Uno dei tanti rimboschimenti fatti dai forestali nel corso del XX secolo in Italia, qui siamo sul versante campano delle montagne del Matese (foto di Marco Borghetti). Scorrere per il fotoracconto

Rimboschimenti:  fra rinaturalizzazioni attese e inattese contaminazioni

Di rimboschimenti, i forestali italiani ne hanno fatti tanti. Dai primi decenni del secolo scorso e fino agli anni '70, sono stati rimboschiti quasi 440 mila ettari. Usando soprattutto le conifere e in particolare il pino nero d'Austria. Lo scopo primario del rimboschimento era quello della sistemazione idrogeologica dei versanti; con la speranza di una futura produzione legnosa e l'obbiettivo, importante per molti decenni, del sussidio sociale attraverso la creazione di posti di lavoro nei grandi cantieri delle ricostituzioni boschive [1, 2].

Per molti di questi rimboschimenti (i quali, malgrado le scarse cure colturali ricevute, hanno assolto nel complesso bene a molte delle funzioni loro attribuite), una delle evoluzioni attese è quella della cosiddetta 'rinaturalizzazione'. Che è da intendersi come un approccio colturale che favorisca l’evoluzione del rimboschimento verso una formazione costituita da specie forestali naturalmente presenti in quel dato ambiente. Sul tema, sia per gli aspetti concettuali che per alcuni efficaci esempi applicativi, si rimanda ai solidi e interessanti lavori di Susanna Nocentini i quali hanno il merito, agli occhi di chi scrive, di mettere in guardia circa l'adozione di poco credibili modelli di astratta 'naturalità', privilegiando la gestione sistemica del bosco [3, 4, 5, 6].

Ingresso di arbusti e latifoglie arboree, con inizio del processo di rinaturalizzazione, in un rimboschimento collinare di pino nero, Comune di Castelnovo Monti (Reggio Emilia) (foto di Marco Borghetti).

Ma al di là della sorti attese, ci è capitato di osservare e ragionare su alcune inattese dinamiche di 'contaminazione' che i rimboschimenti di conifere, e quelli di pino nero in particolare, possono venire ad esercitare. Si tratta di funzioni legate alla notevole capacità del pino di rinnovarsi naturalmente. Sia in spazi aperti, legati a disturbi ambientali, in cui la rinnovazione naturale ricompone la copertura arborea, sia all'interno di formazioni naturali di latifoglie in vicinanza dei rimboschimenti.

Le osservazioni fanno riferimento soprattutto a querceti misti dell'ambiente collinare (fascia sub-montana) all'interno delle quali il pino nero mostra buona capacità di diffusione naturale. In questo caso si assiste a una evoluzione naturale verso un sistema forestale variegato che potrebbe, grazie alla 'contaminazione' della conifera, mostrarsi più resistente alle condizioni imposte dalla crisi climatica in corso e, in particolare, alle ondate di calore e siccità ad essa legate. 

Anche in questo caso l'approccio colturale dovrebbe consistere nel sapiente accompagnamento di ciò che naturalmente sta accadendo, rinunciando a perseguire astratti modelli di 'naturalità'.

Sopra: rinnovazione naturale di pino nero in spazio aperto interessato da una vasta frana, Comune di Corniglio, provincia di Parma; in mezzo e sotto: ingresso naturale del pino nero in una formazione mista di latifoglie e prevalenza di querce, colline parmensi (foto di Marco Borghetti, inverno 2023 e primavera 2022).

Un caso di serendipity (felice quanto inattesa conseguenza) da uno strano caso di rimboschimento multi-specifico. Probabilmente misero a dimora tutto quello che avevano nel vivaio delle vicinanze, mescolando le specie: pini, cedri, cipressi, ecc. Il risultato, a distanza di qualche decennio, è un bosco molto gradevole sul piano paesaggistico (sopra), con un ingresso delle conifere all'interno di un querceto pascolato e lacunoso (sotto). Siamo in Basilicata, nella valle del Basento, sul versante che, dalla stretta di Campomaggiore, sale verso Gallipoli Cognato (provincia di Potenza). Foto di Emanuele Giuzio, aprile 2022.

A proposito di effetti positivi legati alla mescolanza di specie arboree nelle piantagioni. Un articolo scientifico recente mostra che la diversità nella struttura delle radici di alberi che crescono vicini si riflette positivamente sulla concentrazione del fosforo fogliare e questo a sua volta influisce positivamente sull'efficienza di uso dell'acqua. Un dato scientifico rilevante quando si progettano piantagioni miste (poli-specifiche) in ambienti (e sono molti) in cui l'efficienza di uso dell'acqua rappresenta lo snodo importante fra acquisizione del carbonio, crescita e uso della risorsa idrica [7].

[1]  Corona P et al. (2009). Rimboschimento e lotta alla desertificazione in Italia. Aracne Edizioni, pp. 284.

[2] Iovino F (2021). La ricostituzione boschiva in Calabria. Modello di riferimento del passato con approcci attuali in tema di tutela del territorio e dell’ambiente. Rubbettino, collana Università, Soveria Mannelli, pp. 186.

[3] Nocentini S (1995). La rinaturalizzazione dei rimboschimenti. Una prova sperimentale su pino nero e laricio nel comprensorio di Monte Morello (Firenze). L’Italia Forestale e Montana 50 (4): 425-435.

[4] Nocentini S (2000). La rinaturalizzazione dei sistemi forestali: aspetti concettuali. L’Italia Forestale e Montana 55 (4): 211-218.

[5Nocentini S (2001). La rinaturalizzazione come strumento di recupero dei sistemi forestali semplificati nell’Italia Meridionale. L’Italia Forestale e Montana 56 (5): 344-351.

[6] Nocentini S (2006). La rinaturalizzazione dei sistemi forestali: è necessario un modello di riferimento? Forest@ 3: 376-379.

[7] Huang Z et al. (2022). Functionally dissimilar neighbours increase tree water use efficiency through enhancement of leaf phosphorus concentration. Journal of Ecology, 00, 1– 11.