso di sazietà al momento del pasto concesso e quindi portare a diminuire l’introito calorico determinando alla lunga uno stato di malnutrizione.
Ogni stile di vita deve essere studiato in relazione alle esigenze lavorative. Un colloquio con un professionista è sicuramente il modo migliore per prendere coscienza delle abitudini da migliorare e trovare il modo più efficace per farlo.
Vuoi avere un corpo da prova costume in poche semplici mosse?
Allora questo articolo non fa per te, perché non esistono trucchetti magici per sfoggiare la “fisicata”.
Se come ogni anno speri di perdere i chili accumulati durante l’anno in poco meno di un mese allora prepariamoci alla cruda realtà: non esistono strategie sottobanco che ti permetteranno di rimetterti in pista.
Quello che come esperta nel campo posso fare è creare un vademecum per arginare i tentativi fallimentari e implementare i risultati.
Iniziamo da tutto ciò che NON devi fare
1) Privarti di ogni genere alimentare o saltare i pasti: sì, il problema di quando si ingrassa è che spesso si mangiano dosi troppo abbondanti (forse). Ma passare dal tutto al niente è un sistema fallimentare perché o non riesci a sostenere il ritmo o appena approdi nel luogo di villeggiatura la tua concentrazione cala (perché ce l’hai fatta, sei in vacanza!) e inizia a mangiare come prima o più di prima.
Risultato: mangiare troppo poco abbassa il metabolismo e lo porta ad accumulare tutto nel momento in cui si torna a mangiare normalmente
2) Ammazzarti di esercizio fisico: se durante l’anno non ti sei mai dato a un’attività fisica costante adatta alle tue esigenze il tuo corpo si è abituato a questo stile di vita. Programmare sessioni di allenamento troppo severe e quotidiane (o anche più volte al giorno) ti porterà a non avere giorni di recupero muscolare con conseguente infiammazione generale e stop forzato per più giorni.
Risultato: allenarsi troppo se non si ha mai fatto attività costante durante l’anno alza i livelli di stress e porta il corpo a uno stato di debilitazione generale che porta all’accumulo
3) Più sono severo con me stesso più chili perdo: più schiaccio l’acceleratore, più velocemente raggiungo i miei obiettivi. Peccato che non siamo in Formula 1, quindi la regola qui non vale. Dimentichiamoci di perdere 7 chili in 7 giorni. Una perdita di peso sana, senza privazioni drastiche prevede -2Kg al mese. Possiamo arrivare anche a 4, ma di certo non a 10. Se così fosse bisogna preoccuparsi.
Risultato: non mangio più niente, ma non scendo di un etto…la dieta non fa per me! E ricomincia il circolo vizioso…
4) Eliminare solo certi alimenti: a volte succede che le porzioni siano adeguate, ma le frequenze degli alimenti siano o troppo ripetute o troppo poco utilizzate. Seguire una dieta non vuol dire necessariamente ridursi il cibo, ma anche capire che non posso mangiare sempre e solo certi cibi.
Risultato: mangio solo un gelato per cena o un grissino tutte le sere e non perdo niente. Ci sta, si parla di grassi e zuccheri. E il resto dei nutrienti come proteine, vitamine e minerali dove sono?
