grafica: (dal greco) gràfein: " incidere", nel senso anche di disegnare, scrivere
comunicazione: (dal latino): communicare, "mettere in comune", derivato di commune, composto di cum " insieme" e munis "ufficio", "incarico", "dovere", "funzione". Propriamente: "che compie il suo dovere con gli altri".
Discipline coinvolte nell'inidirizzo:
Tecnologie dei processi di produzione (3°, 4° e 5° anno)
tecnologia:
(greco) techné: "arte", nel senso di "saper fare" (una volta il nostro indirizzo si chiamava "Arti grafiche")
(greco) logos: "discorso"
Organizzazione e gestione dei processi produttivi (5° anno)
Laboratori tecnici (3°, 4° e 5° anno)
Progettazione multimediale (3°, 4° e 5° anno)
Teoria della comunicazione (3°, 4° anno)
Alcune definizioni relative alla tecnologia grafica ricavate dalla norma UNI 7290 (novembre '93): "Procedimenti grafici. Termini e diefinizioni".
Stampa: riproduzione iterativa dei grafismi della forma o dispositivo stampante su un supporto mediante il trasferimento all attivazione di un elemento di contrasto.
Grafismo: zona stampante e corrispondente zona stampata.
Contrografismo: zona non stampante e corrispondente zona non stampata.
Forma di stampa: dispositivo atto a trasferire ad attivare un elemento di contrasto su un supporto di stampa.
Supporto di stampa: materiale in grado di trattenere il grafismo ricevuto attivato dalla forma di stampa.
UNI: sta per ente di Unificazione Nazionale Italiana (ente italiano di normazione). Redige le norme, dei documenti che "dicono come fare bene le cose", ii ogni settore della tecnica.
Esistono norme italiane (UNI), europee (EN), internazionali (ISO)... Di una certa importanza nel settore grafico sono le norme tedesche (DIN).
Anche se le fonti storiche a volte sono discordanti, si può parlare di stampa, nell'Antica Cina, già nel IV secolo:
stampe con inchiostro e matrici in pietra, poi matrici in legno
Stampa cinese del 868 d.C.
In Europa sul finire del XIV secolo è fiorente la xilografia (matrici di legno)
Gutemberg (Johann Gensfleisch: * Mainz (ca.) 1394 + Mainz 1468): perfeziona e utilizza:
la carta (già diffusa in Europa a partire dal secolo XII, introdotta dagli Arabi)
la metallurgia (le conoscenze gli vengono dalla sua famiglia: i Gensfleisch erano una famiglia di orafi. Mette a punto la "lega tipografica": piombo, stagno e antimonio)
il torchio (nato altri scopi: es. spremitura dell'uva, da lui adattato alla stampa)
l'inchiostro (da lui perfezionato: nerofumo e olio lino cotto)
inventa la stampa tipografica a caratteri mobili.
Prime importanti opere da lui stampate:
lettere d'Indulgenza (ca. 1450)
la Bibbia delle 42 linee (ca. 1455): 2 volumi di 324 e 327 pagine. Ne esistono 32 esemplari su carta e 12 su pergamena.
Ricostruzione del torchio di Gutemberg presso il museo dell'Industria grafica di Lipsia
Si può affermare che l'invenzione di Gutemberg era nata già tanto perfezionata che non ha subito grandi cambiamenti fino ai primi dell'ottocento.
E' stata un'invenzione di così grande importanza che viene spesso indicata (anche se per quanto si è detto prima impropriamente) come l'invenzione della stampa.
E' considerata, insieme alla scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo (avvenuta circa 50 anni dopo), come evento simbolico che segna la fine del medioevo e l'inizio dell'età moderna.
Un torchio del '700 (da L'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert). A parte i materiali con cui è costruito è evidente la somiglianza con quello di Gutemberg.
il tipografo compone la linea di testo prelevando i caratteri dalla cassa tipografica e disponendoli uno a uno sul compositoio
una volta volta completata la linea questa viene trasferita al vantaggio
una nuova linea viene composta e trasferita al vantaggio, e così via
una volta completata la composizione questa viene legata (con un apposito spago)
cassa tipografica
compositoio
vantaggio
composizione bloccata
la forma viene fissata e trasferita sul porta forma del torchio (o della macchina)
viene inchiostrata la forma
viene posizionato il foglio
viene esercitata la pressione tra dispositivo di pressione e forma di stampa tra i quali viene premuto il foglio
viene prelevato il foglio stampato
di nuovo 2.
al termine dellla fase di stampa la la forma viene smontata e i caratteri vengono riposti negli appositi socomparti della cassa
possiamo dividere la stampa in due ulteriori fasi
l'avviamento: in cui viene preparata la macchina (montaggio forma, regolazioni varie)
la tiratura: in cui avviene la stampa dei fogli vera e propria
col termine tiratura si intende anche il numero delle copie che vengono stampate.
parti del carattere tipografico
dimensioni e nomenclatura del carattere e della linea tipografica
Una composizione in cui due linee adiacenti hanno interlinea pari a zero si dice sterlineata.
Lo spazio tra la linea delle discendenti e la linea di spalla inferiore e lo spazio tra la linea delle ascendenti e quella di spalla superiore assicura che anche per una composizione sterlineata i caratteri di due linee adiacenti non si tcchino mai.
L'unità di misura tipografica è il punto tipografico (detto anche francese, o Didot), pari a 0,376 mm;
12 punti ostituiscono una riga, detta anche Cicero
(esiste anche il punto inglese, o Pica, leggermente diverso, pari a 0,352 mm).
Lo strumento per misurare le dimensioni tipografiche si chiama tipometro, esso non è alto che un righello graduato in punti.
Tra altezza delle maiuscole e corpo esiste una relazione (indicativa, non esattamente uguale per tutti gli stili) di circa 1,5
per cui: corpo = 1,5 X altezza delle maiuscole
Per misurare il corpo e l'interlinea di una composizione si può operare così:
si misura l'altezza delle maiuscole
si calcola il corpo con la relazione: corpo = 1,5 X altezza delle maiuscole
si misura la distanza in punti tra due linee corrispondenti adiacenti (ad esempio due linee mediane inferiori): essa è pari a corpo + interlinea
si calcola l'interlinea per differenza: interlinea = distanza in punti tra due linee corrispondenti - corpo
Altre definizioni relative alla tecnologia grafica ricavate dalla norma UNI 7290 (novembre '93): "Procedimenti grafici. Termini e diefinizioni".
Stampato: oggetto finale di uno o più processi grafici costituito da un supporto riportante i grafismi.
Processo grafico: complesso di operazioni di prestampa e stampa per ottenere uno stampato.
Prestampa: complesso di operazioni che partendo dall'originale attraverso la progettazione grafica portano alla realizzazione di prematrici, matrici e forme di stampa.
