Fase 1∷ Ricerca sui testi antichi e interpretazione delle iconografie
I Testi
In Medio Oriente si sviluppa una bibliografia molto ricca, sia sulla tattica militare che sulla tecnica di tiro e sull’addestramento. Numerosi trattati[1] sulla tecnica menzionano gli obiettivi che si devono porre gli arcieri nel loro apprendimento e addestramento, identificandoli nei quattro “pilastri” (Arkàn): potenza, velocità, destrezza e precisione. Gli allenamenti sono codificati nel tempo, l’arciere rappresenta la “summa” delle abilità e delle virtù guerriere. Nell’Estremo Oriente la Cina influenza la cultura giapponese dove l’arco raggiunge l’apice della complessità nel Samurai. La tecnica arriva ad oggi praticamente immutata da 2000 anni, alcune scuole (ad es. la Heki Ryu Insai) ancora applicano ciò che è scritto sui testi di molti secoli fa. Del resto, lo studio biomeccanico a cui faremo riferimento nella fase 2 si riferisce ad un’analisi accurata che rivela similitudini con lo “stile” da noi proposto nel tiro occidentale medievale; entrambi provengono da epoche in cui l’arco e la freccia avevano una loro precisa destinazione, che non era certo fare centro ad un bersaglio immobile.
L’uso dell’arco in guerra rappresenta quindi uno spartiacque culturale che allontana l’emisfero occidentale da quello orientale nei quali diverse sono le visioni dell’arma, e di conseguenza diverse le collocazioni sociali di chi la impugna; in comune vi è solo lo scopo e la dinamica. Alle radici di questa similitudine vi è il fondamento della tecnica, necessaria per tendere archi forti e colpire efficacemente il bersaglio, abbattendolo. La funzione tattica dell’arciere in Occidente si esplica soprattutto nel “fuoco d’artiglieria”; nuvole di frecce colpiscono a distanza e in maniera indifferenziata la controparte armata, mentre questa si scontra in campo aperto, assale il villaggio e le prime fortificazioni. In epoca Bizantina, quando l’impero romano d’Oriente cerca di ripristinare da Costantinopoli i fasti e i poteri della tradizione occidentale ormai compromessa dalle invasioni barbariche, gli arcieri assumono comunque sempre più importanza e vengono scritti i primi trattati. Anche se in lingua greca o latina, è evidente l’influsso della cultura e soprattutto della visione militare orientale.[2]
Nel Medioevo europeo la caccia assume in Occidente altre valenze, che paradossalmente riaffermano la componente simbolica del cacciatore-leader con i suoi privilegi, anche se con altre vesti culturali a cui corrispondono modi e tecniche diversificate. L’arco permane e si sviluppa “socialmente”, soprattutto in Oriente.
[1] Sebbene allo stato attuale non esista una catalogazione esaustiva di tutti i trattati di arcieria del vicino e Medio Oriente, è possibile dare un’idea della sterminata produzione al riguardo con alcuni dati. La “Bibliography of Archery” di Lake e Wright sostiene che attualmente sono pervenuti a noi 95 manoscritti di trattati di arcieria – tra arabi, persiani, turchi – , senza contare le varie copie reinterpretate dello stesso trattato da parte di altre scuole. Questa cifra quasi sicuramente non è esaustiva e altre testimonianze attendono probabilmente di essere riscoperte. A questi trattati specifici, inoltre andrebbero aggiunti i capitoli riguardanti l’arcieria contenuti in testi più generali di carattere militare o cinegetico. Tra i più importanti (tra cui quelli tradotti e commentati) citiamo: Al-Asrafi (…)XIV sec; Gunyat al-tullab (…) 1464; Ibn ‘Ali Al-Tarsusi 1200; Faris & Elmer 1945; Wa-awsafihima. (XIV sec.); Mustafa Kani, 1847; Latham & Paterson 1970, Lamotte 1968.
[2] Flavio Renato Vegezio, IV e V secolo: De Re Militari; Anonimo: IV e V secolo De Rebus Bellicis; Giulio Africano Kestoi metà III secolo (→Peri Toxeias); Anonimo bizantino, seconda metà VI secolo: Peri Strategikon (→ Peri Toxeias); Procopio di Cesarea, seconda metà VI secolo: De Bello Persico; Pseudo Maurizio, seconda metà VI secolo: Strategikon; Leone IV imperatore, fine nono secolo: Taktika.
