Notte di San Lorenzo


10 Agosto 2020

...Cchiù luntane de li luntane stelle...

BRANI E LETTURE

SCALETTA 10 AGOSTO 2020, SOTTO LE STELLE

INTRODUZIONE

10 Agosto: il tempo non conosce soste ma congiunture. E perciò anche quest'anno, anche in questo lunedì di San Lorenzo, il tempo ritorna e si concentra in una notte distesa.

L'atmosfera è la stessa di ogni altro anno, di ogni altro desiderio sotto le stelle, di ogni altro approccio al cielo; cambia solamente la modalità della relazione che questa pandemia ha violentemente deciso.

Ma immaginiamo allora di non avere limitazioni, almeno questa notte, e di essere come sempre insieme: regione per paese, brillio degli occhi per brillio delle stelle, sguardo per sguardo, abbraccio per abbraccio sotto la volta comune del cielo trapuntato.

Proviamo sulle note di pezzi bellissimi, guizzando assieme a strofe di poesie ed intonando pensieri profondi ad essere grati all'universo che abbiamo sopra di noi e a concentrarci per contemplarlo...

1)CLAUDE DEBUSSY– SYRINX

2)PÄR LAGERKVIST – da ANGEST (1916)

L’angoscia, l’angoscia è la mia eredità,

la mia ferita alla gola,

il grido del mio cuore nel mondo.

Ora si rapprende la schiuma delle nubi

nella ruvida mano della notte,

ora s’alzano selve

e rigide alture

così aride verso la contratta

volta del cielo.

Come tutto è aspro,

come tutto è pietrificato, nero e immoto!

Io avanzo brancolando in questo spazio oscuro,

sento l’orlo tagliente delle rocce sotto le mie dita,

le mie mani tese al cielo lacero

a sangue contro ghiacciati brandelli di nubi…

3) RACHMANINOFF – PIANO CONCERTO N 2 OP 18 (Vladimir Ashkenazy)

4) PÄR LAGERKVIST - TEATRO MODERNO, PUNTI DI VISTA E ATTACCHI (1918)

“Il nostro tempo, con la sua mancanza di equilibrio, di unità, con la violenta espansione di forze contrarie, è un’epoca barocca, fantastica, molto più fantastica di quanto possa descriverla il naturalismo… La nostra epoca è torturata fin nelle sue radici da una lotta con sé stessa, come ben si vede nella superficie. Un caos, non una dissoluzione; un caos in via di concentrarsi in vista di qualche cosa che non si conosce ancora, ma su questa incertezza e su queste basi che oscillano si sta compiendo un lavoro di costruzione febbrile, temerario, come non accadde che in un mondo in gestazione…”.

5) NIENTE MEGLIO DI NOI DUE – MINA FOSSATI


SILENZIO

6) EMILY DIKINSON - HA UNA SUA SOLITUDINE LO SPAZIO (1695)

Ha una sua solitudine lo spazio,

solitudine il mare

e solitudine la morte,

eppure tutte queste son folla

in confronto a quel punto più profondo,

segretezza polare,

che è un’ anima al cospetto di se stessa:

infinità finita.

7) L’ASTRONAUTA – JOVANOTTI

8) ELENA CARACCIOLO - LA SERA PRIMA DI UN ESAME

Conosco a memoria

il ventaglio

di possibili aggrappi

mentali

coi quali gestire

sudore.

Parcellizzato

è il sapere,

più esteso

è il mio giro

di cielo.

La pienezza dirompe;

alzo lo sguardo

e non trovo

che la visiera

davanti alla faccia

di Dio:

lascia scoperte

due stelle di occhi

e la bocca a mezzaluna

a diletto

imbastita.

Che cosa ci faccio

nel mondo?


9) JULIÁN CARRÓN CHE COSA CI STRAPPA DAL NULLA? INTRODUZIONE

“C’era qualcosa che non moriva dentro di me”…

“Soltanto quando avete fatto naufragio sul serio, trovate sul serio ciò che vi occorre”.