Originale soggetto (testo e/o illustrazione) da riprodurre.
Progettazione grafica: programmazione estetica, tecnica ed economica dello stampato in forma sistematica. Fase di scelta dei processi grafici e di coordinamento degli elementi che costituiranno lo stampato.
Prematrice: modello intermedio tra l'originale e la matrice per giungere alla formatura grafica.
Matrice: modello intermedio per ottenere la forma di stampa.
Formatura grafica: complesso di operazioni di preparazione della forma di stampa (per via elettronica, fotografica, meccanica, manuale o con qualsiasi altro metodo).
Procedimento grafico: gruppo di processi finalizzati a ottenere lo stampato.
Allestimento grafico: complesso delle operazioni di finitura di un semilavorato per ottenere il prodotto [grafico] finito.
In queste definizioni con l'espressione "complesso" si intende "operazioni che vengono eseguite in una ben precisa sequenza"
per flussogramma operativo si intende un diagramma o schema che mostra la successione delle operazioni o fasi di lavoro, con le relative materie prime, semilavorati e prodotti finiti. Può inoltre indicare delle fasi di controllo e anche altre informazioni relative al ciclo produttivo.
costituscono le materie prime:
l'originale
la carta
l'inchiostro
costituiscono i semilavorati:
le forme di stampa
costituiscono i prodotti finiti:
lo stampato
costituiscono le fasi di lavoro o operazioni:
la prestampa
la stampa
Sono attrezzature quelle che vengono usate per trasformare le materie prime in semilavorati e i semilavorati in prodotti finiti.
Ad ogni fase di lavoro corrispondono un insieme di specifiche attrezzature.
Le materie prime entrano una sola volta nel ciclo produttivo del processo grafico.
Le attrezzature vengono utilizzate molte volte.
Questo flussogramma operativo, estremamente elementare, può essere maggiormente dettagliato, mostrando quali sono le "sottofasi" di lavoro che costituiscono a loro volta ogni fase di lavoro mostrata. Ad esempio, come già spiegato
la stampa si può a sua volta suddividere in:
avviamento
tiratura
la prestampa si può a sua volta suddividere (almeno) in:
composizione
formatura
Stampa a impatto: si ha contatto tra la forma di stampa (o un dispositivo intermedio) e il supporto. E' caratterizzata dalla pressione di stampa.
Stampa senza impatto: non si ha contatto tra né la forma di stampa né un dispositivo intermedio e il supporto.
Pressione di stampa: è la pressione p esercitata durante la fase di stampa: p = F/S. E' il rapporto tra la forza F esercitata tra la forma da stampa (o un dispositivo intermedio) e il la superficie S del supporto in contatto con la forma (o col dispositivo intermedio).
Pressione piana: si ha quando tanto la forma quanto il dispositivo di pressione hanno forma piana.
schema della stampa a pressione piana
Pressione piano-cilindrica: si ha quando la forma ha forma piana e il dispositivo di pressione (o un dispositivo intermedio) ha forma cilindrica.
Il vantaggio della pressione piano-cilindrica rispetto alla pressione piana è che è possibile avere un'adeguata pressione di stampa anche su superfici del supporto molto grandi, senza dover esercitare forze eccessive, poiché la pressione non viene esercitata contemporaneamente su tutta la supericie del supporto, ma solo su una sottile striscia di contatto.
schema della stampa a pressione piano cilindrica
Pressione cilindrica: si ha quando tanto la forma (quanto l'eventuale dispitivo intermedio), quanto il dispositivo di pressione hanno forma cilindrica.
Il vantaggio principale della pressione cilindrica (oltre allo stesso della pressione piano-cilindrica) è quello che, grazie ai movimenti solo rotatori, e non alternati, degli organi di stampa, la stampa può avveitre con maggior velocità.
schema della stampa a pressione cilindrica
Stampa (a impatto) diretta: si ha contatto diretto tra la forma di stampa e il supporto.
Nella stampa diretta i grafismi sulla forma sono "al rovescio", cioè si leggono come "allo specchio"
Stampa (a impatto) indiretta: si ha contatto indiretto tra la forma di stampa e il supporto mediante un dispositivo intermedio.
Nella stampa indiretta i grafismi sulla forma sono "al diritto".
Riserva di inchiostro: è la modalità con cui la forma trattiene e trasferisce l'inchiostro al supporto.
Ogni procedimento grafico a impatto raggruppa quei processi grafici che sono caratterizzati dall'avere lo stesso tipo di riserva di inchiostro.
procedimento
rilievografico
incavografico
planografico
permeografico
grafismi/
contrografismi
grafismi in rilievo rispetto ai contrografismi
grafismi in incavo rispetto ai contrografismi
grafismi (lipofili) e contrografismi (idrofili) sullo stesso piano
grafismi permeabili e contrografismi impermeabili
riserva di inchiostro
naturale
meccanica
fisico-chimica
filtrante
schema forma
principali processi grafici
tipografia (importante per ragioni storiche);
flessografia, xilografia (importante per ragioni storiche), letterset (stampa indiretta)
calcografia (importante per ragioni storiche, oggi utilizzata per scopi artistici);
rotocalcografia;
tampografia (stampa indiretta)
litografia (importante per ragioni storiche, oggi utilizzata per scopi artistici);
lito-offset (stampa indiretta)
serigrafia
fase di inchiostrazione: l'inchiostro si ferma in modo naturale sui grafismi essendo questi in rilievo
fase di stampa: la forma viene premuta sul supporto e l'inchiostro presente sulle parti in rilievo viene trasferito in modo naturale a questo
fase di inchiostrazione: l'inchiostro si ferma sia nei grafismi sia sui contrografismi
fase di pulizia: l'inchostro viene rimosso dai contrografismi (operazione appunto meccanica, ad esempio mediante una racla in acciaio)
fase di stampa: la forma viene premuta sul supporto e l'inchiostro presente nelle parti in incavo viene trasferito a questo
fase di bagnatura: la forma viene bagnata. I contrografismi idrofili trattengono l'acqua (per affinità fisico-chimica), i grafismi lipofili e idrorepellenti non la trattengono
fase di inchiostrazione: i contrografismi bagnati nella fase di bagnatura respingono l'inchiostro grasso. I grafismi lipofili lo trattengono (per affinità fisico-chimica)
fase di stampa: la forma viene premuta sul supporto (o su un dispositivo intermedio) e l'inchiostro viene trasferito a questo
fase di inchiostrazione: l'inchiostro viene messo sulla forma dalla parte opposta al supporto
fase di stampa: viene passata una racla (in gomma) sulla forma, la quale forza l'inchiostro a filtrare attraverso i grafismi permeabili all'inchiostro, non attraverso i contrografismi che sono stati preventivamente resi impermeabili
Densità ottica (spesso, semplicemente, densità) del grafismo: rappresenta la proprietà del grafismo di assorbire la luce. E' legata al concetto di tonalità. Un grafismo di alta densità ha una tonalità più scura, rispetto a uno di bassa densità. Verrà definita puù rigorosamente, in senso fisico, più avanti.
