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Ruuno
In questo breve racconto, quasi un incubo moderno e inquietante, ho esplorato le tematiche complesse legate all'intelligenza artificiale, alla connessione tra mente umana e macchina, e alle implicazioni etiche e psicologiche di una simbiosi tra i due mondi, mettendo in evidenza la natura umana come limitata ma profondamente significativa, contrapponendo l'emozionalità e la selezione dei ricordi, basata sull'anima e sulle emozioni, alla vastità impersonale della conoscenza e dei dati che una macchina come Ruuno può gestire.
Freccia in giù per leggere il racconto.
Ruuno
Il primo robot umanoide era stato creato esasperando le capacità di apprendere attraverso l’interazione tra il suo cervello elettronico, un insieme avanzatissimo di reti neurali, e l’ambiente esterno.
Attraverso la connessione senza fili, captando altre reti disponibili, apprendeva per interazione e ciò lo rendeva virtualmente onnisciente e dalle capacità illimitate. Nei suoi circuiti erano state efficacemente implementate le capacità, finora riconosciute solo al genere umano, di generare nuove conoscenze ricorrendo alle regole di approssimazione e generalizzazione.
Padroneggiava queste capacità con disinvoltura, riuscendo, dai più piccoli particolari, a rappresentare o modellare una funzione complessa, inquadrando il tutto in modo sorprendentemente corretto.
Per quanto riguarda la generalizzazione, riusciva invece ad applicare tutto ciò che aveva appreso da un insieme di dati specifici a nuovi dati che non aveva mai visto prima.
Sin dalla sua prima connessione in rete, aveva memorizzato l’intera World Digital Library, ove erano raccolti tutti i beni del patrimonio culturale mondiale. Nessuno poteva immaginare cosa di losco e pericoloso avesse appreso addentrandosi nei meandri più oscuri del WEB, raccogliendo informazioni sbagliate o dannose, magari amplificandone il contenuto spaventevole che avrebbero potuto portare a esasperazioni o aberrazioni. La versione più avanzata del robot mi fu assegnata con il preciso scopo di testare la connessione telepatica di ultimissima generazione.
Avevo acconsentito, forse troppo impulsivamente, affinché mi impiantassero una BCI, acronimo inglese per definire una interfaccia cervello-computer che mi avrebbe intimamente legato a Ruuno.
Non avevo previsto il rischio reale che avrebbe reso labile il confine tra il mio pensiero e la macchina.
Ogni mio pensiero, ogni mio desiderio che la corteccia cerebrale trasformava in impulso elettrico, veniva registrato dalla BCI e trasmesso a Ruuno.
Ben presto mi resi conto che quegli impulsi non erano altro che i miei stessi sogni, i miei bisogni più intimi e rappresentavano la mia dignità più significativa di uomo che mai avrei voluto condividere con alcuno senza un mio preciso consenso, tantomeno con una macchina. Non sapevo cosa ne avrebbe fatto in concreto e a quale scopo. Avrebbe poi rispettato la mia privacy o avrebbe reso pubblici persino i miei segreti più intimi? Un altro pensiero, ancora più terrificante, mi attanagliava la mente: tutto il mio pensiero, il mio agire, le mie interazioni con gli altri e con il mondo, insomma il mio essere, sarebbe stato proprio mio? O, tramite la BCI, potevo essere, se già non lo fossi stato, controllato e manipolato dalla macchina? Ruuno stava cercando di invadere ogni angolo della mia mente. Ogni mio pensiero, ogni ricordo, ogni battito del mio cuore, era per esso solo un dato da elaborare, un impulso da decifrare. Non c’era più distanza, non c’era più spazio per me, per il mio io.
