Detti e Contraddetti sulla Ruota di Venezia
Alcune riflessioni sulle lotterie.
RivistaIl Mulino, N. 6, 921-929, (2009)
Pierluigi Contucci
Col fresco entusiasmo dello studente che ha brillantemente superato l’esame di calcolo delle
probabilità decido che è arrivato il momento di affrontare uno zio, appassionato giocatore del
lotto. Egli era solito parlare con evidente soddisfazione delle sue vincite, pur modeste che
fossero. Quello che più mi colpiva però erano i suoi accorati racconti delle vincite mancate. Con
grandi capacità narrative ricordava di quella volta in cui aveva scelto la ruota di Napoli e non
quella di Roma, o aveva giocato i numeri della data di nascita di un figlio invece di quella del
padre, o di quella sciagurata volta in cui aveva smesso di giocare un numero ritardatario proprio
la settimana prima che uscisse. Il mio piano è semplice: con la forza delle conoscenze sulla legge dei grandi numeri stimolare almeno un qualche dubbio su quelle sue ostinate e dogmatiche
convinzioni. Il dubbio, la fonte di ogni progresso, avrebbe prima scardinato e poi fatto crollare la
sua teoria del gioco. L’ annuncio che giocherà il 31 sulla ruota di Venezia perché ha sognato il
padre in gondola mi fornisce l’occasione giusta. Chiedo, spiego, argomento meglio che posso ma
lui resiste, ribatte e svicola con abilità e prontezza dialettica. I miei sforzi razionali scivolano
sulle sue colorite e tenaci credenze. E’ un osso duro, dà l’impressione che abbia già sostenuto
quel dibattito altre volte, anche solo tra sè e sè. Alla fine, e forse maldestramente, non riesco a
trattenere quella domanda la cui risposta direbbe tutto ma senza spiegare nulla: zio ma quanto hai giocato in tutto nella vita? A distanza di molti anni la risposta che ancora ricevo a quella
domanda da persone in tempi e luoghi diversi è sempre la stessa e può ben riassumersi, o meglio tradursi, in un “non seccarmi e falla finita”. La mia missione è chiaramente fallita. Negli anni ho anche scoperto che quel tipo di frustrazione è comune a molti colleghi che si occupano di
probabilità. Nessuno di noi è mai riuscito a cambiare un giocatore ma questa constatazione non
mi è mai stata di sollievo. Per contro dico sempre agli studenti, soprattutto quelli che studiano
matematica solo per dimenticarla, che se ad esame superato rimarrà loro l’informazione che
giocare al lotto non conviene vorrà dire che il corso non sarà stato inutile.
Ma cos’è veramente il fenomeno del gioco del lotto se osservato a tutto tondo?
Dal punto di vista della matematica il gioco del lotto e le sue molteplici varianti non differiscono
di molto dal lancio della moneta o da quello del dado. Una moneta non truccata lanciata su di un
tavolo ha probabilità un mezzo di mostrare la testa o la croce cosi come il dado regolare ne ha un sesto di mostrare una delle facce. Utilizzando qualche elementare nozione di calcolo
combinatorio del livello di una scuola superiore, quale il coefficiente binomiale, si può
similmente valutare la probabilità di centrare la sestina al superenalotto. Questa risulta essere
all’incirca di una su 623 milioni. L’ordine di grandezza di quest’ultima cifra è ben diverso da
quelle che siamo avvezzi contare con le dita. La sua percezione pertanto risulta difficoltosa (si
veda G.Giorello, Corriere della Sera 21 luglio 2009, per una sua vivace descrizione). Una
visualizzazione geometricamente efficace può essere questa: si pensi a una ruota della fortuna
come quelle che si vedono in tv o nelle sagre di paese in cui gli spicchi sono separati da pioli a
distanza di 6 o 7 centimetri. Una ruota della fortuna in cui uno degli spicchi avesse la stessa
probabilità della sestina del superenalotto avrebbe un raggio pari a quello della terra!