Lo abbiamo visto in modo sorprendente all’esplodere dell’epidemia da Coronavirus. Risvegliati dal nostro torpore, sono emerse le domande. “Eravamo in un’epoca che sembrava finita lì. In cui non poteva succedere più nulla, tutto aveva una sua logica, inattaccabile. Il sistema non poteva essere scalfito. Vivevamo come dicendo: cosa vuoi di più? Cosa vuoi di meglio? E dove è il più? Dove è il meglio? Era la fine della storia. [...] Una landa infinita, una terra piatta. E invece un movimento tellurico ha increspato questa distesa immota e ne ha fatto un paesaggio conturbante». Qual è stato il primo esito di questo terremoto? Le domande. «È necessario farci ciascuno le domande, perché ci collocano in uno spazio meno ristretto, ci tolgono dalle sbarre della galera a cui ci siamo confinati. [...] Nei tumulti, nel nostro caos, noi possiamo condurci alla ragione, alla condizione adulta. Come? Proprio domandando. Facendo domande.» Di fronte alle domande, si placa “tutta la protervia, la superbia”, che così spesso ci accompagna. Sfidati da una circostanza vertiginosa, le domande hanno fatto breccia nelle mura della comfort zone in cui ci eravamo rifugiati. La bolla è andata in pezzi: “Abbiamo vissuto troppo tempo sotto anestesia, essendo parte di un sistema troppo spesso sbagliato nei suoi fondamenti”. “Un individuo che avesse vissuto poco l’impatto con la realtà, perché, ad esempio, ha avuto ben poca fatica da compiere, avrà scarso il senso della propria coscienza, percepirà meno l’energia e la vibrazione della sua ragione”.

Ci sono momenti in cui la realtà ci urta così potentemente che è molto difficile attutirne il colpo, eluderne o ignorarne la provocazione. Ciò che è accaduto ha ridestato – con il concorso della nostra libertà – la nostra attenzione, rimettendo in moto la nostra ragione, liberando le domande di senso che ne esprimono la natura. Sto parlando di quell’urgenza di significato che ci costituisce e che l’impatto – accettato – con la realtà nuda e cruda ha riportato a galla in modo imponente. In questo senso abbiamo parlato di un “risveglio dell’umano”.


SILENZIO

10) PÄR LAGERKVIST - DA IL PAESE DELLA SERA, 1953

E più bello quando scende la sera.

Tutto l’amore che il cielo abbraccia

è raccolto in un’ombra di luce

sulla terra,

sulle case della terra.

Tutto è dolcezza, tutto carezza di mani,

e remote rive occulta il Signore.

Tutto è vicino, tutto è lontano.

Tutto vien dato

come pegno all’uomo.

Tutto è mio, e tutto mi sarà tolto,

tra breve tutto mi sarà tolto.


11) L’INFINITO DI STELLE - MINA FOSSATI


12) Tu che esistevi prima dei monti - PÄR LAGERKVIST

Tu che esistevi prima dei monti e delle nubi,

prima del mare e dei venti.

Tu il cui inizio è prima dell’inizio di ogni cosa

e la cui gioia e dolore sono più antichi delle stelle.

Tu che eternamente giovane vagasti sopra le vie lattee

e attraverso le grandi tenebre fra di esse.

Tu che eri solo prima della solitudine

e il cui cuore era colmo di angoscia molto prima

del cuore degli uomini,

non mi dimenticare.

13) ENNIO MORRICONE - GABRIEL’S OBOE


SILENZIO

14) IL CIELO E’ PIENO DI STELLE (pag 64) RE-

Il cielo è pieno di stelle

che fan sognare le cose più belle,

più belle, più belle.

Tu sogni e guardi lontano,

vedi un gran fiume che scorre pian piano,

pian piano, pian piano.

Sul fiume c’è una piroga

e dentro questa c’è un negro che voga,

che voga, che voga.

Intanto dietro la duna

vedi spuntare pian piano la luna,

la luna, la luna.

Il negro lascia il vogare,

guarda la luna e si mette a cantare,

cantare, cantare.

Ti prego, o madre luna,

fammi trovare anche oggi fortuna,

fortuna, fortuna.