Stampa autotipica: si intende un sistema di stampa che non permette di trasferire il grafismo sul supporto variandone la densità. L'effetto di chiaroscuro deve venire ottenuto mediante la retinatura. La maggior parte dei processi grafici a impatto sono autotipici.
Retinatura: scomposizione del grafismo in grafismi più piccoli, in genere punti, allo scopo di rendere l'effetto di chiaroscuro con un sistema di stampa autotipico, sfruttando l'incapacità dell'occhio di distinguerli se osservati dalla normale distanza.
esempio di immagine retinata, molto ingrandita. Osservandola da un opportuna distanza i punti non si distinguono più, ma si vede solo l'effetto di chiaroscuro
Accenniamo qui soltanto alle caratteristiche dei principali processi grafici a impatto, ai principali prodotti grafici che con essi si possono realizzare e alle caratteristiche dei gruppi stampanti delle macchine da stampa utilizzate per i vari processi grafici.
Precisamo che una macchina da stampa, per qualsiasi processo grafico, può dirsi formata, in linea di massima, da un dispositivo di alimentazione, da uno o più gruppi stampanti, e da degli organi di uscita.
il dispositivo di alimentazione ha la funzione di fornire il supporto su cui stampare ai gruppi stampanti. Il dispositivo di alimentazione caratterizza il tipo di alimentazione della macchina da stampa. Si hanno così:
macchine alimentate a bobina (quando il supporto è in forma di un nastro arrotolato a formare una bobina). Il vantaggio è la maggior velocità della macchina da stampa (circa tre volte maggiore che nelle macchine a foglio) e il costo inferiore del supporto (circa 30% in meno).
macchine alimentate a foglio (quando il supporto è in forma di fogli già tagliati). Il vantaggio è la maggior versatilità della macchina (che può essere utilizzata per lavori con caratteristiche anche molto differenti l'uno dagli altri) e, a volte, la lievemente maggior qualità dello stampato.
il gruppo stampante è quella parte della macchina dove avviene il vero e proprio trasferimento dell'inchiostro dalla forma da stampa al supporto. Il gruppo stampante ha caratterisitiche che sono estremamente dipendenti dal processo grafico utilizzato. Più gruppi stampanti in successione permettono la stampa di più colori in un solo passaggio, o la stampa in bianca e volta (cioè su entrambi i lati del supporto) in un solo passaggio. Abbiamo macchine, ad esempio:
monocolore
pluricolore
pluricolore in bianca e volta (cioè in grado di stampare in bianca e volta)
convertibili (cioè in grado di stampare solo in bianca oppure in bianca e volta a seconda della necessità)
gli organi di uscita hanno la funzione di raccogliere lo stampato finito, eventualmente conferendogli un più o meno elevato grado di allestimento. Possiamo avere, ad esempio:
un dispositivo di uscita fogli, tipica delle macchine alimentate a foglio, preceduta a volte da un forno di essicazione (per un ottimale essiccazione dell'inchiostro),
un gruppo piega, tipico delle macchine a bobina, nel quale il supporto viene già parzialmente o completamente piegato e tagliato.
Sebbene la tipografia sia un processo grafico che, dopo avere subito una grande evoluzione tecnica (dalle tecniche di composizione a manuali fino all'uso di più moderne tecnologie meccanizzate, ottiche ed elettroniche) ha ormai più importanza dal punto di vista della produzione industriale (avendola progressivamente persa in favore della più versatile stampa lito-offset a partre dagli anni '60 del XX secolo), essa continua ad avere una grande importanza dal punto di vista storico.
Spesso il termine "tipografia" è però tuttora utilizzato, un po' impropriamente, a identificare le tecniche e le arti di stampa, o anche che l'industria della stampa. Con "tipografia" spesso si intende un'azienda di stampa, indipendentemente dai processi grafici che vi vengono utilizzati.
Approfondimento: attualmente si assiste a una sorta di revival della tipografia, che da tecnica di grande importanza è diventata una tecnica quasi artistica che recupera le antiche tecniche di composizione manuale (si veda ad esempio qui: Fine Press Book Association , oppure si cerchi, ad esempio, la parola "letterpress" ("tipografia" in inglese) nel web per vedere la quantità di risorse che vi si trovano.
La flessografia (detta anche, abbreviando, stampa flexo) è attualmente un processo grafico in grande sviluppo tecnologica e in grande espanzione commerciale. Il suo campo di applicazione principale è l'imballaggio, e trova grande applicazione nella stampa dei laminati, ma anche dei quotidiani.
Deve il suo nome al materiale flessibile con cui sono realizzate le forme da stampa: inizialmente in gomma, attualmente in materiale plastico (fotopolimero) con caratteristiche meccaniche (di flessibilità e cedevolezza) analoghe a quelle della gomma.
I suoi principali vantaggi sono la sua versatilità di utilizzo su supporti con caratteristiche molto diverse gli uni dagli altri, alla sua economicità nelle grandi e piccole tirature.
Il suo limite principale, anche se in continua attenuazione, è la qualità che non può ancora competere con altri processi grafici quali la rotocalcografia e la lito-offset.
Fa utilizzo di inchiostri di bassa viscosità (o di alta fluidità, che vuol dire la stessa cosa).
Le macchine flessografiche sono sempre alimentate a bobina.
Schema semplificato di un tipico gruppo stampante flessografico:
A: cilindro anilox. Svolge funzione di inchiostratore della forma. E' elemento tipico della macchina da stampa flessografica. E' un clindro in acciaio rivestito in rame cromato o, sempre più frequentemente in materiale ceramico. Sulla superficie sono ricavate delle minuscole cellette o aleveoli (anche 250 al cm) che si riempiono di inchiostro.
R: racla. E' una lama di acciaio che ha la funzione di asportare l'inchiostro in eccesso depositato sul cilindro anilox.
C: calamaio. E' il recipiente in cui viene posto l'inchiostro che viene raccolto dall'anilox
F: cilindro portaforma, in acciaio, sul quale sono applicate le forme.
P: cilindro di pressione, in acciaio
S: supporto di stampa
cilindro anilox e ingrandimento della sua superficie
forma flessografica
Approfondimento: si può visitare il sito dell'Associazione Tecnica Italiana per lo sviluppo della Flessografia.
La rotocalcografia (detta anche, semplicemente, stampa rotocalco) è un processo grafico di grande importanza, che trova il suo punto di forza nelle grandi tirature di alta qualità. I suoi campi di applicazione principali sono riviste illustrate e cataloghi illustrati ad alto contenuto di immagine e ad alta tiratura, e l'imballaggio di qualità.