La remota possibilità di vincita è però un fatto inessenziale non solo dal punto di vista sociale,
come mostra la popolarità del gioco, ma anche e soprattutto scientifico. Le probabilità per loro
natura sono tutte numeri non più grandi di uno e dire che una probabilità è piccola senza termini
di confronto è una affermazione priva di senso. In soccorso ci arriva però la prima lezione di
matematica di Lagrange e Laplace all’Ecole Normale Superieure tenuta a Parigi nel 1795 in cui
il calcolo delle probabilità fa il suo ingresso tra gli argomenti fondamentali della cultura
scientifica moderna: “in tempi in cui i cittadini (non piu sudditi!, n.d.a.) sono chiamati a decidere
della sorte dei loro simili” spiegano nella loro introduzione “diviene per loro importante
conoscere i principi di una scienza che fa valutare nel modo più esatto possibile la probabilità
delle scelte e delle circostanze fattuali”. Nel nostro caso una parte delle circostanze fattuali sono i
dati sul costo delle giocate e il valore delle vincite: il quoziente tra il costo della giocata e il
valore del premio è infatti la frazione da confrontare alla probabilità di vincere. Se quest’ultima è
più piccola di quella frazione la giocata non è equa perchè favorisce il banco. Un esempio di
gioco equo è una ruota della fortuna con 100 numeri: si acquista un numero al prezzo di un Euro
e il numero vincente viene premiato con 100 Euro. Se l’acquisto di un numero costasse piu di un
Euro o se la vincita fosse più piccola di 100 Euro il gioco favorirebbe il banco e non sarebbe
equo. In teoria dei giochi si usa dire che un gioco è equo se il valore medio delle vincite uguaglia
le somme giocate totali. Questo perché, come consegue dalla legge dei grandi numeri, ripetendo
un gioco equo moltissime volte il banco e il gruppo di giocatori finiscono in pari.
Dovrebbe essere un fatto ben noto che le lotterie sono lungi dall’essere giochi equi secondo le
definizioni date sopra. In realtà questa informazione è diffusa ma in modo molto disomogeneo
tra la popolazione. Quanto le lotterie distino dall’equità dipende dalle loro diverse modalità (lotto
, superenalotto etc.) ma una buona misura di quella distanza è il guadagno netto che entra nella
casse dello stato che per volume annuale è gia stato paragonato, nel migliore dei casi, a una
“tassazione volontaria”. Stime molto fondate prevedono che nel nostro paese quel netto per il
solo superenalotto supererà il miliardo di Euro alla fine del 2009. E’ bene mettere subito in
evidenza che quell’enorme guadagno dipende non solo dal fatto che il montepremi è una frazione piccola delle giocate totali, ma anche dal fatto che non tutta la somma a disposizione è realmente distribuita. L’effettiva distribuzione dipende sia dalla struttura fine del gioco che dal fatto che in ogni caso una frazione consistente dei premi non viene ritirata.
Riassumendo quindi possiamo dire che dal punto di vista economico quel che succede è che un
giocatore paga un prezzo molto più caro di quello che pagherebbe in un gioco equo: dal quel
punto di vista quindi il suo comportamento è altamente irrazionale. La tentazione di spiegare
questo fenomeno in termini di acquisto di una emozione quale quella provocata dal sogno della
ricchezza e dell’agio è molto forte (si veda ancora G.Giorello nell’articolo sopra citato) ma
ignora molti aspetti essenziali per la comprensione del fenomeno.
L’irrazionalità nel comportamento economico è studiata ormai da tempo e non solo in termini
filosofici ma su analisi fenomenologiche poggiate su solide basi statistiche. Dall’incontro tra
teorie psicologiche ed economiche quegli studi hanno favorito la gemmazione di un ramo
portante di quelle che oggi vengono chiamate scienze cognitive. E’ interessante notare che quelle ricerche sono partite molto in ritardo rispetto ad autorevoli osservazioni e agli spunti che quelle suggerivano. Tra esse ci sono per esempio quelle degli stessi Lagrange e Laplace che sempre nella lezione sopra citata aggiungevano “sarà soprattutto importante apprendere a diffidare delle intuizioni per quanto esse siano verosimili, e nulla è più adatto allo scopo dello studio della teoria della probabilità in cui i risultati rigorosi sono spesso contrari alle intuizioni”. Un altro importante esempio lo si trova nella corrispondenza tra Poincare e Walras. A quest’ultimo che voleva fondare una teoria meccanicistica dell’economia sui due assunti di massimo egoismo degli agenti, ogni agente tende cioè a massimizzare il proprio profitto, e di massima lucidità, ogni agente è in grado di calcolare qual è l’azione che ottiene il massimo profitto, Poincare rispondeva “La prima ipotesi può essere ammessa in prima approssimazione ma la seconda necessiterebbe forse di qualche riserva”.