È interessante notare come in tutta la cultura medio ed estremo orientale si sia sviluppata, nel corso di un millennio, una così vasta bibliografia che non ha paragone con il progressivo sviluppo “letterario” sull’arcieria d’occidente.[1] D’altro canto, la connotazione dell’arciere in guerra (in Europa) pare fosse delle più misere: persone reclutate e addestrate in giovane età tra poveri e analfabeti,[2] contrariamente all’Oriente la cui tradizione, consolidata da millenni di storia, vedeva arcieri nobili e cavalieri o comunque soldati specializzati di cui rango e cultura erano superiori agli altri combattenti meno specializzati. Grazie alla sua grande versatilità, l’arco restò in uso nelle battaglie campali e negli assedi fino a quando la tecnologia delle armi da fuoco divenne maggiormente diffusa. Dal 1300 al 1800 circa, le armi da fuoco convissero con l’arco, poiché l’elevato costo di produzione e l’elevato potere distruttivo delle prime, furono compensati dall’economicità, dalla maggiore maneggevolezza e dalla facilità di addestrare del secondo. Tuttavia, nel XVIII secolo, l'arco perse definitivamente la sua importanza militare; allo stesso tempo, grazie alla Royal Toxophilite Society che nacque nel ‘700 e che cambiò nome dal 1844 in Grand National Archery Association, l’arco acquisì notevole importanza come pratica sportiva, al punto che in quegli anni si organizzarono in Inghilterra i primi campionati nazionali. Nel 1931 venne creato un organismo sovranazionale, la Fédération Internationale de Tir à l'Arc (Fita), che organizzò i primi mondiali. Solo nel 1972, a seguito dell'affiliazione di un numero sufficiente di organismi nazionali alla Fita, il tiro con l'arco fu ammesso alle Olimpiadi. La tecnica dell’arco da guerra scomparve completamente per una specifica versione “da diporto”, raffinatasi nei giorni attuali in parallelo con la tecnologia costruttiva di archi e frecce.
L’iconografia e lo Stile antico
Il tiro medievale si faceva con tre dita (presa mediterranea) per sfruttare al massimo la forza fisica. Tirare con due dita (presa fiamminga) permette una presa meno solida e prestazioni inferiori. Talvolta però nei quadri e nei disegni d’epoca si vedono arcieri in pose da guerra che usano solo 2 dita nell’atto di tirare con l’arco: probabilmente perché i pittori hanno assistito ad esibizioni con archi più leggeri, equivocando il gesto reale. La ricerca è stata effettuata su un campione di 190 immagini di arcieri che spaziano dal VIII sec. al XVI sec. Per "arcieri" si considerano elementi validi quelli che stanno caricando l'arco (4%), che stanno effettuando il rilascio della freccia (23%) e tendendo l'arco con la freccia armata (74%). Le opere riguardano ambienti di Caccia (9%), Battaglia (70%), Martirio (8%), Allegorie (7%) e scene di tiro decontestualizzate (4%). I soggetti si suddividono tra uomini (81%) donne (6%) e mostricciattoli o animali antropomorfi (13%). La scelta delle immagini è stata operata in funzione di un parametro essenziale, l’attendibilità dell’interpretazione artistica desumibile dalla correttezza dei particolari contenuti (vestiario e accessori in generale e riproduzioni delle armi in particolare) dando un “coefficiente” da 1 a 3 ad ogni soggetto del campione. Non è stato valutato, per contro, il rapporto tra le proporzioni dei soggetti e lo “scenario generale” nonché le distanze lineari tra soggetti e “bersagli” cercando di estrarre l’essenza dell’atto che veniva immortalato. La maggior parte delle illustrazioni di battaglie, ad esempio, è molto esplicativa. Nei dipinti tardo quattrocenteschi molto spesso viene raffigurato l’ arciere che tende l’arco composito, di chiara ispirazione medio orientale. D’altro canto è ben noto di come la cultura bizantina prima, quella delle Crociate e quell’Ottomana poi abbiano influenzato gli eserciti di mezza Europa. Lo stile di tiro e la postura comunque risultano pressoché medesimi. Essa si suddivide tra postura in fase di rilascio (rilevante per la parte “A” della ricerca, 23% delle immagini) e posture ove l’arciere è in fase di trazione (rilevante per la parte “B” della ricerca, 74% delle immagini). Inoltre sono state analizzate le scarse immagini che riportano la fase di caricamento, solo 4%.
In sintesi: Postura in rilascio (tot 43 soggetti)
1) Rilascio statico: 16% - la mano rimane ferma sul punto di contatto al volto, al petto, ma può scendere verso il basso.
