Colonna mozza, Monte Ortigara - foto in dominio pubblico
Testo di proprietà dell’autore Albino Albertini
I luoghi della memoria
Durante l'attesa dell' imponente sfilata di Bassano del Grappa, sono salito all'ossario del Monte Grappa per rendere onore e pregare per i resti qui custoditi di tanti giovani caduti per la libertà. Dall'alto vedevo queste migliaia e migliaia di penne nere avanzare verso la cima dell'ardito onore. Da questo emozionante spettacolo è scaturita in me la volontà di scrivere ciò che ho provato durante le mie tante escursioni nei luoghi della memoria: Lagorai, Falzarego, Pasubio, Monte Piana, Tre Cime, Monte Paterno, Adamello, Carso, ecc. Prima linea, poi seconda e terza linea. Fra tutti questi luoghi ho scelto quello che a me è sembrato il più tragico e drammaticamente più importante: l'Ortigara e i contrafforti intorno. Ho cercato di immaginare di vivere per alcuni giorni, sia d'estate sia d'inverno, come hanno vissuto e cosa hanno patito in trincea quei soldati sotto il fuoco continuo del nemico.
Un mattino d'estate, un caldo afoso, parcheggiata l'auto mi carico lo zaino di provviste. Inizia così la mia avventura, che ho ripetuto altre due volte ai primi dell'inverno. Sempre la stessa meta e lo stesso scopo: calpestare i luoghi della memoria e percepire in prima persona cosa si prova.
La posta in gioco qui è una sorta di prova attestata saldamente dalla storia, di fatti sconcertanti e drammatici. Parto e di lì a poco mi fermo alla chiesetta per una preghiera. Poi riprendo il cammino per Monte Campigoletti, Cima Caldiera, Cima Lozze, Cima delle Saette, Monte Palo e il Vallone dell'Agnella. Mi fermo osservando i ripidi canaloni che scendono in Valsugana. Mi disseto e mi nutro, mentre penso agli stretti sentieri e ai percorsi intagliati ai bordi dei precipizi che ho appena superato. Mi sembra di vedere avanzare le truppe simili ad una fila di insetti passionarie, nell'imponente presenza del nemico sulle montagne scure, rocce nude sono le cime perdute tra le nuvole. Vento afoso d'estate e freddo che tagliava le ossa d'inverno. Radici spuntavano dalle crepe. Ad esse appesi ai bordi delle scarpate si aggrappavano i soldati italiani per ripararsi dagli attacchi delle postazioni nemiche. Intere compagnie di Alpini sempre all'attacco, falciati dalle mitragliatrici nemiche che suonavano il loro inno di morte, appostati e ben protetti nelle postazioni tra le rocce. Stava per raggiungermi l'ombra della sera, l'Ortigara si stava per ricoprire di una lamina di rame, passo una notte che sembrava eterna in una baracca ben conservata, poco ho dormito ma molto ho pensato. Nei giorni seguenti salgo Cima 10, Cima 11, Cima 12, Portule poi le dorsali di Cima Campanella, Monte Lora. Il mio itinerario è finito. Mi fermo sul Monte Ortigara, mi guardo attorno e scaturisce in me l'immaginazione: mi sembra di udire l'urlo della battaglia, una fantasmagoria lacerante di scoppi, illuminata dal turbinio delle vampe mentre schiere di uomini in divisa, elmetti lucenti e armi in pugno, ripopolano come per incanto le trincee, i profondi camminamenti, i ricoveri, le innumerevoli caverne, le sinuosità del terreno, fin su per le nude sconvolte groppe, incontro alla morte. Mi chiedo perché tante vittime per questa gigantesca testuggine di rocce e sassi? Monte Ortigara. Dopo giorni di cammino, la sera sembra sempre un po' più lunga sul sentiero del ritorno a casa, con il rumore delle foglie che si accartocciavano ad ogni mio passo e le campane del paese che pulsavano nella valle, appena sotto le macchie dei faggi. Di qui sono passati migliaia di soldati e quanti non sono tornati. Ho conosciuto anni or sono un vecchio combattente che mi raccontava gli assalti alla baionetta, passando sui corpi dei compagni caduti, si spingevano gli uni contro gli altri al macello. Ricordi lontani anni luce ormai dal vivere dei nostri giorni, ma vivi nella mia memoria che s'intrecciano al profumo del sottobosco di questi luoghi.
Fine ottobre.
Ripercorro gli stessi itinerari,durante la notte è grandinato e con la brina del mattino m'incammino. Il sole sorgeva distante e freddo, dipingendo le vette con pennellate di color arancione e rosse. La luce, sparita all'improvviso così com'era apparsa, copre l'altipiano di grigiore e comincia a nevicare. Nessuna anima viva nei dintorni, un silenzio di tomba, cammino piano per non disturbare con il fruscio dei miei passi sulla neve le ombre dei soldati caduti. Mi volto più volte, mi sembra che migliaia di volti mi accompagnano. Sento un inconscio freddo che mi avvolge e mi attanaglia, assorto e ripensando a quel genocidio, ripercorro quei luoghi martoriati. Mi torna alla mente quello che ho letto sul Generale Cadorna che al comando di base pranzava servito con cosciotto d'agnello arrosto e si dissetava bevendo il vino delle terre rosse del Carso. Mentre i suoi soldati, inchiodati al terreno sotto il fuoco del nemico per giorni e notti, soffrendo la fame e la sete, dormivano all'aperto nelle trincee, sotto la pioggia, in mezzo al fango, nei loro stessi liquami o sui corpi in putrefazione dei propri compagni caduti. Il Generale, ordinando assalti e contrassalti per conquistare metri di terreno ("28.000 caduti costò l'Ortigara, di chi fu la colpa?"), scriveva alla figlia lamentandosi che non gli erano state cambiate le lenzuola perché il fumo delle cannonate non permetteva la stesura per asciugarle.
Riflessioni
Chi è stato ad arrestare l'avanzata dell'esercito italiano, mentre il forte esercito austro-ungarico era in Galizia a combattere contro i russi? Le truppe italiane erano partite ovunque all'offensiva del Tirolo e del Trentino occupando in pochi giorni la Forcella di Montozzo, il Passo del Tonale, il Caffaro, i paesi del Pasubio, il Monte Baffelan in Val Brenta, il Medio Isonzo in Friuli, il Passo Val inferno in Carnia, mentre i suoi confini erano difesi da vecchi soldati ed da studenti che morivano di infarto in alta quota, bastavano due divisioni per raggiungere Vienna in pochi giorni.
Albino Albertini