La mediazione familiare

Per separarsi senza farsi la guerra

La separazione coniugale o la fine di una lunga convivenza sono eventi critici spesso molto difficili da affrontare, in quanto comportano l’elaborazione del fallimento di un progetto di vita, di un investimento affettivo importante, e per questo sono connotati da vissuti spesso molto intensi di delusione, rabbia, colpa, solitudine, vuoto, che spesso non trovano un contesto adeguato per essere sufficientemente approfonditi ed elaborati.

Il modello relazionale-simbolico, che indica per ogni transizione familiare un obiettivo da raggiungere e dei compiti di sviluppo, (Scabini e Cigoli 2012) vede come obiettivo fondamentale del passaggio della separazione il riconoscimento della fine del patto coniugale sapendo portare in salvo qualcosa del legame, cioè essendo in grado di ricercare e di riconoscere, accanto a quanto è stato fonte di dolore e di ingiustizia, ciò che di buono e giusto è stato compiuto e distribuito nella relazione, recuperando in questo modo la fiducia nel valore del legame e in se stessi come degni di legame.

Il contesto giudiziario, però, primo e tradizionale interlocutore delle coppie in via di separazione, con le sue logiche e le sue regole, rischia di colludere e rafforzare il movimento difensivo messo in atto dai coniugi per evitare il confronto con la natura drammatica della conclusione del legame.

La logica della procedura giudiziaria è quella del gioco a somma zero, in cui vi sarà un vincente e un perdente, mentre la peculiarità delle relazioni di chi si sta separando richiede una logica diversa, in cui sia salvaguardata la possibilità del mantenimento del legame, anche solo sul piano genitoriale.

Questa è la logica su cui si basa la mediazione familiare, che rappresenta la possibilità, per le coppie in fase di separazione, di prendere accordi congiunti, affinché possano sentirsi entrambi protagonisti attivi della presa di decisioni che li riguardino, ed entrambi “vincenti”.

La mediazione rappresenta si basa sul “principio della competenza” degli ex-coniugi a trattare delle questioni che li riguardano, a prendere delle decisioni per il futuro proprio e dei propri figli, di cui conoscono i bisogni meglio di chiunque altro. L’essenza del processo di mediazione consiste nell’assunzione diretta, da parte dei due partner, delle decisioni relative la ristrutturazione delle relazioni conseguenti alla separazione/divorzio, in particolare sul piano economico e delle responsabilità genitoriali. Tali accordi potranno poi essere revisionati da avvocati o trascritti direttamente sui moduli del Tribunale e presentati al giudice per l’omologa, facilitando il lavoro di giudici e avvocati che si trovano spesso a dover gestire la conflittualità, l’ambivalenza e l’indecisione dei loro clienti.

In quanto centrata sulla competenza delle parti, un principio irrinunciabile e condiviso del processo di mediazione è la volontarietà dell’accesso ad esso da parte degli ex-coniugi. Non si può essere costretti ad accordarsi, la condizione preliminare per intraprendere una mediazione è essere disposti a dare la mano all’ex-partner, almeno in quanto genitore, al di là di tutto il dolore, di tutta la sofferenza e la rabbia che il processo di separazione comporta. Se manca questa disposizione verso l’altro, o se la conflittualità è troppo elevata, o se siamo in presenza di grossi squilibri di potere economico o psichico, oltre che nei casi di violenza, la mediazione non è possibile, e sarà necessario percorrere altre strade.

In tutti gli altri casi la mediazione familiare assume il senso di un tempo di passaggio tra il prima e il dopo la separazione, un tempo di riflessione congiunta con la funzione di ritualizzare e rendere possibile la transizione della separazione, non lasciando che ciò avvenga in modo casuale, e permettendo che venga veramente portato in salvo qualcosa di buono del legame che si viene ad interrompere. Solo così sarà possibile andare avanti con la vita e non bloccarsi in forme, purtroppo molto frequenti, di legame “disperante” tra ex coniugi.