I risultati delle scienze cognitive che più ci interessano in questa discussione sono quelli di
Kahneman (Premio Nobel per l’Economia nel 2002) e Tversky. Il tipo di indagine statistica da
loro condotta negli anni sessanta verte sulla valutazione individuale delle probabilità sia
attraverso il confronto in situazioni diverse sia nella percezione della sua grandezza in valore
assoluto. Essa valuta inoltre per confronto la forza della reazione individuale in casi di guadagno
e in caso di perdita. Quello che i loro studi mostrano chiaramente è anzitutto che la valutazione
intuitiva delle probabilità fa sempre un grossolano errore per eccesso nel caso dei valori piccoli
(molto più piccoli di un mezzo) e per difetto nel caso di quelli grandi. Per intenderci una probabilità di vincita di uno su un milione viene considerata, ai fini del rischio di gioco, non dissimile da quella di uno su mille anche se ci sono tre ordini di grandezza che le separano. Essi
mostrano inoltre che la reazione emozionale alla perdita risulta, a parità di valori economici,
sempre molto più forte di quella al guadagno: in altri termini siamo portati a rischiare poco in
condizioni di guadagno e molto in condizioni di perdita. Mettendo insieme questi due fatti si
potrebbe prevedere il successo dei giochi del lotto anche senza leggere i giornali: la speranza di
vincere viene erroneamente sovrastimata e una volta iniziato a giocare con piccole somme, siccome il gioco è mediamente in forte perdita, la disponibilità a rischiare cresce progressivamente. Piu si gioca più si perde, più si perde più si rischia, e più si gioca...
Il gioco del lotto sarà forse pure onesto se tra gli addendi del conteggio si mette anche l’acquisto
dell’emozione legata al sogno della ricchezza. Riflettendo sul problema però converrebbe
astenersi dal fare esercizi di filosofia romantica e concentrarsi di più sul fatto che il fenomeno di
dipendenza e assuefazione è intrinsecamente legato ai giochi di quel genere. Converrebbe inoltre analizzare le conseguenze sociali che tutto ciò può comportare.
Facciamo ora una istantanea dei giochi del lotto e dell’opinione pubblica a riguardo. Giornali e tv
li pubblicizzano a ritmi martellanti con stelle comete e monete dorate. L’eldorado è alla portata
di tutti, la fortuna offre le stesse opportunità senza guardare il genere, la razza, l’estrazione
sociale ed economica, la fama o l’anonimato. Una vincita di 146 milioni di Euro al superenalotto
ha catapultato quel gioco nelle prime pagine dei quotidiani e nei telegiornali. Il nostro paese è
diventato la star delle lotterie internazionali. Certo si sa che lo stato è il vero vincitore ma dopo
tutto lo stato siamo noi (!?) e quella tassazione volontaria ripaga i contribuenti con appassionati
sogni d’oro. La constatazione sembra non fare una piega dal punto di vista individuale. Ma la
scala individuale è legata a doppio filo con quella sociale e politica. Ed è la questione sociale che ora ci preme analizzare attraverso la domanda centrale da fare non allo zio o al vicino di casa ma
a noi stessi: il lotto e le lotterie in genere sono un guadagno vero per i cittadini della Repubblica
Italiana? Se si è stati cosi generosi da includere il costo delle emozioni nel bilancio individuale
non si dovrebbe peccare di avarizia nelle valutazioni dei costi sociali.
Prima però può essere utile pensare a una domanda simile fatta lungo tutto il secolo scorso: il
fumo, col suo monopolio, è un guadagno per lo stato? Per anni si è ritenuto che lo fosse. I
fumatori? Contribuenti volontari dell’erario, si diceva, che subiscono il fascino di Bogart o della
Dietrich immersi nella nebbia della loro sigaretta e pagano l’ebbrezza degli effetti della nicotina.
Quella facile risposta però è già svanita insieme all’illusione di produrre guadagno da un
comportamento che crea dipendenza. Essa è stata schiacciata dai dati della seconda metà del
novecento sulle malattie indotte dal fumo, dai loro costi economici diretti e da quelli sociali a
lungo termine. Eppure constatiamo che il processo che dovrebbe portare all’eradicazione del
vizio del fumo è ancora lungo e tortuoso.
Che il bilancio economico del lotto sia veramente positivo per lo stato è dato quasi sempre per
scontato. A noi preme invece sottolineare che una simile questione dovrebbe essere dibattuta e
attentamente valutata. In periodi di crisi come il presente un enorme numero di persone gioca
molto più di quello che potrebbe ragionevolmente permettersi per l’acquisto di una “emozione”.
