Testo di proprietà dell’autore Federico Pavan Bernacchi.
PER UNA STELLA IN PIU'
Era il lontano 1992 quando uscii per l’ultima volta dalla carraia della caserma Salsa di Belluno, caserma storica all’epoca adibita a battaglione addestramento reclute alpine. In cuore mio, con molta amarezza, stavo realizzando che per me era finito il servizio di prima nomina in qualità di sottotenente, e che probabilmente non avrei più indossato l’uniforme dell’esercito. Solo il cappello alpino sarebbe stato il mio compagno fedele per le future adunate.
Gli anni corrono, il servizio è un ricordo lontano, quando improvvisamente dal distretto militare mi informano di avere accettato la mia domanda di richiamo per avanzamento di grado. Sono passati 17 anni, una enormità. Sono entusiasta ma al contempo preoccupato del lavoro che andrò a svolgere. In tanti mi dicono che l’ambiente è diverso, che la naja non esiste più, che ora ci sono i professionisti, molti dei quali del sud e che sono difficili da gestire e da comandare. Altri mi informano sulla scarsa formalità riscontrata nei reparti moderni, sul lassismo dilagante, sulla scarsità di mezzi e risorse. A tutto questo aggiungo il peso dei miei anni, i dubbi su cosa andrò a fare e sulla mia capacità ad affrontare un ambiente militare moderno. Il primo di settembre parto per la nuova avventura con destinazione Belluno, caserma Salsa, Brigata Julia, 7° reggimento alpini, 64 Cp.
La carraia è sempre quella, oddio la sto varcando di nuovo, la compagnia è situata nella palazzina dove una volta alloggiava la 79°, la mia vecchia compagnia. All’epoca il reggimento era il 16°, e la brigata Cadore. Ritornare nella stessa caserma e nella stessa palazzina ha un fascino incredibile. Vedo un’alpina, già l’esercito moderno, ai miei tempi non c’erano le donne. Gli alpini scattano in piedi al mio passaggio e sfoderano un saluto impeccabile in disprezzo di chi aveva pronosticato che la formalità era cosa di altri tempi. Ricambio i saluti e vado ad incontrare il mio comandante, il cap. Pietro Abate. L’impressione è di avere di fronte un Signor Comandante, quello che vorresti al comando se ti dovessi trovare in una missione all’estero. Da subito vengo coinvolto nelle attività addestrative, senza tenere conto che la mia è solo una presenza breve di 45 giorni. Fantastico, è quello che volevo. Trasferimenti appiedati, poligoni, esercitazioni a fuoco, pernottamenti in tenda, esercitazioni di pattuglia e di difesa a tempo indeterminato. Fisicamente impegnativo, ma per fortuna ho sempre cercato di allenare il mio fisico. I giorni passano, forse corrono, e presto mi accorgo di avere concluso anche questo primo periodo di richiamo. E’ vero, l’esercito è cambiato, la disponibilità economica è limitata, ci sono gli orari di servizio che devono essere rispettati perché i fondi per gli straordinari sono pochi, ma gli alpini sono gli alpini! Ora c’è gente motivata, che del servizio militare ne ha fatto un lavoro, ci sono le missioni all’estero, un credo irrinunciabile, ci sono comandanti straordinari.
E’ l’ultimo giorno, il comandante di compagnia mi saluta ufficialmente davanti ai plotoni schierati: non potevo chiedere di più. Lo stesso fanno il comandante di battaglione, Ten. Col. Mauro Dalbagno, il comandante di reggimento, Col. Fabio Majoli e l’aiutante maggiore, Ten. Col. Stefano Fragona. Anche a loro va il mio più grande apprezzamento e la massima stima. Esco ancora dalla carraia, questa volta è solo un arrivederci, e lascio gli alpini del 7° al loro incessante ed ottimo lavoro.
Ten. Federico Pavan Bernacchi