Una caratteristica della stampa incavografica è che i grafismi incisi devono avere almeno una dimensione estremamente piccola per permettere un completo riempimento degli stessi da parte dell'inchiostro (effetto capillare). Nella calcografia, ad esempio, i grafismi sono costituiti da sottili solchi incisi.
Nella rotocalcografia i grafismi sono costituiti da minuscole cellette o alveoli. Si possono avere fino a 80 ÷ 100 cellette al cm. Le pareti che separano le cellette prendono il nome di setti, o coste, e costitiscono i contrografismi.
La forma da stampa rotocalcografica è costituita da un cilindro in acciaio (che può avere lunghezze fino a oltre 3m e diametro di oltre 50 cm) rivestita da un sottile strato in rame. Nello strato di rame vengono incise le cellette.
cilindro rotocalco
superficie ingrandita del cilindro-forma rotocalcografico. Sono visibili le cellette
Il rame, una volta inciso, può venire cromato (ovvero rivestito di un sottilissimo strato di cromo) allo scopo di aumentarne al resistenza all'usura.
Gli alti costi di preparazione della forma ne fanno subire la concorrenza da un lato da parte della flessografia (imballaggio) che è in continuo miglioramento qualitativo, e dall'altro lato della roto-offset (lito- offset a bobina) che oramai è in grado di stampare tirature anche molto alte. Si può dire che la rotocalcografia è ancora molto interessante per le altissime tirature.
I lunghi tempi di preparazione della forma la rendono incompatibile con la produzione, ad esempio, dei quotidiani.
Fa utilizzo di inchiostri a bassa viscosità.
Le moderne macchine rotocalcografiche sono praticamente sempre alimentate a bobina.
A seconda delle caretteristiche delle cellette possiamo distinguere le forme rotocalcografiche in:
cellette convenzionali: le cellette hanno tutte uguale ampiezza ma profondità differenziata. Le cellette più profonde trasferiscono uno strato di inchiostro di maggior spessore, le cellette meno profonde trasferiscono uno strato di inchiostro di minor spessore. Le variazioni tonali (ovvero l'effetto di chiaroscuro) sono ottenute proprio grazie al diverso spessore di inchiostro trasferito sul supporto. Uno spessore maggiore corrisponderà a un tono più scuro, uno spessore minore corrisponderà a un tono più chiaro. La rotocalcografia con forme a cellette convenzionali, è praticamente l'unico importante processo di stampa non autotipico. Permette una stampa in cui le immagino possono avere elevatissima qualità, oggi però è quasi continuamente abbandonato in favore della rotocalco con cellette semi-autotipiche a causa degli elevati costi e dei lunghi tempi di realizzazione della forma.
sezione della superficie di una forma con cellette convenzionali. Questa sezione, come le due seguenti, è solo schematica (la proprozione tra profondità e ampiezza delle cellette non è reale)
cellette autotipiche: le cellette hanno tutte uguale profondità ma ampiezza differenziata. Le cellette più ampie stamperanno grafismi (punti di forma grossomodo quadrata) più grandi, le cellette più piccole stamperanno grafismi pù piccoli. Le variazioni tonali sono ottenute proprio grazie alle diverse dimensioni dei punti. Una zona stampata con punti più grandi darà l'impressione di essere più scura rispetto a una stampata con punti più piccoli.
sezione della superficie di una forma con cellette autotipiche. Si noti che le cellette hanno tutte la medesima distanza tra i loro centri
cellette semiautotipiche: le cellette hanno sia profondità sia ampiezza differenziata. Cellette più ampie sono anche più profonde. Le variazioni tonali sono ottenute con una combinazione degli effetti che si hanno con le cellette convenzionali e autotipiche. Le zone scure avranno punti contemporaneamente più grandi e con un maggior spessore di inchiostro. Le zone scure avranno punti contemporaneamente più piccoli e con un minor spessore di inchiostro. Attualmente è il sistema più utilizzato. Cellette di questo tipo vengono ottenute mediante l'incisione con una punta in diamante sintetico per mezzo di una dispositivo come l'Helioklischograph o similari.
sezione della superficie di una forma con cellette semiautotipiche. In questo caso la forma delle cellette è, grossomodo, piramidale, in quanto incisa da una punta di forma simile
E' facile riconoscere la stampa rotocalcografica ingrandendo una parte contenente dei caratteri. Questi presentano il classico bordo "seghettato" impronta delle cellette, non ottimale per la lettura.
Schema semplificato di un tipico gruppo stampante rotocalcografico:
C: calamaio. E' il recipiente in cui viene posto l'inchiostro
F: cilindro forma, in acciaio rivestito in rame, sul quale sono incise le cellette, successivamente cromato
P: cilindro di pressione, in acciaio rivestito in gomma
R: racla. Lama in acciaio che ha la funzione di asportare l'inchiostro dai contrografismi
S: supporto di stampa
La litografia è un procedimento grafico scoperto da Alois Senafelder (Praga 1771 - Monaco di Baviera 1834) nel 1796. Senafelder scoprì la proprietà che la pietra calcarea (che vedeva prelevare nelle cave di Solnhofen), opportunamente levigata, poteva essere resa idrofila (cioè affine all'acqua) mediante acidificazione. La parola "litografia" viene dal greco lìthos, "pietra" e gràphein, "scrivere".
Tracciando su questa pietra, dei segni mediante una matita grassa, si osserva che le zone ove vengono tracciati tali segni sono invece idrorepellenti (cioè respingenti l'acqua) e lipofile (cioè affini ai grassi).
Se la pietra così trattata, viene bagnata, si osserva che l'acqua viene respinta dalle zone tracciate con la matita grassa (essendo idrorepellenti), mentre viene trattenuta dalldalla pietra rimasta scoperta.
Inchiostrando ora la pietra con un inchiostro a base grassa si osserva che l'inchiostro viene repinto dalla pietra rimasta scoperta, in quanto bagnata, e pertanto diventata liporepellente (cioè respingente il grasso), mentre viene trattenuto dalla parte non bagnata, cioè dalle zone ove sono stati tracciati i segni con la matita grassa.
Le parti lipofile costituiscono pertanto i grafismi, le parti idrofile, diventate liporepellenti a seguito della bagnatura, costituiscono i contrografismi. La pietra così trattata è pertanto una forma da stampa e a questo punto può venire usata per stampare mediante un torchio da stampa.
I fenomeni fisico-chimici che avvengono nella stampa litografica vengono sfruttati anche nella stampa lito-offset. Il prefisso lito sta a significare proprio questo, ma la pietra nella stampa lito-offset è sostituita da altri materiali con analoghe proprietà. Il termine offset, in inglese sta a significare "fuori-contatto", in altre parole "stampa indiretta". La stampa lito-offset viene normalmente chiamata semplicemente offset, il che sarebbe comunque un po' improprio, in quanto il termine offset indicherebbe genericamente qualsiasi processo di stampa indiretta.