Quindi se proprio vogliamo parlare di come fare per avere un fisico sano dobbiamo fare ragionamenti più profondi
1) Essere onesti con noi stessi: se per tutto l’anno non ho avuto uno stile di vita sano, se cedo ai peccati di gola e mi lascio tentare dal divano allora devo mettermi in pista il prima possibile per recuperare non solo il fisico ma anche la salute (e mantenerla più a lungo)
2) Volersi bene: voler assomigliare a tutti i costi a una delle modelle o influencer del momento è la più grossa mancanza di rispetto che potremmo farci. Ognuno di noi ha delle caratteristiche uniche che ci rendono belli e ci contraddistinguono: non vanno nascoste per omologarci, ma messe in risalto per brillare. Se ho una quarta di reggiseno non ha senso mettersi a dieta per entrare a tutti i costi in un bikini taglia seconda: è come voler tagliare una parte di me e soprattutto spingersi a livelli di malnutrizione poco raccomandabili
3) Fare una dieta per la salute non esclusivamente per l’estetica: non è detto che raggiungendo il peso forma magicamente miglioro il mio aspetto estetico. Ci sono persone che con quei 4Kg in più del peso “raccomandato” hanno un aspetto più radioso e meno sciupato. Non fissiamoci con i numeri
4) Godiamoci le vacanze: che senso ha dover rinunciare a un sacco di esperienze belle in vacanza per paura di perdere definizione e tonicità? Si vive per star bene, non per soffrire vedendo l’amico che mangia il gelato perché “sennò mi sporco la definizione”. Avessi una competizione internazionale dopo le ferie posso anche capire il sacrificio, ma se no via dai, siamo seri…si tratta di una volta all’anno
Detto questo non voglio dire che non si può fare una dieta per una remise-en-forme, ma che per avere dei buoni risultati senza patire eccessivamente occorre pianificare bene…e in anticipo!
Per chi è passato o passerà in studio questa settimana saprà benissimo che ho seguito tutte le partite della Nazionale e a testimonianza dell’emozione vissuta domenica sera troverà il tricolore esposto sulla scrivania.
Non sono assolutamente un’esperta del mondo del pallone (lascio i commenti tecnici ai più informati di me), ma quando scendono in campo gli Azzurri non si può rimanere indifferenti. Per tutto l’anno potremmo anche discutere su quale sia la squadra migliore della Serie A, ma in Europa o addirittura ai Mondiali siamo tutti d’accordo su una cosa: Italia, Italia, Italia!!!
E dopo i simpatici commenti sui social “Pizza batte Kebab”, “Pizza batte Paella” e “Pizza batte Fish and Chips” lasciate a me un secondo di parola per dire: “Mediterranea batte resto d’Europa”.
Anche qui siamo i migliori (e non lo sappiamo)…
Mi spiego meglio: ogni atleta che si rispetti oltre a un allenamento propedeutico e mirato per sviluppare determinate qualità DEVE accompagnare ogni suo sforzo con una dieta adatta.
I motivi sono semplici: avere sufficiente energia per la performance, mantenere il peso corporeo corretto, sviluppare e supportare la muscolatura coinvolta e permettere all’organismo di recuperare nel post-esercizio fisico.
Non voglio concentrarmi sulla polemica CR7 versus Coca-Cola che tutti abbiamo visto, perché non è l’intento di questo articolo: voglio mettere in evidenza che un atleta che si rispetti non consuma la stragrande maggioranza dei suoi pasti in ristoranti stellati dove il gourmet è la parola d’ordine a che a scapito del sano, ma che essere un atleta è un modo di vivere sia dentro che fuori dal campo.
E cos’è la dieta se non un modo di vivere?
Quindi come si regolano gli Azzurri? Dimentichiamoci la famosa Colazione dei Campioni pubblicizzata negli anni passati: la squadra è seguita da un’equipe di esperti biologi nutrizionisti che tracciano linee guida di pasti sani ma appetitosi insieme allo staff della cucina per ogni momento della giornata.
Ci vuole innanzitutto regolarità: il “tanto la dieta la inizio lunedì” o l’essere troppo severi non ha senso. E il fatto che siano campioni non li rende immuni dalle tentazioni…
Altra base fondamentale è che il momento del pasto sia in perfetto stile mediterraneo: tutti insieme in un ambiente rilassato e con la massima serenità. In questo modo anche i meno ligi troveranno lo stimolo per esserlo osservando quelli più attenti.
Mediamente nell’alimentazione del pre-partita si consumano fonti di carboidrati “sani” come pane integrale associati però anche a una quota di proteine ad alta digeribilità come la carne bianca e se il dolce è irrinunciabile solo con frutta disidratata e poca frutta secca. Anche l’idratazione è fondamentale per scongiurare problemi o disturbi durante il gioco.
