“B…n, che schenà de fredu!”
Testo di proprietà dell’autore Italo Semino
“B…n, che schenà de fredu!”
Racconto semiserio di Naja alpina.
Ricevetti la cartolina precetto nelle condizioni peggiori, appena risvegliato dal meritato riposo, dopo un turno di lavoro notturno alla Invex di Quattordio, mia madre, con molto tatto, esordì con questa sentenza lapidaria: ”È arrivata la cartolina!”.
Destinazione SMALP di Aosta, Corso Allievi Ufficiali di Complemento, luogo desiderato ma inatteso.
Desiderato perché alla visita di leva scelsi gli alpini come prima opzione, non ero particolarmente amante della montagna ma la storia di quei soldati con cappello e la penna nera aveva sempre suscitato in me una certa emozione. Riguardo poi alla domanda per l’ammissione ai corsi allievi ufficiali, non fu per particolare attitudine alla vita militare o ambizione, ma dalle miei parti, nel basso – Piemonte antico dominio della Repubblica di Genova, abbiamo sviluppato una qualche sensibilità alle “palanche”, e l’idea di prestare il servizio militare guadagnandomi il “soldo” non mi dispiaceva.
Destinazione inattesa perché si vociferava che per accedere ai corsi allievi ufficiali di complemento, occorresse essere raccomandati; potete anche non credermi, ma non lo fui.
Così mi ritrovai allievo ufficiale del 73° corso AUC, 2a compagnia, plotone trasmissioni e coloro che ebbero modo di frequentare la SMALP sanno che fu Naja vera.
La specialità trasmissioni venne da me scelta in quanto presentava, secondo il mio punto di vista, tre vantaggi: evitavo di “sbalzare”, ma soprattutto, durante il settimanale appuntamento al poligono, mi consentiva di starmene lontano dalle piazzole di tiro, posti decisamente rumorosi e, ancora meglio, di starmene distante da luoghi dove gli ufficiali erano sempre troppo nervosi.
E’ noto che i trasmettitori, al poligono di tiro, svolgevano il servizio di vedetta, effettuando lo sgombero dello stesso ed impedendo l’accesso agli estranei durante le esercitazioni.
Ad Aosta in particolare, al poligono del Buthier, le postazioni di vedetta erano tre: una sulla sinistra delle piazzole, in alto a mezza costa sotto un gruppo di case, la seconda dietro il terrapieno degli zappatori, defilata e protetta da una rupe e la terza all’ingresso del poligono, sulla destra in posizione elevata, poco distante da una costruzione adibita, da intraprendente popolazione locale (Genovesi anche loro?), a luogo di ristoro per i militari.
Era il gennaio del 1974, ero di vedetta in quest’ultima postazione con il mio amico G.B. (lui sì Genovese autentico) e chi conosce la dislocazione del Buthier ne conosce altresì il clima, il freddo pungente.
In tuta mimetica, elmetto, Garand in spalla, dopo aver effettuato il collegamento radio previsto, passeggiavamo avanti ed indietro per scaldarci, ed ogni volta che ci incontravamo, come una litania con la cadenza di un rosario, l’amico G.B. esclamava: “B…n, che schenà de fredu!”, “B…n, che schenà de fredu!”, “B…n, che schenà de fredu!”, amen! (traduzione educata per i non Liguri: “Cavolo, che schienata di freddo”).
Al quinto mistero doloroso, l’idea geniale: “Accendiamo il fuoco”.
Detto fatto: due rami secchi, un po’ di sterpaglia, l’accendino ed il fuoco si sviluppò subito vivace e scoppiettante, riscaldandoci il corpo e lo spirito.
Ma il destino, cinico e baro, fece si che il fuoco si propagasse all’erba circostante ormai inaridita e secca, le fiamme si allargarono a macchia d’olio; intervenimmo tempestivamente ma non riuscimmo a contenere il rogo in espansione.
Fortunatamente dalla linea delle piazzole qualcuno si accorse del fumo ed in breve mezza compagnia, armata di teli da tenda, BAL e quant’ altro, ci raggiunse ed in pochi minuti ebbe ragione dell’incendio.
L’amico G.B. ed io, sudati da strizzare ed ansanti per lo sforzo, cadaverici per lo spavento, ancor più terrorizzati in attesa della reazione del Capitano P., delle immancabili palate di sterco al nostro indirizzo, ormai condannati all’inevitabile punizione.
Incredibile! Non accadde nulla, calma piatta.
Dopo poche settimane, sempre al Buthier, ancora di vedetta, vidi alzarsi un filo di fumo dalla postazione dietro la rupe lungo il corso del torrente.
Ancora oggi, dopo 43 anni, la Valle d’Aosta, da Pont St. Martin al Ghiacciaio del Miage, è percorsa dall’eco di un urlo straziante: “SPEGNERE IL FUOCOOOOOOOOOOOO!!!!”.
Italo Semino