La stampa lito-offset è al giorno d'oggi il processo di stampa a impatto di gran lunga più diffuso, grazie alla sua grande versatilità, alla possibilità di ottenere un'alta qualità di stampa, alla possibilità di stampare praticamente qualsiasi tipo di prodotto grafico.
La forma da stampa, nella stampa lito-offset è in genere al giorno d'oggi costituita da una lastra in alluminio anodizzato e microgranito. L'anodizzazione è una lavorazione chimica che ha la funzione di rendere l'alluminio idrofilo e più resistente all'aggressione chimica. La microgranitura è lavorazione che ha la funzione di rendere la lastra più ruvida, quindi più idrofila e di permettere un miglior ancoraggio della resina diazoica (o diazocomposto, detto anche semplciemente "diazo").
Tale resina viene spalmata sull'alluminio in fase di fabbricazione della lastra (tale operazione si chiama sensibilizzazione), ed è un composto lipofilo e fotosensibile, cioè sensibile alla luce, o alla radiazione ultravioletta (UV). La radiazione ha l'effetto di far avvenire alla resina stessa un cambiamento di stato facendola diventare (nelle resine più comunemente usate) da insolubile a solubile.
La fase di formatura prevede che la lastra così sensibilizzata venga esposta alla radiazione UV in corrispondenza dei contrografismi, e successivamente immergendola in una soluzione acquosa di sviluppo, si avrà come risultato che lo sviluppo scioglierà le parti esposte alla radiazione, scoprendo così l'alluminio idrofilo, che costituirà appunto i contrografismi, mentre nelle parti non esposte rimarrà la resina, che costituirà i grafismi.
Tale operazione di esposizione può venire fatta attraverso una pellicola positiva che verrà posta sopra la lastra. Infatti su una pellicola positiva i grafismi sono opachi (e quindi non fanno passare la radiazione), mentre i contrografismi sono trasparenti (fanno invece passare la radiazione).
Le lastre descritte prendono il nome di lastre PSP (PreSensibilizzate Positive, cioè sensibilzzate in fase di fabbricazione, pronte per l'uso, e che necessitano per l'esposizione di una pellicola positiva).
schema di esposizione di una lastra PSP. La radiazione UV solubilizza il diazocomposto.
La pellicola è posta a contatto della lastra. Per chiarezza schematica è qui invece raffigurata leggermente staccata
latra PSP dopo l'esposizione e lo sviluppo
Le lastre PSP sono solo uno tra i tanti tipi di lastre (sebbene siano tra le più comuni) presenti sul mercato. Alcuni tipi ad esempio non sono in alluminio, ma sfruttano analoghe proprietà di altri materiali. Altre non usano la resina diazoica, ma fotopolimeri o altre sostanze fotosensibili. Alcune di queste sostanze non diventano solubili se esposte alla radiazione ma al contrario sono inizialmente solubili e diventano insolubili quando esposte. Alcune sono sensibili alla luce visibile, altre alla radiazione UV.
Alternativamente la fase di formatura può avenire esponendo la lastra mediante una fotounità, cioè un dispositivo al quale vengono inviati i dati da un computer, e che provvede a esporre la lastra, punto per punto, mediante un raggio laser che si muove sulla superficie della lastra, accendendosi o spegnendosi in corrispondenza di grafismi e contrografismi. Un sistema siffatto prende il nome di sistema CTP, ovvero Computer To Plate, che significa "dal computer alla lastra".
Le lastre per CTP non usano, quale composto fotosensibile, la resina diazoica, ma altri composti con caratteristiche differenti, a volte che solubilizzano, a volte che insolubilizzano sotto l'effetto della radiazione che li colpisce, che può essere luce visibile, radiazione UV, o radiazione IR (queste ultime prendono il nome di lastre termiche), a seconda del tipo di lastra. Oggigiorno la formatura CTP si è affermata in maniera quasi completa.
Il gruppo stampante lito-offset è caratterizzato dalla presenza del cilindro caucciù (detto in gergo, semplicemente, "cucciù") che costituisce il "dispositivo intermedio", essendo la lito-offset una stampa di tipo indiretto. E' necessario che cilindro porta forma e cilindro caucciù abbiano esattamente lo stesso diametro, poiché devono compiere lo stesso numero di giri rotolando uno contro l'altro senza strisciamenti. Se così non fosse infatti la forma trasferirebbe ad ogni giro il grafismo in una posizione differente, causando stampa sdoppiata.
E' evidente inoltre che la forma deve ricevere prima la bagnatura e poi l'inchiostrazione.
Schema semplificato di un tipico gruppo stampante lito-offset:
F: cilindro porta-forma, su cui viene avvolta e fissata la lastra
C: cilindro caucciù, rivestito con un telo gommato. Costituisce il dispositivo intermedio, esserndo la lito-offset un processo di stampa indiretto
P: cilindro di pressione, in acciaio.
B: rullo bagnatore. In una macchina reale sono normalmente due.
I: rullo inchiostratore. In una macchina reale sono normalmente quattro.
Approfondimenti: digitando su un motore di ricerca le parole "offset", "stampa offset", "offset printing" si possono trovare migliaia di pagine web sull'argomento.
DA INSERIRE E FACOLTATIVO PER LA VERIFICA
La fase di lavoro o operazione del processo grafico che precede la stampa è, come dice il nome stesso, la prestampa.
Ricordiamo la definzione già data di prestampa: "complesso di operazioni che partendo dall'originale attraverso la progettazione grafica portano alla realizzazione di prematrici, matrici e forme di stampa".
Di fatto le materie prime della fase di prestampa sono gli originali, l'oggetto finale è costitulito dalle forme di stampa. Prematrici e matrici sono dei semilavorati, che in molti casi possono anche non esserci (e di fatto la tendenza, nei moderni sistemi di prestampa, è quello di arrivare direttamente all'ottenimento della forma senza passare dall'ottenimenti di matrici e prematrici di alcun tipo).
Gli originali possono essere a loro volta testo o immagini, che, a seconda dei casi, possono presentarsi in varie forma.
Nel caso della prestampa tradizionale, il testo è costituito da un manoscritto o un testo dattiloscritto. Le immagini si presentano su supporto fisico, carta o pellicola fotografica, possono essere fotografie o bozzetti.
Nel descrivere la fase di prestampa facciamo qui riferimento a un flusso di lavoro digitale.
Il testo si presenta in genere già in forma digitale (uno o più file di testo). Qualora si presentasse ancora in forma manoscritta o dattiloscritta si dovrà compiere l'operazione di digitazione dello stesso, che verrà pertanto trasformato in file di testo.
Anche le immagini si presentano in genere già in forma digitale (file di immagine). Qualora si presentassero ancora su supporto fisico, carta o pellicola fotografica, dovranno in tal caso essere acquisite per mezzo di uno scanner, trasformandole così in file di immagine.