2) Rilascio dinamico con l’avambraccio in linea con il braccio che sostiene l’arco: 42% - la mano scatta all’indietro sull’asse del braccio dell’arco.
3) Rilascio dinamico con la mano della corda che scatta verso l’alto: 19% - la mano della corda si proietta verso l’alto e l’avambraccio è comunque in linea con il braccio della corda.
Postura in trazione (tot. 140 soggetti)
4) Gomito della corda alto in fase di trazione (15%)
5) Gomito della corda in linea con il braccio dell’arco (48%)
6) Gomito della corda basso in fase di trazione (10%)
7) Aggancio all’altezza del petto (26%)
8) Aggancio all’altezza della mandibola +/-5cm. (24%)
9) Aggancio all’altezza occhio +/-5 cm. (22%)
10) Testa non in linea con l’asse scapolo-omerale o in avanti (54%)
11) Testa in linea con l’asse scapolo-omerale o indietro (21%)
12) Gambe dritte divaricate (21%)
13) Gambe piegate (47%)
14) Gambe in movimento (3%)
15) Bacino indietro ad angolo con la schiena (44%)
16) Braccio dell’arco piegato (21%)
17) Braccio dell’arco esteso (44%)
18) “T” tra spalle e bacino Rispettata nei tiri in pendenza (alto o basso) (44%)
19) “T” tra spalle e bacino NON Rispettata nei tiri in pendenza (alto o basso) (56%)
[1] Anon. Ca. 1515; Ascham, 1545; Markham, 1634; Moseley, 1792; Hargrove, 1792; Roberts, 1824.
[2] Eccezioni che confermano questa regola sono riportate da Sir Jon Fitz-Rauf, 1910
Il modello che più si ripete nell’analisi della postura al rilascio è quello rappresentato dal movimento dinamico (2, 3) con la percentuale del 42% (mano in linea con l’asse del braccio dell’arco) e rilascio dinamico con la mano della corda che scatta verso l’alto nella percentuale del 19%. Il modello più evidente della postura nella trazione è rappresentato da 5) Gomito della corda in linea con il braccio dell’arco (48%) Testa in avanti (54%) Gambe piegate (47%) Braccio dell’arco esteso (44%) Bacino indietro ad angolo con la schiena (44%). Risultano equiprobabili: 7) Aggancio all’altezza del petto (26%) 8) Aggancio all’altezza della mandibola +/-5cm. (24%) 9) Aggancio all’altezza occhio +/-5 cm. (22%) che potrebbero consistere in differenze stilistiche accomunate dalla necessità di tendere il più possibile la freccia e condizionate dalla distanza del bersaglio, e il mantenimento/non mantenimento della “T” (44% - 55%).
Esempi Etnografici
È interessante notare come in epoca contemporanea, presso popolazioni africane e asiatiche,
siano attuali tecniche di tiro con l’arco simili al modello biomeccanico antico.
Analisi del modello antico
Volendo analizzare in maniera semplice ma accurata lo stile di tiro antico identificato nelle numerosissime iconografie raccolte, lo si può descrivere nel seguente modo. Si consideri l’arciere destrimano. Tutto il movimento parte dagli arti inferiori: i piedi sono ben aderenti al terreno, le ginocchia sono flesse, il bacino leggermente antiverso. (seq. G. Brovelli
Una volta incoccata la freccia, si portano entrambe le braccia verso l’alto ma non eccessivamente con un movimento di abduzione dell’arto superiore sinistro per arrivare alla posizione corretta, seguito dall’arto superiore destro che già è in contatto con la corda. Il gomito del braccio sinistro non è mai completamente esteso, se non alla fine della fase di trazione (quando l’arciere “entra nell’arco”)[1].
La fase di trazione è caratterizzata da un simultaneo movimento di entrambi gli arti superiori: il gomito sinistro si estende e la spalla si porta a 90° di abduzione ri-spetto al torace (quindi il braccio sinistro si abbassa) mentre l’arto destro, abbassandosi anch’esso, traziona la corda fino ad arrivare al massimo allungo possibile che comunemente corrisponde all’orecchio (lo spazio tra orecchio e collo per es-sere precisi). Facendo ciò, l’arto superiore destro effettua una abduzione sul piano trasverso e una flessione totale del gomito fino a formare una linea retta sovrapponibile alla freccia.
Tutta la muscolatura superiore del tronco e degli arti è in tensione attiva, non ci sono blocchi articolari passivi ( spalla e gomito incassati).
