L'alpino Matteo Miotto - foto di pubblico dominio
Testo di proprietà dell’autore Franco Miotto
SE NON DOVESSI TORNARE
Ci sono giorni in cui trasmettere ed elaborare espressioni di pensiero, equivale a cozzare contro un muro di gomma. La mente non partorisce che frasi fatte,imbevute di banalità , prive di calore , vuote e senza cuore. Già, il cuore. Quando lui si apre la penna scorre veloce, tutto diventa fluido, verace , cristallino. Non succede spesso , ma succede sempre quando il cuore e il pensiero portano a lui, Matteo.
Rispettando la quotidianità, sono qui, al cimitero in questo angolo dove tutto oramai è familiare, dove storia e ricordi si legano in un connubio di tristezza e serenità. Ovunque spazi, lo sguardo cattura cose viste innumerevoli volte.
Nomi, iscrizioni, epitaffi su fratelli di Matteo nati 100 anni prima, legati dallo stesso triste destino.
Sottotenente Giovannelli Enrico, morto nel Novembre del 1918 a guerra ormai finita.
Sottotenente Marcelli Anacleto, caduto nel Luglio 1916 vittima probabile della spedizione punitiva austriaca scatenata dagli imperiali nella primavera di quell’anno.
Ripercorrendo a ritroso il sentiero tracciato dalla sorte che qui ha portato Matteo, non posso non tornare a quel terribile primo Gennaio 2011.
Da poche ore, l’alto comando italiano, via telefono dall’Afghanistan, senza giri di parole, mi aveva informato dell’avvenuto decesso di Matteo. Quella mattina di inizio anno, ci imbarcarono in un piccolo aereo militare, destinazione: Roma aeroporto di Ciampino.
Quantunque mi sforzi di dare cronologia ai fatti di allora, forse, per la particolarità del momento e l’incalzare degli eventi, i ricordi mi tornano sbiaditi, confusi, una forma probabile di autodifesa del cervello, incapace allora di dare ordine alle cose.
Fummo ospitati in una foresteria dell’esercito, in attesa per l’indomani del rientro del ragazzo, o di quello che di lui restava. In quelle ore inquietanti, piene di niente , piombò su di noi la notizia del testamento, che Matteo avrebbe scritto e affidato a un suo coetaneo .
(DA APRIRE SE NON DOVESSI TORNARE).
Che, tra lo stretto personale ai familiari , chiedeva:
Vorrei il funerale nella Chiesa dei Cappuccini accompagnato dal coro degli Alpini e se possibile essere posto tra i caduti nel piccolo cimitero di guerra .
I giorni a seguire furono il peggio del peggio che un genitore possa vivere: lo sbarco dal C130 a Ciampino, la richiesta accolta di poterlo vedere un’ultima volta, i funerali di stato a Roma, il ritorno a Thiene.
Ora e’ qui , in questo spicchio di terra dove la sua caparbia determinazione lo ha portato. Da allora sono trascorsi 8 anni.
La vita può essere spietata ma va vissuta, non scende a compromessi ma nella sua durezza da forza coraggio e il gusto di apprezzare quello che ti è rimasto.
Ecco, ancora una volta ho scritto di lui, ho scritto di noi. Fare questo, trovo sia un atto dovuto, nella piena consapevolezza che il tempo può attenuare il dolore ma non scalfirà mai il ricordo di un figlio la cui eredità conservo gelosamente e mi sforzo di tramandare affinché la sua memoria rimanga viva.