Una volta acquisito il testo, questo dovrà essere composto. La composizione è quella fase che fa parte della più generale fase di prestampa, che riguarda proprio l'elaborazione del testo, nel senso di scelta dello stile, delle dimensioni e della disposizione dello stesso. Pertanto con il termine composizione ci si riferisce tanto all'operazione di composizione manuale mediante i caratteri tipografici mobili, quanto alla stessa operazione svolta per mezzo di opportuni programmi di composizione, quanto alla medesima operazione svolta con altri sistemi del passato, più o meno automatizzati.
Approfondimento: si possono cercare sul web ad esempio le parole linotype e monotype, due sistemi meccanizzati introdotti verso la fine del XIX, in uso fin verso gli anni '60 del XX secolo, che hanno rivoluzionato la composizione del testo.
Alcuni concetti sulle immagini digitali
Le immagini in forma digitale possono essere memorizzate come immagini bitmap (o mappe di bit) o come immagini vettoriali.
un'immagine bitmap è un immagine che viene memorizzata dopo essere stata suddivisa in tanti elementi quadrati detti pixel (da Picture Element: "elementi di immagine"). Ogni singolo pixel ha un solo colore uniforme (un po' come la tessera di un mosaico) e il suo colore viene memorizzato con un codice numerico che corrisponde univocamente a quel colore. Il file che contiene l'immagine bitmap è quindi sostanzialmente un insieme o tabella di codici numerici che rappresentano il colore di ogni singolo pixel. Ovviamente maggiore è il numero di pixel in cui è scomposta l'immagine, maggiore è il suo contenuto in termini di dettagli.
Un immagine bitmap, se ingrandita, a un certo punto inizierà a degradarsi, e non mostrerà ulteriori dettagli, ma mostrerà i pixel.
La modifica delle immagini bitmap è possibile, ma piuttosto complessa e sicuramente entro certi limiti. Prende anche il nome di "fotoritocco"
Il programma più diffuso nell'industria grafica per l'elaborazione di immagini bitmap è Adobe Photoshop®. Un ottimo programma "open source", gratuito, è Gimp.
un'immagine vettoriale è un un immagine in cui vengono memorizzato i singoli elementi geometrici, come forma, posizione, colore.
Ad esempio l'immagine vettoriale di un cerchio pieno colorato, pieno sarà memorizzata come: coordinate del centro, diametro, colore. Avrà pertanto bisogno di 5 informazioni:
che è un cerchio pieno
il colore
diametro
ascissa del centro
ordinata del centro
L'mmagine di un segmento colorato sarà memorizzata come coordinate dei due estremi, spessore e colore. Avrà bisogno pertanto di 7 informazioni:
che è un segmento
il colore
lo spessore
ascissa del primo estremo
ordinata del primo estremo
ascissa del secondo estremo
ordinata del secondo estremo
Un immagine vettoriale, potrà essere ingrandita a piacere senza degradarsi.
Le immagini vettoriali devono essere realizzate al computer per mezzo di un programma di grafica vettoriale. Per mezzo dello stesso programma un immagine vettoriale può essere agevolmente modificata.
Il programma più diffuso nell'industria grafica per la creazione e l'elaborazione di immagini vettoriali è Adobe Illustrator®. Un ottimo programma "open source", gratuito, è Inkscape.
Le immagini acquisite per mezzo di uno scanner, e le fotografie digitali, sono sempre immagini bitmap.
Le immagini una volta acquisite vanno a loro volta elaborate. Un conto è avere una fotografia digitale così come viene acquisita dallo scanner o un immagine vettoriale così come viene creata dal grafico, un conto è avere la stessa immagine con le caratteristiche adatte al prodotto grafico che dobbiamo realizzare.Le immagini perciò dovranno essere in gerere modificate, nel senso di ritoccate, corrette cromaticamente, ritagliate, ridimensionate etc. Operazioni che in era digitale, vengono svolte ad esempio per mezzo dei già citati programmi AdobePhotoShop® e Adobe Illustrator®)
L'impaginazione è quella fase che consiste nel disporre, all'interno della pagina, le parti di testo e le immagini nella posizione che gli competono. Anche con il termine impaginazione ci si riferisce tanto all'operazione svolta per mezzo di opportuni programmi di impaginazione, quanto alla medesima operazione svolta con altri sistemi del passato.
Nella grafica moderna è abbastanza difficile distinguere la fase di composizione da quella di impaginazione. E' ovvio che la scelta della disposizione del testo debba tenere conto anche della disposizione delle immagini e viceversa, pertanto la composizione e l'impaginazione vengono fatte con i medesimi programmi che possono svolgere entrambe le funzioni.
I programmi più diffusi nell'industria grafica per la composizione e l'impaginazione sono Adobe InDesign® e QuarkXPress® (quest'ultimo un po' in declino). Un ottimo programma "open source", gratuito, è Scribus.
Oggetto finale della fase di impaginazione digitale sarà uno o più file di descrizione pagina.
I più diffusi formati di descrizione pagina (detti anche "PDL": Page Description Language) sono PS (PostScript®) e PDF (Portable Document Format).
Le pagine devono essere a loro volta essere disposte tra loro nella opportuna posizione che andranno a occupare sulla forma da stampa e quindi sul foglio stampato per poter effettuare la stampa nel modo più rapido, poter semplificare l'operazione di allestimento e ridurre gli scarti di carta. Questa operazione prende il nome di imposizione. Una corretta imposizione sfrutterà al meglio la carta su cui si stampa.
Fin dai primi tempi della stampa i libri venivano realizzati raggruppando le pagine in gruppi di quattro, detti quartini, cucendoli opportunamente tra loro. In questo modo venivano stampate contemporaneamente due pagine per volta (le due su un lato, detto bianca, e le due sull'altro lato, detto volta).
esempio di quartino: quattro pagine, di cui due in bianca e due in volta
Questi raggruppamenti di pagine, detti segnature, possono essere anche più complessi. Oltre alle 4 pagine (quartino) si possono avere, ad esempio 8 pagine (segnatura in ottavo), 16 pagine (segnatura in sedicesimo), 32 pagine (segnatura in trentaduesimo).
Anche per la stampa di prodotti quali, ad esempio delle etichette, risulta conveniente disporre sulla medesima forma da stampa tante etichette ripetute. Anche qui, la disposizione delle verie etichette nella posizione che andranno a occupare sulla forma da stampa e quindi sul foglio stampato prende il nome di imposizione.
Spesso, nel settore grafico italiano, si usa il termine montaggio, con lo stesso significato di imposizione. E' questo un termine che si preferiva usare prima che questa operazione venisse fatta con tecnologie digitali, incollando manualmente le pellicole fotografiche che riportavano i grafismi su un foglio trasparente che veniva utilizzato per ottenere la forma (si veda il paragrafo "lito-offset" dove si parla della formatura). Pertanto, quando si fa uso di tecnologie digitali, al posto di imposizione si usa anche il termine mpntaggio digitale.
