Testo di proprietà dell’autore Villi Lenzini
Il bilancio della missione in Bosnia dell'allora Colonnello Villi Lenzini, "Comandante dell'Italian Battle Group inquadrato nella divisione multinazionale sud est della Stabilization Force, impegnato nell'operazione "JOINT FORGE", in Bosnia-Herzegovina, in una lettera di commiato, scritta di getto durante il volo sull'aereo che lo riportava in patria e destinata a tutti i suoi collaboratori di ogni ordine e grado
Nel giorno in cui lascio la terra di Bosnia e tutto si riduce al piccolo spazio dell’oblò di un aereo, non posso evitare di riflettere sul come, il quando e il perché questa terra sia in modo così ricorrente diventata il centro di gravità e di equilibrio dell’Europa centro orientale. Una risposta semplice nel suo modello di memorizzazione l’ho trovata e fatta mia fra le pieghe dei discorsi da un lato sofisticati, di alto livello politico e dall’altro povero e derelitto dei campi profughi. La sintesi delle sintesi. La Bosnia una terra, in cui sussistono due stati; abitati da tre etnie appartenenti a quattro religioni, dove cinque livelli di potere dovrebbero far coesistere in pace sei milioni di persone. Quante combinazioni possibili? Quante situazioni diverse? E in mezzo a noi, noi soldati italiani con la determinatezza di chi la pace la vive nelle proprie case e la desidera anche per gli altri. Considerazioni e bilanci appaiono a volte inutili a volte ingiusti ma si devono pur fare per dare certezza alle proprie azioni e credibilità alle organizzazioni che qui lavorano prime fra tutte le Forze Armate, impegnate in un lavoro improbo, quasi insostenibile, per ridare a questa terra pace e democrazia. Alpini dell’8°, giovani volontari guidati da altrettanto giovani ufficiali inferiori ma sostenuti dall’esperienza di ufficiali superiori paterni, ricchi dell’esperienza sedimentata, ripetuta, insostituibile insomma. Lavoro duro quello dei peace keepers, sì, così si chiamano, un nome nuovo moderno per un soldato nuovo e moderno coniato per un mestiere antico, quello del soldato, ma una differenza c’è grande tra ieri e oggi, non solo nel mestiere.
Oggi affidato a giovani volontari specializzati, anche nella sostanza, perchè se un tempo si combatteva per far la guerra, oggi si combatte per fare la pace e non è poco. Tra i tanti materiali caricati sui mezzi da combattimento oggi qui c’è sempre un carico di viveri e vestiario in un inverno che per i profughi è sempre troppo lungo e freddo. E’ l’operazione S. Martino, inventata dagli alpini: ogni pattuglia fa come il Santo Soldato, offre il suo dono lungo la strada, la strada del dovere così pericolosamente percorsa.
Il mare scorre veloce, sotto l’oblò dell’aereo e la sua tranquilla discesa fa pensare ancora alla pace, la pace ricercata con la volontà decisa di chi come noi ha richiesto con fermezza ma a volte anche imposto la riconsegna di tutti gli strumenti di morte, fucili, pistole, esplosivi, bombe, cannoni, mitragliatrici, una quantità enorme distrutta utilizzando anche lo schiacciasassi del plotone Genio. Tutto serve per la pace: da un lato si costruisce una strada, dall’altro si schiacciano i fucili. La terra ricompare oltre l’Adriatico, la terra che da noi produce il grano in Bosnia nasconde le mine, milioni di mine. Il lavoro è quello dei migliori sminatori del mondo: gli italiani. Un tremolio, inizia la discesa verso l’aeroporto, siamo a casa, un applauso degli alpini, una liberazione dopo quattro mesi d’intensa attività operativa di continuo stress psicofisico, di famiglie lontane, di amori sognati e di voci amiche udite solo al telefono. L’abbraccio dei propri cari ci fa dimenticare tutto tranne una cosa, quanto sia brutta la guerra. Per questo ci chiamano i Peace keepers. Felici di poter dire a Sarajevo, a Pale, a Rogatica, a Gorazde c’ero anch’io.
Col. Villi Lenzini
Comandante dell’8 Alpini