Nel post-partita è vero che non serve fare scorta di energie, ma lasciarsi andare allo street-food o peggio al junk-food non è la scelta migliore: sicuramente meglio un secondo con verdura e del riso saltato.
E quando c’è la trasferta cosa succede? Basta assicurarsi una dispensa con i must della nostra cucina: parmigiano, prosciutto crudo, bresaola e olio extravergine…tutti cibi facili da trasportare e conservare che vantano di ottimi valori nutrizionali. Oltre al vantaggio biochimico e qualitativo è anche un confort food: che bello non è trovarsi nel piatto qualcosa che ricordi casa anche quando si è chilometri di distanza. E’ come la tifoseria in trasferta per intenderci.
E infine, dato che siamo italiani, quel briciolo di superstizione non ce la leva nessuno: tutti gli atleti hanno quel piatto del pre-partita che se non viene cucinato andrà tutto storto! Ma la scienza dice: mai azzardare piatti diversi prima di una gara: se si vuol sperimentare esistono gli allenamenti apposta.
Siamo sul tetto d'Europa mica per caso!
Il detto “non si sputa nel piatto in cui si ha mangiato” è di un’attualità estrema se si pensa alla sostenibilità ambientale.
I mutamenti climatici registrati nell’ultimo decennio - che sono poi culminati nei giorni precedenti nei 48°C di Siracusa e nei devastanti incendi che interessano le zone del Mediterraneo – testimoniano ancora una volta quanto incisivo sia l’intervento dell’uomo.
Chiaramente per trattare l’argomento in maniera corretta occorrerebbe un team di esperti, ma quello che è ormai chiaro (spero a chiunque) è che la repentinità del cambiamento climatico non è certo un fenomeno naturale e che ognuno di noi deve farsi carico di una parte di responsabilità.
La variazione di soli 2°C può essere irrisoria dal nostro punto di vista: tuttavia è cruciale per la sopravvivenza di diverse specie e, come la teoria dell’evoluzione ci insegna, solo colui che riuscirà ad adattarsi continuerà a vivere.
“Ne rimarrà soltanto uno”
La biodiversità per gli scienziati è la varietà di individui animali e vegetali che grazie alle loro relazioni creano un equilibrio nell’habitat in cui si trovano. Se una specie viene meno o se ne introduce una nuova l’equilibrio si sfalda e occorre ricrearne uno nuovo, ma non senza conseguenze.
Alcune specie possono entrare in competizione tra di loro per assicurarsi il cibo, altre potrebbero essere costrette a migrare per trovare un habitat in grado di accoglierle. E si rischierebbe di arrivare all’estinzione o alla predominazione di una specie su altre.
La piramide alimentare della sostenibilità
Noi come consumatori giochiamo un ruolo pesante sulla biodiversità alimentare: preferire una categoria di alimenti o un prodotto specifico al posto di tanti altri (senza reale necessità) è un feedback che le aziende produttrici nel settore food tengono in considerazione per avanzare proposte sul mercato sempre più attraenti e appetibili.
Faccio degli esempi.
Esempio 1
Al supermercato compro sempre e solo quella marca di grissini perché è fatta con una farina particolarissima e naturalmente priva di glutine. Nota bene: non sono celiaco e non ho bisogno di determinate attenzioni, ma dato che la parola “senza” fa apparire tutto più leggero e senza colpa, la compro. Oppure perché va di moda…insomma, non una reale necessità.
E’ su queste scelte che si fanno le indagini di mercato. In un anno le statistiche riporteranno che c’è stato un aumento del consumo dei grissini in questione, che hanno spodestato altri prodotti simili perché senza glutine e fatti con la farina particolarissima che dicevamo.
Si aumenta quindi la produzione per quei grissini, altri prodotti finiscono nel dimenticatoio, si richiedono maggior quantitativi di materia prima (la farina particolarissima), si coltiva più di quel grano andando a destinare appezzamenti terreni a lui e non ad altri.