Oggetto finale della fase di imposizione digitale sono ancora uno o più file di descrizione pagina, ma con struttura diversa dal file prodotto dalla fase di impaginazione.
La fase di impaginazione produce un file fatto di pagine in successione. La fase di imposizione produce file in cui le pagine sono disposte come sulle forme da stampa che dovrà venire realizzata.
disposizione delle pagine nel file prodotto nella fase di impaginazione
disposizione delle pagine nel file prodotto nella fase di imposizione, bianca e volta. In questo esempio si tratta di una segnatura in sedicesimo. Si osservi la disposizione delle pagine sulla bianca e sulla volta. Piegando il foglio con 3 pieghe incrociate le pagine risulteranno disposte in successione.
L'imposizione digitale viene effettuata mediante appositi programmi spesso realizzati dai produttori delle fotounità.
Successivamente all'imposizione si svolge la fase di formatura, che è già stata definita come quel "complesso di operazioni di preparazione della forma di stampa (per via elettronica, fotografica, meccanica, manuale o con qualsiasi altro metodo)".
In un flusso di lavoro digitale la forma viene preparata con metodi diversi a seconda della tecnologia e a seconda del processo di stampa, ma tutti i sistemi hanno in comune l'elaborazione delle informazioni contenute nei file di descrizione pagina prodotti dall'imposizione.
Le più moderne tecniche di formatura usate del processo lito-offset e nel processo flessografico prevedono l'uso di una fotounità, dispositivo che espone la forma, punto per punto, mediante un raggio laser che si muove sulla superficie della stessa, accendendosi o spegnendosi in corrispondenza dei grafismi e dei contrografismi, comandato da un apposito elaboratore detto RIP (Rasted Image Processor), il quale provvede alla elaborazione dei file di descrizione pagina provenienti dalla fase di imposizione.
Quest sistemi di formatura, ormai affermati in maniera pressoché globale, prendono il nome di CTP, ovvero Computer To Plate, che significa "dal computer alla lastra".
Anche nel processo rotocalcografico vengono usate tecniche digitali di formatura. In questo caso il RIP comanda un dispositivo come l'Helioklischograph che provvede a incidere le cellette mediante una punta in diamante sintetico.
il flussogramma della prestampa
Con l'acronimo DTP (Desk top Publishing: "Editoria da scrivania") si intende l'iniseme di elementi informatici, hardware (le attrezzature) e software (i programmi), con cui possono essere effettuate le fasi di acquisizione e elaborazione delle immagini, di composizione del testo, di impaginazione e di imposizione.
Al tempo stesso con l'espressione DTP si intende anche l'insieme di quelle stessa fasi di lavoro (acquisizione e elaborazione delle immagini, di composizione del testo, di impaginazione e di imposizione), quando svolte per via digitale, mediante computer, appositi software, e altre attrezzature di input e output.
un esempio di stazione di lavoro DTP con i suoi elementi di input e di output
un esempio di organizzazione a rete di un reparto di DTP
Le immagini possono essere:
a tono continuo: sono le immagini che contengono sfumature. Se sono a un solo colore (nero) possono contenere tutte le sfumature del grigio. Per potere riprodurre un'immagine a tono continuo con un sistema di stampa autotipico, sarà necessario retinarla;
al tratto: sono le immagini che non contengono sfumature, ma solo toni pieni. Se sono stampate a un solo colore (nero) hanno o bianchi o neri;
retinate: sono immagini che sono state scomposte in grafismi di piccole dimensioni, non distinguibili dall'occhio a una normale distanza di osservazione, in modo da poter dare l'effetto di contenere sfumature.
immagine a un colore a tono continuo
la stessa immagine a un colore riprodotta al tratto
la stessa immagine riprodotta dopo essere stata retinata. I punti di retino sono volutamente molto grandi per comprenderne più facilmente il significato
Il retino può essere:
a modulazione di ampiezza (o AM, o tradizionale): i punti hanno distanza tra i centri costante, ampiezza variabile
a modulazione di frequenza (o FM, o stocasitico): punti hanno grandezza costante, distanza variabile
retino AM
lo stesso retino, ingrandito. Si noti come le distanze, misurate tra centro e centro, dei punti, siano costanti
retino FM
lo stesso retino, ingrandito. Si noti come i punti abbiano tutti le stesse dimensioni
Le più comuni forme del punto (con particolare riferimento alla stampa lito-offset) sono:
retino a punto quadro: miglior dettaglio ma più adatto alla stampa con inchiostri viscosi (offset a foglio) e su carta poco porosa;
retino a punto tondo: dettaglio lievemente inferiore, ma più adatto alla stampa con inchiostri più fluidi (offset a bobina) e su carta porosa.
retino a punto quadro
retino a punto tondo
E' un concetto che si riferisce esclusivamente alla retinatura AM. Rappresenta il numero di file di punti per unità di misura.
Ad esempio 60 linee/cm significa che in un centimetro ci sono 60 file di punti. E' chiaro che un'alta lineatura permette una maggior quantità di dettagli. Nella stampa su carte porose non è consigliato utilizzare alte lineature. Uno stampato di alta qualità, su carta microporosa, viene realizzato con lineature di 60÷ 70 linee/cm. Nella stampa dei quotidiani (carta molto porosa) si utilizzano lineature nell'ordine delle 32 linee/cm. Nel mondo anglosassone la lineatura viene espressa in LPI (Lines Per Inch: "linee al pollice"), utilizzando come unità di misura di lunghezza il pollice o inch, pari a 2,54 cm. Approssimando tale numero a 2,5 si può pertanto facilmente effettuare la conversione. Ad esempio:
60 linee/cm = 60 linee/cm x 2,5 cm/pollice = 150 linee/pollice = 150 LPI
Rappresenta la percentuale di superficie che il grafismo occupa rispetto alla superficie presa in considerazione. E' direttamente legata all'effetto di chiaro scuro
DA INSERIRE. FACOLTATIVO PER LA VERIFICA
Con il termine sintesi si intende qui la formazione dei colori a partire da tre colori base.
Per capire il fenomeno della sintesi del colore dobbiamo fare qui un breve cenno, estremamente semplificato, alla natura della luce e alla sua percezione.