Una volta che si è arrivati all’allungo massimo consentito avviene il rilascio, che dovrebbe essere fatto in maniera dinamica e continuando a portare indietro l’arto e la mano, che risulta proiettata indietro-alto (il famoso “strappetto”).
Il motivo e l’utilità di tale gesto è da ritrovarsi nella balistica interna dell’attrezzo, poiché data la geometria dell’arco, variazioni anche piccole di allungo nei valori terminali (prossimi ai 30- 32 pollici di allungo e oltre) comportano vertiginosi aumenti di energia trasmissibile alla freccia, e quindi ulteriori vantaggi in termini di velocità di uscita della freccia, penetrazione al bersaglio, potere di arresto.
[1] Entrare nell’arco deriva dalla definizione data nel 1549 dall’arcivescovo Hugh Latimer, nel suo sesto sermone: “He taught me how to draw, how to lay my body in my bow, and not to draw with strenght of arms as other nations do, but with strenght of the body…”
Fase 2∷ esperimenti di laboratorio
La fase è svolta presso il Laboratorio delle Attività Motorie e Sportive (LAMS) della Facoltà di medicina/scienze motorie - Università di Perugia (Direttore prof. Andrea Biscarini).
Obiettivi della ricerca
Dalle analisi delle antiche iconografie, dei testi orientali e occidentali e dai ritrovamenti archeologici appare evidente un modo di tirare con l’arco estraneo ai concetti ora utilizzati nella didattica e nell’attività sportiva del tiro con l’arco moderno. Lo stile di tiro antico permetteva di tendere archi estremamente forti (almeno 3 o 4 volte più forti di quelli odierni) al fine di fermare il nemico corazzato in battaglia.
Obiettivo principale:
Analizzare la catena cinetica dei soggetti esperti nello stile antico per determinare le differenze con lo stile moderno e la ripartizione dello sforzo nei muscoli del tronco.
Obiettivi secondari ma altrettanto importanti:
Giungere ad una comprensione integrale delle componenti muscolari, cinetiche e posturali antiche al fine di proporre una nuova interpretazione dell’uso dell’arco, anche se non necessariamente di forte carico per elaborare la traccia di una “nuova” tecnica dedicata di allenamento e potenziamento.
Soggetti coinvolti nella sperimentazione
1) Arcieri esperti, da Italia e Inghilterra, da analizzare nel loro stile antico.
2) Arcieri di medio livello nello stile antico e di discreto livello nello stile moderno, in modo da fungere da “soggetti di controllo”, da analizzare in entrambi gli stili di tiro con archi cui sono normalmente abituati, di basso carico.
Strumentazione
a) Pedane dinamometriche per lo studio dell’equilibrio nella postura (interfacciate con gli altri sistemi)
b) 6 Telecamere per la ricostruzione 3D dell’azione dinamica con marker (interfacciate con gli altri sistemi)
c) Apparecchiature per EMG (a disposizione 18 elettrodi) (interfacciate con gli altri sistemi)
d) Telecamera ad alta velocità (1000 Hz, non interfacciabile)
e) Accelerometro (non interfacciabile)
f) Misuratore di velocità per la freccia all’uscita dall’arco
Ipotesi di lavoro
I test riguardano due aspetti specifici: caricamento dell’arco (A) e rilascio della freccia (B) in entrambe le categorie di soggetti “campione”. Il gruppo 1) si è espresso nello stile antico, con piccole variazioni personali ma sostanzialmente aventi in comune la fase di tensione, rilascio e postura. Il gruppo 2), avendo la possibilità di interpretare il tiro in due modi, è stato analizzato in termini comparativi, basandosi contemporaneamente sui protocolli adottati nelle pubblicazioni contemporanee riguardanti il tiro olimpico. I tracciati risultanti (EMG e Dinamometrico) differiscono tra loro sostanzialmente. Sono stati preliminarmente esaminati gli archi (diagramma di carico) e le frecce (massa) di tutti i soggetti impiegati nella sperimentazione.
Sia per il punto (A) che per il punto (B) è stata fondamentale l’oggettiva misurazione della lunghezza di trazione. Non potendo utilizzare un moderno “clicker” , sono state considerate quelle frecce scagliate al di sopra di una soglia minima predefinita di velocità, di conseguenza sono state considerate utili al risultato le misurazioni ottenute con la strumentazione biomeccanica nello specifico. La media dei parametri cinematici ed elettromiografici
La media dei parametri cinematici ed elettromiografici dei tiri (per ogni tecnica) è stata presa come dato soggettivo, e la media dei dati derivati da tutti i partecipanti è stata utilizzata per l’analisi finale.