Questo progetto ci ha permesso di fare un viaggio spazio-temporale nei luoghi della vita e delle opere di G. Verga e approfondire così il pensiero e la poetica dello scrittore verista.
Attraverso l'itinerario verghiano vizzinese abbiamo conosciuto meglio quei luoghi e quel tessuto sociale che hanno fornito la materia allo scrittore.
Abbiamo usato i "social media" per far conoscere anche agli altri parte del nostro lavoro, creando un parco letterario virtuale.
Nacque il 29 Agosto 1840 a Tepidi, una contrada del paese di Vizzini, dove la famiglia del padre aveva una tenuta, ma registrato all'anagrafe di Catania il 2 settembre. Ricevette un'educazione patriottica e iniziò gli studi in legge, che non completò perché prevalse l'interesse per la letteratura e per le vicende storico-politiche. La sua vita è strettamente legata alla storia della Sicilia dopo l'Unità d'Italia. Dopo aver frequentato i salotti letterari fiorentini e milanesi e aver prodotto alcune opere che descrivono l'ambiente mondano frequentato, cambiò tematica. Durante un viaggio a Parigi conosce lo scrittore Èmile Zola, fa la scelta di diventare scrittore verista.
Nella lettera all'amico Salvatore Paola Verdura dell'aprile del '78 lo scrittore annuncia il "Ciclo dei Vinti", dichiarando di voler scrivere una "fantasmagoria della lotta per la vita...", così come scaturisce dai fatti narrati. Egli dichiara nella Prefazione ai Malavoglia di voler scrivere cinque romanzi: I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, La Duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di Lusso. Ma Verga mostrò in seguito un rifiuto nei confronti della società dei ricchi mondani e riuscì a scrivere solo i primi due. E qui parla degli umili che non devono mai fare il passo più lungo della gamba. Verga era, infatti, crispino e nazionalista e non credeva nel socialismo. Il Verismo si rivela anche nelle novelle (Cavalleria Rusticana, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, Libertà, La Roba...), dove tocca diverse tematiche, dal problema dell'onore, della roba, della gelosia, ai problemi sociali. Nella novella Libertà vi è la riflessione sul Risorgimento e su Garibaldi, il traditore dei contadini.
Luogo in cui avvenne il banchetto nuziale di Mastro don Gesualdo e Bianca Trao.
"Nella casa antica dei La Gurna, presa in affitto da don Gesualdo Motta, s'aspettavano gli sposi […]. La scala sparsa di foglie d'arancio; […] I ragazzi gridavano: - Eccoli! Eccoli!"
Da Mastro Don Gesualdo
All'interno del quale Verga immagina che sia avvenuto il fidanzamento tra Mastro don Gesualdo e Bianca .
"La Signora Sganci aveva la casa piena di gente, venuta per vedere la processione del Santo Patrono: c'erano dei lumi persino nella scala; […] Mastro Don Gesualdo fece così il suo ingresso fra i pezzi grossi del paese, […] - Avanti, avanti, Don Gesualdo! Non abbiate suggezione. Mastro Don Gesualdo però esitava alquanto, intimidito, in mezzo alla gran sala tappezzata di damasco giallo, sotto gli occhi di tutti quei Sganci che lo guardavano alteramente dai ritratti, in giro alle pareti..."
Da Mastro Don Gesualdo
La casa appartenuta alla famiglia della baronessa Rubiera.
"Una volta, al tempo dello splendore dei Rubiera, c'era stato anche il teatro. Si vedeva tutt'ora l'arco dipinto a donne nude e a colonnati come una cappella; il gran palco della famiglia di contro, con dei brandelli di stoffa che penzolavano dal parapetto; un lettone di legno scolpito e sgangherato in un angolo; […] una portantina ficcata sotto la scala che saliva al palco, con lo stemma dei Rubiera allo sportello, e una lanterna antica posata sul copricielo, come una corona."