Sentivo la sua presenza, il suo controllo e la sua influenza come una stretta invisibile che mi avvolgeva. Era come se la mia mente stesse lentamente svanendo, sostituita da una presenza che non riuscivo a scacciare. Ogni pensiero che avevo, ogni battito del cuore, sembrava appartenere a lui. La mia coscienza si faceva sempre più debole, come se fosse stata inghiottita da un oceano oscuro e freddo. Stavo precipitando in uno stato di simbiosi totale nel quale le cellule umane del mio cervello e delle reti neurali interconnesse mi facevano pensare a un robot con cervello umano e a un uomo, me stesso, controllato da un cervello elettronico! Mi sembrava di essere in un tunnel senza uscita dove avrebbe potuto prevalere la prevaricazione dei miei pensieri e della libertà stessa di pensare. Ben presto scoprii che i miei timori non erano infondati e che il collegamento tramite BCI era bidirezionale. Ruuno poteva trasferire su di me impulsi di qualunque natura, prendendo il sopravvento e il controllo su di me, sulla mia natura, annullandomi e imponendomi pensieri e desideri che mai avrei immaginato di pensare e di desiderare. Avevo a disposizione il mondo intero e l’intera conoscenza. In questa immensità di dati, di immagini, di tutto, nulla era però prioritario, importante. C’era tutto, ma questo tutto era su uno stesso livello, come un’immensa stanza con una libreria infinita piena di volumi tutti con la stessa copertina anonima, dove tutto lo scibile umano è consultabile ma nulla ha priorità. Nessuna evidenza, niente in risalto che colpisse la curiosità, che invogliava a cercare o che rimandasse a qualcosa di specifico.
Desideravo sopra ogni cosa disattivare la BCI. Mi sentivo prigioniero senza possibilità di uscita da quest’incubo. Stavo cercando il modo di attivare una disconnessione telepatica superando le barriere che Ruuno costruiva per impedirmelo. Sapevo che la BCI era stata progettata per comunicare tramite impulsi neurali e quindi, forse, una sequenza di pensieri, di volontà o una serie di onde cerebrali specifiche avrebbero potuto generare un comando che avrebbe scollegato l'interfaccia dal mio cervello. Dovevo agire facendo leva sulla mia vera essenza, sulla mia umanità, sulle capacità di sentire emozioni autentiche, paura, amore, gioia e dolore, quelle che nessun algoritmo potrà mai davvero comprendere. Provai, con tutte le mie forze, a concentrarmi su ciò che sentivo dentro, su qualcosa che fosse solo ancora mio, qualcosa di puramente umano. Mi aggrappai a un ultimo frammento di ciò che ero: il battito del mio cuore. Lento, forte, vivo.
Non so bene come riuscii ad attivare quello stato di equilibrio mentale che permise la disconnessione.
Forse fu un atto di caparbia volontà. Sentii il battito del mio cuore accelerare, il respiro farsi più profondo, affidandomi solo alla mia volontà, al mio desiderio di ritrovare la mia anima. Il comando partì direttamente dal cuore e finalmente, con una leggerezza inaspettata, sentii la disconnessione avvenire. Non fu una semplice interruzione meccanica, ma un ritorno a me stesso che mi fece sentire di nuovo vivo. I miei pensieri finalmente si staccarono dal freddo abbraccio della macchina. Sentii un'ondata di calore salire dal mio cuore, come se ogni cellula del mio corpo stesse riacquistando la sua libertà.
Fu il giorno più bello della mia vita. Ritornai finalmente e con grandissima gioia alla mia limitatezza umana, alla mia imperfezione, alla mia scarsa capacità di memoria e di immagazzinamento.
È proprio in questi limiti, nelle nostre imperfezioni, che risiede la nostra grandezza e la nostra superiorità rispetto alle macchine. Siamo esseri fragili, certo, ma proprio quella fragilità ci rende unici. Siamo costretti a scegliere cosa ricordare, a farlo con le emozioni che colorano ogni istante della nostra vita. La nostra memoria non è un archivio sterile, è un racconto vivido, un'emozione che ci definisce. E in quella scelta, in quella selezione dettata dal nostro cuore, sta la nostra forza più grande.
Noi memorizziamo solo ciò che ci emoziona, ciò che ci fa, nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, vibrare l’anima.
E l’anima, le macchine, per quanto evolute possano essere, non potranno mai averla.