Si fanno debiti per giocare, si rovinano famiglie, si distruggono aziende, si rinuncia alla propria
azione razionale e costruttiva a favore di una inazione mistica e autodistruttiva. E non si tratta
solo di giocatori patologici (che comunque andrebbero tutelati dal portarsi alla rovina), ma della
gente della porta accanto, dell’impiegato statale o del pensionato che arrivano a giocarsi anche
più della metà del loro modesto reddito mensile. Per non parlare del danno di diseducazione che
il gioco d’azzardo perpetra e incoraggia protetto dal monopolio di stato: invece che rimboccarsi
le maniche di duro e onesto lavoro ci si affida a un gioco nella vana speranza di risollevare le
proprie sorti personali e nel caso la dea della fortuna non si faccia vedere si alimenta un commercio di maghi, stregoni, amuleti, rituali, teorie sui numeri ritardatari e altre bislaccherie
simili.
La questione dei numeri ritardatari di per sè merita alcune riflessioni che ci mostrano che
l’analogia del lotto coi lanci di monete va oltre quanto detto sopra. Due lanci successivi della
moneta sono infatti indipendenti tanto quanto le uscite del lotto di due settimane diverse o quanto
due lanci contemporanei di due monete identiche. La probabilità dell’uscita di croce (o testa) al
secondo lancio non dipende dal fatto che sia uscita la testa (o la croce) al primo lancio ma
dipende solo dalla struttura della moneta. Nel caso della moneta non truccata queste probabilità
valgono tutte un mezzo. E’ un mezzo anche la probabilità di osservare l’uscita della croce al
terzo lancio, al quarto, al centesimo, al millesimo, anche se per novecentonovantanove volte è
uscita la testa. Semmai un esperimento del genere suggerirebbe dei dubbi sul fatto che la moneta sia non truccata, ma questo non è il nostro problema dato che le apparecchiature del lotto sono strutturalmente ineccepibili.
Il concetto di indipendenza è l’anima della teoria delle probabilità. Senza di esso la disciplina si
ridurrebbe ad un computo di misure di superfici di diverse figure geometriche. La geometria
invece era già matura ed assiomatizzata ai tempi di Euclide mentre la probabilità ha dovuto
attendere il Novecento per esserlo. L’indipendenza dei lanci successivi dovrebbe bastare per
evitare di credere che un numero che ritarda abbia una probabilità più alta di uscire nelle giocate
future. Essa garantisce infatti che i lanci futuri non hanno memoria del passato. Di nuovo le
scienze cognitive hanno osservato che ad interferire con quella corretta argomentazione fino a
sopravanzarla nella valutazione individuale interviene anche questa volta una errata intuizione
probabilistica basata su una versione popolare della legge dei grandi numeri: in tanti lanci la
frequenza empirica di un evento tende alla sua probabilità teorica. Dall’osservazione di mille
teste nei lanci ripetuti di una moneta non truccata la legge precedentesembrerebbesuggerire che
nei lanci successivi la frequenza delle croci debba essere più grande. Ma cosi non è. Il significato
della legge dei grandi numeri infatti è molto preciso dal punto di vista matematico e non implica
quello che l’intuizione si aspetta. Implica invece, per esempio, che se lancio mille monete e
ripeto il lancio di mille monete un milione di volte la frequenza delle teste in ciascun lancio, mediata su quel milione di lanci sarà vicina al cinquanta per cento. In ciascun lancio delle mille
monete invece le probabilità di avere un risultatotipicofatto da un numero simile di teste e di
croci, quella di avere tutte teste o tutte croci sono identiche. Il calcolo che illustra quanto detto,
insieme alla dimostrazione della legge dei grandi numeri e delle sue conseguenze, è di natura
elementare. Purtroppo però esso appartiene, rare eccezioni a parte, alla cultura delle sole lauree
scientifiche dure (Matematica, Fisica, Ingegneria) dato che non si è pensato di estenderlo ad
altre (per esempio Economia, Sociologia, Filosofia) e i suggerimenti a tal proposito dei matematici e dei fisici sono sempre risultati infruttuosi.