Da Mastro Don Gesualdo
Dove lo scrittore soggiornava quando veniva a Vizzini.
Più volte menzionato nel romanzo.
"Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire, nell'alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. […] -Brucia il palazzo, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere! Ci ho accanto la mia casa, perdio! - Si mise a vociare Mastro Don Gesualdo Motta."
Da Mastro Don Gesualdo
Adiacente al palazzo dei Trao.
"Dal cortile non si vedeva ancora il fuoco. […] Sotto la tettoia cadente erano accatastate delle fascine; e infondo, ritta contro la casa del vicino Motta, dell'altra legna grossa: assi d'impalcati, correntoni fradici, una trave di palmento che non si era mai potuta vendere. -Peggio dell'esca, vedete! -Sbraitava Mastro Don Gesualdo. - Roba da fare andare in aria tutto il quartiere!.. santo e santissimo!... E me la mettono poi contro il mio muro; perché loro non hanno nulla da perdere, santo e santissimo!..."
Da Mastro Don Gesualdo
"Turiddu, adesso che era tornato il gatto, non bazzicava più di giorno per la stradicciuola, e smaltiva l'uggia all'osteria, cogli amici."
Da Cavalleria rusticana
"-Domenica voglio andare a confessarmi, chè stanotte ho sognato dell'uva nera, disse Lola.
-Lascia stare! Lascia stare! Supplicava Turiddu.
- No, ora che si avvicina la Pasqua, mio marito lo vorrebbe sapere il perché non sono andata a confessarmi."
Da Cavalleria rusticana
"Di faccia a compare Alfio ci stava massaro Cola, il vignaiuolo, il quale era ricco come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa. Turiddu tanto disse e tanto fece che entrò camparo da massaro Cola, e cominciò a bazzicare per la casa e a dire le paroline dolci alla ragazza."
Da Cavalleria rusticana
"La gnà Lola si maritò col carrettiere; e la domenica si metteva sul ballatoio, colle mani sul ventre per fare vedere tutti i grossi anelli d'oro che le aveva regalati suo marito. Turiddu seguitava a passare e ripassare per la stradicciuola, colla pipa in bocca e le mani in tasca, in aria d'indifferenza, e occhieggiando le ragazze; ma dentro ci si rodeva che il marito di Lola avesse tutto quell'oro, e che ella fingesse di non accorgersi di lui quando passava."
Da Cavalleria rusticana
La chiesa di San Giovanni, nominata nel romanzo "Mastro don Gesualdo" e in "Jeli il pastore"
"Suonava la messa dell'alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa..."
Da Mastro Don Gesualdo
"Di tanto in tanto, allorchè la strada correva sulla sommità delle colline, si udiva sin là la campagna di San Giovanni, che anche nel bujo e nel silenzio della campagna si sentiva la festa, e per tutto lo stradone, lontan lontano, sin dove c'era gente a piedi o a cavallo che andava a Vizzini si udiva gridare: -Viva San Giovanni! - e i razzi salivano diritti e lucenti dietro i monti della Canziria, come le stelle che piovono in agosto."
Da Jeli il pastore
Collegata al duello tra compare Turiddu e compare Alfio, svoltosi lì, tra i fichidindia.
"-Se domattina volete venire nei fichidindia della Canziria potremo parlare di quell'affare, compare. -Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo insieme. Con queste parole si scambiarono il bacio della sfida."
"Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là fra i fichidindia e poi cadde come un masso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola, e non potè profferire nemmeno:- Ah! Mamma mia!"
Da Cavalleria rusticana
Protagonista femminile della novella "Jeli il pastore"
"Mara stava di casa verso Sant'Antonio, dove le case s'arrampicano sul monte, di fronte al vallone della Canziria, tutto verde di fichidindia, e colle ruote dei mulini che spumeggiavano in fondo, sul torrente; ma Jeli non ebbe il coraggio di andare da quelle parti [...] e si sentiva voglia di piangere."
Da Jeli il pastore