Intanto dietro la duna

Vedi calare pian piano la luna,

la luna, la luna.

15) JOVANOTTI - LA LUNA

16) LUNTANE, CCHIÙ LUNTANE (pag 111) LA

Pe cantà 'sta chiarità

'n core mi sente trimà!

Tutte stu ciele stellate,

tutte stu mare che me fa sugnà.

Ma pe ‘tte, sole pe ‘tte

esce dall'anema me,

‘mmiezz'a stu ciele, stu mare,

nu cantemente che ‘nze pò tenè.

Luntane, cchiù luntane

de li luntane stelle,

luce la luce cchiù belle

che me fa 'ncore cantà.

Marinà, s'ha da vugà

tra tutta 'sta chiarità,

cante la vele a lu vente

‘nu cante granne che luntane va’;

tu la si ‘ddove vo ijè

st’aneme pe’ ne’ murì

bella paranze luntane ‘nghi stì suspire tu ‘ije da menì.

Rit…

Chiarità tu fi n’cantà

ss’ aneme nate a sugnà

La luntananza ‘cchiù ‘ccare

sopr’a stu mare che fa suspirà.

Marinà, s'ha da vugà

tra tutta 'sta chiarità,

Luce luntane la stella

sta paranzalla mo’ addà vulà.


SILENZIO

17) Pilota di guerra - La morale dell'inclinazione di Antoine De Saint-Exupéry

Non regna il fervore, ma il disagio. Soltanto la vittoria è circondata dal fervore. La vittoria organizza, costruisce. E ognuno fatica per portare le sue pietre. Ma la disfatta sprofonda gli uomini in un clima di confusione, di noia, e soprattutto di inutilità.

Le missioni che esigono da noi, infatti, sono per prima cosa inutili. Ogni giorno di più. Più sanguinose e più inutili. Quelli che danno gli ordini non hanno altre risorse, per contrastare la frana di una montagna, che calare sul tavolo le loro ultime carte.

Dutertre e io siamo delle carte e ascoltiamo il comandante. Ci sta spiegando il piano per il pomeriggio. Ci manda a sorvolare, a settecento metri di altezza, dopo un lungo volo a diecimila metri, i depositi di carri armati nella regione di Arras, ma la sua voce è la stessa con cui direbbe: “Prendete la seconda strada a destra, fino all’angolo con la piazza; lì c’è un tabaccaio, compratemi dei fiammiferi...” “Bene, comandante.”

L’utilità della missione è più o meno la stessa. E anche il linguaggio per parlarne non è appassionato.

Dico tra me: “missione votata al sacrificio”. Penso... penso a tante cose. Aspetterò la notte, se sarò vivo, per riflettere. Già, se sarò vivo... Quando una missione è facile, torna un equipaggio su tre. Quando è “ una bella seccatura”, tornare diventa più difficile, ovviamente. E qui, nell’ufficio del comandante, la morte non mi sembra nè solenne, nè nobile, nè eroica, nè straziante. E’ solo una spia del disordine. Un suo effetto. Il Gruppo, stavolta, perderà noi, come si perdono i bagagli nella baraonda di una stazione tra una coincidenza e l’altra.

Non che io non pensi alla guerra, alla morte, al sacrificio, [alla Francia]. Tutt’altro, ma mi manca un’idea guida, un linguaggio chiaro. Penso per contraddizioni. La mia verità è a pezzi, e io riesco a considerare soltanto un pezzo alla volta. Se sarò vivo, aspetterò la notte per riflettere. La notte amata. Di notte la ragione dorme, e le cose semplicemente sono. Quelle che contano davvero riprendono la loro forma, sopravvivono alle devastazioni fatte di giorno dal ragionamento analitico. L’uomo rimette insieme i suoi pezzi e torna ad essere un albero tranquillo.