Un’altra questione centrale è quella di natura sociologica: chi gioca al lotto? I dati sono
chiarissimi. Le persone meno abbienti giocano molto più di quelle benestanti e non solo in termini percentuali in relazione ai loro redditi ma in assoluto. Questo fatto è di nuovo ben spiegato dalle teorie cognitiviste: la tendenza a rischiare è molto più alta tra coloro che si percepiscono in difetto rispetto al livello sociale medio. I poveri rischiano di più, e più rischiano più perdono, più perdono più giocano. Ma non solo. C’è una fortissima ereditarietà nello sviluppare dipendenza per il gioco del lotto ed essa è dovuta molto più all’apprendimento che alla predisposizione di natura genetica. Tra le varie conseguenze del gioco del lotto il fatto che esso contribuisca a irrigidire la mobilità sociale è forse tra le peggiori.
Si dice che il successo del lotto è un dato di fatto. Ma ciò non è una buona ragione per adagiarsi
su di esso come se fosse ineluttabile. E’ vero che il bisogno arcano di sfidare la fortuna è molto
radicato. Ci sono tracce di lotterie nella Cina di millenni fa, lotterie lungo tutta la storia europea
ma usate nella maggior parte dei casi come rimedi una tantum per esigenze e circostanze
particolari. All’inizio del novecento le lotterie erano invece bandite sia dalle leggi americane che
europee. Questo perché esse avevano trovato terreno fertile ed avevano alimentato ambienti
malavitosi. Evidentemente un secolo di distanza ha ripulito la reputazione di quei giochi e
l’intervento dei governi con la creazione del monopolio delle lotterie ha terminato l’opera di
beatificazione. Oggi esse hanno una diffusione capillare, sono santificate dai grandi spazi
pubblicitari che si possono permettere e sono divenute ormai delle industrie senza un vero
prodotto né veri operai il cui unico risultato è traghettare denaro dalle fasce più fragili della
popolazione alle casse dello stato.
Constatiamo che il gusto del rischio e l’emozione derivante sembrano intrinseche alla natura
umana. Conveniamo che la legittima azione dell’individuo va lasciata libera e il desiderio di
poter disporre a piacimento delle proprie risorse sacralmente protetto come parte di quella
libertà. Uno stato responsabile tuttavia dovrebbe chiedersi se il pensionato è conscio di comprare
l’emozione di un sogno quando gioca al lotto. Scoprirebbe che coloro che lo sanno non giocano
affatto o al massimo acquistano un solo biglietto della lotteria di capodanno. Dovrebbe poi anche
chiedersi se quei sognatori sono informati sulle vicende personali di quei rarissimi vincitori negli
anni che seguono il fortunato evento tanto quanto lo sono dei due o tre giorni seguenti: costui,
scaraventato in un mondo di grandi mezzi economici senza avere la conoscenza sul come
gestirli, si ritrova quasi sempre al punto di partenza e molto più infelice di prima. Per arginare
l’abuso del gioco del lotto quello stato potrebbe intanto porre un limite alle giocate individuali e,
come si fa col fumo, dedicare parte dei proventi ad investimenti in pubblicità contro e non a
favore del gioco. Esso potrebbe poi rafforzare settori come l’istruzione e la ricerca, i soli che
possano, nel lungo periodo, tentare di invertire la tendenza alla diffusione patologica di tali
pratiche. Inoltre potrebbe investire in settori come le arti figurative, la letteratura, il cinema, il
teatro che in quanto a capacità di dare emozioni se la cavano piuttosto bene e offrirebbero
un’ottima alternativa al gioco. Questo autore crede fermamente che una pubblicità ben fatta del
patrimonio artistico italiano insieme a una buona educazione artistica nelle scuole, abbiano un
potenziale economico superiore a quello dei giochi del lotto e senza nessuno dei problemi ad essi associato.
E’ chiaro che un’azione di freno nei giochi del lotto non è facile per un governo. Le lotterie sono
una tentazione forte con la loro enorme liquidità a flusso continuo i cui costi sociali, nei rari casi
in cui vengano considerati, appaiono lontani e più evanescenti di quelli del fumo. L’azione
richiesta sarebbe un sacrificio che comporterebbe una decisa assunzione di responsabilità da
parte del governo ben oltre la propria legislatura, sport in cui i governi che abbiamo conosciuto
non hanno mai eccelso. Non prenderla in considerazione tuttavia ha un significato ben preciso:
significa che i nostri politici senza alcuna distinzione di colore (e persino qualche dotto nostrano)
pensano che le classi meno abbienti e meno informate possano permettersi di acquistare dallo
stato, e a caro prezzo sia economico che sociale, l’emozione del vano sogno della ricchezza.
Un commento a questo articolo di Guido Gentili ne Il Sole 24 Ore