Ecco una selezione: se prima avevamo 10 tipi di grano per la farina dei grissini con la scelta del consumatore andiamo a privilegiarne soltanto uno. Perdita della biodiversità che si traduce con un’alterazione dell’equilibrio presente in natura: pensiamo a tutti quegli animali che grazie alla presenza degli altri 9 tipi di grano potevano sopravvivere.
Esempio 2
Mangiare sempre, sempre, sempre le stesse categorie alimentari.
Qui non si tratta di un singolo prodotto, ma di come facciamo gli abbinamenti a tavola o ogni quanto li proponiamo in una settimana.
La famosa storia del “mangiare tutti i giorni verdura e bere tanta acqua” per intenderci.
Le cose si fanno più interessanti quando si parla dei secondi: c’è chi mangia la carne quasi tutti i giorni, chi giura di comprarla massimo una volta a settimana e chi francamente se ne infischia e non ci fa caso.
Finora l’educazione alimentare ci ha insegnato a consumare gli alimenti secondo un ordine piramidale: fare più economia con quelli più in alto e adottare un comportamento più rilassato con le frequenze di quelli posti alla base.
Tali scelte sono state modulate alla base dell’alimentazione mediterranea, un regime alimentare adatto a tutti e oggetto di numerosissimi studi scientifici che hanno sempre dimostrato un ottimo impatto.
Questa piramide oggi è stata perfezionata per essere buona non solo per noi ma anche per l’ambiente.
Il consumo di carne rossa più di una volta a settimana favorisce l’insorgenza di problematiche a carico dell’apparato digerente. Lo stesso accade con gli insaccati e gli affettati. Per di più un consumo smodato di carne rossa porta all’ampliamento degli allevamenti che, per via dei processi digestivi degli animali, porta a un aumento della concentrazione di CO2 nell’ambiente…con tutte le conseguenze che purtroppo conosciamo.
Scegliere cosa mettere nel piatto non è solo un atto di amore verso noi stessi ma anche verso l’ambiente. E di pianeta Terra ne abbiamo soltanto uno.
I fantastici 4 del dopo feste
1) Bevi tanta acqua: ti aiuterà a drenare le ritenzioni accumulate a causa dei cibi più salati e zuccherati e andrà a reidratare quello che lo spumante ha squilibrato. Non dico che devi arrivare ai 7 litri che solitamente assume Roberto Bolle, ma spingiti un po’ oltre al tuo solito. Fai un test: in un giorno monitora quanta acqua bevi, utilizzando le bottigliette da mezzo litro o da un litro e a fine giornata controlla il livello raggiunto. Dal giorno successivo impegnati a bere 1-2 bicchieri in più. Non esagerare con i volumi, l’incremento deve essere graduale per poter essere utilizzato correttamente dall’organismo.
2) Fai movimento: è il miglior modo per riattivare il metabolismo. Tutto ciò che i muscoli richiedono come energia dal cibo è grasso in meno che il fegato accumula. Per iniziare va bene qualsiasi tipo di esercizio, basta non esagerare con intensità e durata. Se invece già facevi attività fisica regolare sarà sufficiente riprendere.
3) Mangia i cibi abituali o riprendi in mano lo schema nutrizionale: la regolarità dei pasti e il ritorno a una cucina meno elaborata sarà un sollievo per l’apparato digerente…e il sonno. Se hai accumulato parecchi avanzi surgelali per consumarli più avanti (non farlo solo se li hai precedentemente decongelati).
4) Utilizza cibi che arricchiscano il microbiota intestinale e che lo supportino. L’inverno è ormai iniziato e se non si nutre correttamente la barriera batterica intestinale si è più vulnerabili ai malanni stagionali o la convalescenza sarà più lunga. Con i cibi elaborati delle Feste l’equilibrio intestinale potrebbe non essere ottimale: occorre ripristinarlo consumando cibi ad hoc come il grano saraceno e il riso integrale, le verdure di stagione e alimenti probiotici come il kefir e il miso.