Il giorno è per le liti domestiche, ma di notte chi ha litigato ritrova l’amore. Perchè l’amore è più grande di quelle parole al vento. E l’uomo si affaccia alla finestra, sotto le stelle, nuovamente responsabile dei bambini che dormono, del pane futuro, del sonno della sposa coricata lì accanto, tanto fragile e delicata ed effimera. L’amore non si discute. L’amore è. Venga dunque la notte, perchè mi appaia una certezza degna di amore! Perchè io pensi alla civiltà, alla sorte dell’uomo, al senso dell’amicizia del mio paese. Perchè io possa augurarmi di servire una verità urgente, sebbene, forse, ancora inesprimibile...

Per adesso sono simile al cristiano abbandonato dalla grazia. [Insieme a Dutertre] farò la mia parte decorosamente, questo è sicuro, ma allo stesso modo in cui si tramandano dei riti che non significano più nulla, poichè il dio se n’è andato. Aspetterò la notte, se sarò ancora vivo, per camminare un po’ lungo la strada che attraversa il nostro villaggio, avvolto nella mia amata solitudine, cervandovi la ragione per cui devo morire.

18) IVANO FOSSATI - LINDBERGH

19) MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE dal sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. [Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero:] «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).

Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: [pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro]. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. [Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.]

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.

Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. [In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12).] Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. [È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni.] È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: [medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri] che hanno compreso che nessuno si salva da solo. [Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21).] Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. [Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.]

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

[Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale.] Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. [Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita.] Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.

[Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà.] Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». [Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori.] Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» [(Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).]

SILENZIO

20) DON LUIGI GIUSSANI “SI PUÒ VIVERE COSÌ”

(PAGG. 188-189)

La Fede è la conoscenza di una Presenza che ti chiarisce lo scopo della vita senza possibilità di incertezze – “Io sono la Verità e la Vita” – e che è più forte e che ha una forza tale – “Ti amo Dio, mia forza”: come si fa, dopo aver detto un’antifona così, a non ripeterla sempre?! – e ha una forza tale per cui con Lui tu raggiungerai ciò per cui sei fatto; con Lui raggiungerai Lui. Con Lui, uomo che ti cammina insieme, raggiungerai Lui, Verbo da cui tutto il mondo nasce. Con Lui che ti cammina insieme, tu lo guardi ed è un uomo col bastone, come te, ed è un uomo che è seduto lì in casa e ti sta parlando, e Giovanni e Andrea… Colui che ti cammina insieme – Colui che è lì che ti parla in casa, Colui che è lì attorno ai pesci cotti all’alba di quel mattino -, Colui che ti cammina insieme ti dice con certezza ciò per cui sei fatto. E sai cosa ti dice? “Sono io, ma non io come mi vedi qui, io che in questo momento sto dando la vita all’universo”, e perciò con il suo aiuto noi lo raggiungeremo, sorprendendolo mentre sta facendo nascere tutti i fiori del mondo e sta facendo innalzare tutte le montagne del mondo e sta distendendo i laghi, tutti i laghi del mondo e sta distribuendo le stelle, tutte le stelle del cielo. L’unica cosa che non capisco, perché non l’ho mai capita, come si faccia a resistere a queste cose quando sono così evidentemente definitive; non è possibile per l’uomo trovare un’altra cosa più bella!

21) LEANING ON THE EVERLASTING ARMS (Video)

22) CHARLES PEGUY - (TUTTI INSIEME)

«Ecco il luogo del mondo dove tutto diviene facile,

Il rimpianto, la partenza e anche l’avvenimento.

E l’addio temporaneo e anche la separazione

Il solo angolo della terra dove tutto si fa docile. […]

Ciò che dappertutto altrove è un’aspra lotta

E una lama da macello tesa alla gola,

Ciò che dappertutto altrove è la potatura e l’innesto

Qui non è che il fiore e il frutto del pesco […].

Ciò che dappertutto altrove è la noiosa abitudine

Seduta accanto al fuoco, le mani sotto il mento,

Ciò che dappertutto altrove è solitudine

Qui non è che un vivace e forte germoglio […].

Ce ne han dette tante, regina degli apostoli,

Abbiamo perso il gusto per i discorsi

Non abbiamo più altari se non i vostri

Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice».

22) ANGELO BRANDUARDI - CANTICO DELLE CREATURE