La luce è una radiazione elettromagnetica che quando colpisce la retina del nostro occhio ne stimola alcuni organi recettori (i coni) che inviano un impulso al nostro cervello. I coni sono di tre famiglie differenti:
una è più sensibile alle lunghezze d'onda più lunghe (detti coni L dall'inglese Long), corrispondenti ai colori prossimi al Rosso (R)
una è più sensibile alle lunghezze d'onda medie corte (detti coni M dall'inglese Medium), corrispondenti ai colori prossimi al Verde (G, dall'inglese green)
una è più sensibile alle lunghezze d'onda più lunghe corte (detti coni S dall'inglese Short), corrispondenti ai colori prossimi al Blu (B)
A seconda della distribuzione delle lunghezza d'onda presente in una certa luce colorata, verranno stimolati più o meno i tre tipi di coni, che invieranno un impuslo al cervello (tristimolo). Il cervello decodifica questi impusi e riconosce quali coni sono stati maggiormente stimolati, restitendoci così la sensazione di colore.
Ecco perché è possibile fare una trattazione del colore semplificata, ma sostanzialmente corretta, pensando alla luce come composta da tre componenti fondamentali: rossa (R), verde (G), blu (B).
La luce bianca (W dall'inglese white) è composta da tutte e tre le componenti RGB.
Un filtro è un elemento un grado di bloccare una o alcune componenti della luce lasciandone passare altre.
Un filtro di selezione ideale è un filtro che blocca completamente una delle tre componenti, e lascia passare completamente le altre due.
Ad esempio un filtro di selezione ideale rosso, bloccherà le componenti verde e blu e lascerà passare la componente rossa. Parliamo di filtro ideale intendendo un filtro che si comportà propio così come descritto. Un filtro reale rosso in realtà lascerà passare anche un piccolo quantitativo di luce verde e blu, e bloccherà una piccola parte di luce rossa. Pensando a dei filtri ideali la trattazione risulterà enormemente più semplice.
luce bianca (W) filtrata con un filtro ideale rosso (R): vengono bloccate le componenti G e B, passa la componente R
Se si filtra la luce bianca (W) con due filtri di selezione ideale, ad esempio R e B, è evidente che non passerà alcuna componente della luce
Per sintesi addittiva si intende la formazione dei colori sovrapponendo (in pratica addizionando) tre luci base o fondamentali opportunamente scelte. Si utilizzano il rosso, il verde e il blu che sono proprio le tre componenti della luce. Nessuno di questi tre colori è una miscela degli altri due. La scelta di questi tre colori permette di ottenere una miscela più ampia di colori.
inviando al nostro occhio le tre componenti R, G e B, si ricostruirà la luce bianca (W)
inviando al nostro occhio le sole componenti G e B, si avrà la sensazioen del Cyan (C)
inviando al nostro occhio le sole componenti B e R, si avrà la sensazioen del Magenta (M)
inviando al nostro occhio le sole componenti R e G, si avrà la sensazioen del Giallo (Y: "yellow")
Anche proiettando su uno schermo bianco le stesse luci si avrà la formazione dei colori nello stesso modo.
La sintesi addittiva è sfruttata, ad esempio, nei monitor, in cui ogni pixel è quadrato, e formato da minuscole barrette luminose colorate in R, G e B. A causa delle piccole dimensioni del singolo pixel l'occhio non è in grado di distinguere tre barrette, e i colori da esse prodotte si misceleranno all'interno del nostro occhio.
Regolando l'intensità delle tre componenti si potranno sintetizzare infiniti colori.
un pixel del monitor ingrandito. Se lo zoom della pagina è al 100% (dimensioni normali) questo ingrandimento è di 100 volte.
La schermata bianca corrisponde alla massima intensità luminosa delle tre barre RGB (valore massimo par a 255)
Una schermata, ad esempio, rossa, corriponde alla massima accensione della barra R, e alla minima del G e del B (valori, rispettivamente: 255, 0, 0)
Per sintesi sottrattiva si intende la formazione dei colori sovrapponendo dei filtri di colore base o fondamentali della sintesi sottrattiva opportunamente scelti in modo che ognuno di essi blocchi delle componenti della luce.
Si utilizzano il cyan (C), il magenta(M) e il giallo (Y), colori che come si è detto sono dati ciascuno da due componenti della luce.
I filtri possono essere intesi anche come inchiostri trasparenti sovrapposti nella stampa l'uno all'altro, oppure mescolati uno all'altro.
Sono proprio gli inchiostri cyan magenta e giallo che vengono usati nella stampa in quadricromia. Si parla di quadricromia perché, in aggiunta, si utilizza anhe il nero (K, dall'inglese "blacK" o "Key" inteso come colore chiave).
un inchiostro giallo lascia passare attraverso il suo spessore la luce rossa e verde: infatti il giallo è fatto di rosso e di verde;
la luce che passa attraverso l'inchiostro viene riflessa dal supporto bianco e successivamente passa nuovamente attraverso lo spessore dell'inchiostro;
in paratica, si può dire, che l'inchiostro giallo riflette la luce rossa e verde, e che assorbe la luce blu (blu e giallo si dicono complementari)
Sovrastampando due inchiostri per quadricromia, nell'esempio giallo e magenta, passa una sola componente della luce;
il magenta assorbe il verde (il suo complementare) e lascia passare il rosso e il blu;
il giallo assorbe il blu (il suo complementare) e lascia passare il rosso e il verde, ma il verde è già stato bloccato dal magenta sovrastante, quindi solo il rosso arriva al supporto bianco, e da questo viene riflesso;
la sovrapposizione di giallo e magenta dà pertanto il rosso;
lo stesso avviene se i due inchiostri vengono tra loro mescolati: si ottiene un inchiostro rosso;
se si tratta di inchiostri ideali nulla cambia se si inverte l'ordine di stampa
Sovrastampando i tre inchiostri per quadricromia, giallo, magenta e cyan, vengono fermate tutte le componenti della luce;
il cyan assorbe il rosso (il suo complementare) e lascia passare il verde e il blu;
il magenta assorbe il verde (il suo complementare) e lascia passare il rosso e il blu, ma il rosso è già stato bloccato dalcyan sovrastante, quindi solo il blu passa;
il giallo assorbe il blu (il suo complementare) e lascia passare il rosso e il verde, ma il rosso e verde sono già stati bloccati dagli inchiostri sovrastanti, nessuna componente arriva al supporto.
la sovrapposizione di giallo e magenta e cyan dà pertanto il nero;
se si trattasse di inchiostri ideali nulla cambia se si inverte l'ordine di stampa;
lo stesso avviene se i tre inchiostri vengono tra loro mescolati: si ottiene un inchiostro nero;
nella realtà, poiché non abbiamo inchiostri ideali, si ottiene un nero sporco e poco profondo: ecco perché in stampa non si usa la tricromia (CMY), ma piuttosto la quadricromia (CMYK), usando anche l'inchiostro nero;
un altro motivo è dovuto al fatto che, quando si deve ottenere il nero, se utilizzo l'inchoistro nero anziché cyan magenta e giallo, utilizzo nel complesso meno inchiostro, con un ripsarmi economico, una maggior rapidità di essiccazione e si evitano una serie di problemi in stampa
un breve cenno all'entipologia
l'allestimento degli stampati