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. I greci non hanno fatto arte per l'arte; la bellezza era sempre stata pensata per servire la vita. E i corpi volevano gli antichi belli e forti, in modo che potessero ricevere una mente equilibrata e forte. Eppure, per poter difendere la città.
C'è un mondo bellissimo! C'è una bella Grecia. Una Grecia che ha dato i natali a capolavori d'arte.
La cultura dei secoli è nascosta in ogni piccola o grande statua di questo luogo.
Una civiltà che ha viaggiato, volutamente o involontariamente, fino ai confini del mondo.
Molte di queste statue sono perse, ma le conosciamo dalle copie romane realizzate secoli dopo.
Fortunatamente, alcune sculture originali sono ancora nei musei della Grecia e di altri paesi.
Viaggia con corpo, occhio, anima, immaginazione ...
thebraintumorguy.
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10 momenti di Antica Grecia
Artesplorando
Published on May 21, 2017
10 opere d'arte per restituirvi sensazioni, immagini e suggestioni dall'Antica Grecia. Produzione Artesplorando.
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LETTURE DA ARTESPLORANDO BLOG:
➜ Il Doriforo di Policleto, la perfezione oltre la realtà http://www.artesplorando.it/2017/01/i...
➜ Il gruppo dei tirannicidi, una nuova sensibilità http://www.artesplorando.it/2016/11/2...
➜ Le sculture del tempio di Zeus a Olimpia http://www.artesplorando.it/2016/11/0...
➜ Le sculture del Partenone. Un inno al genio e alla libertà http://www.artesplorando.it/2016/09/2...
➜ L'architettura del Partenone, vita in ogni blocco http://www.artesplorando.it/2016/08/1...
➜ Il tempio di Aphaia a Egina http://www.artesplorando.it/2016/07/2...
➜ Il tesoro dei Sifni a Delfi, capolavoro dell'arte greca http://www.artesplorando.it/2016/06/2...
➜ La Kore di Nikandre, esempio di monumentale nobiltà http://www.artesplorando.it/2016/05/3...
➜ Olpe Chigi, la maestria degli artisti di Corinto http://www.artesplorando.it/2016/04/2...
➜ Dei e uomini ... nudi alla meta! http://www.artesplorando.it/2015/09/0...
➜ Il regno della bellezza #5: la pittura ellenica http://www.artesplorando.it/2012/02/0...
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➜ Il regno della bellezza #2: Lisippo http://www.artesplorando.it/2015/03/2...
➜ Il regno della bellezza #1: Prassitele http://www.artesplorando.it/2015/03/2...
➜ Il Partenone e la rivoluzione artistica greca http://www.artesplorando.it/2015/01/2...
➜ Il grande risveglio? questione di ginocchia! http://www.artesplorando.it/2015/01/2...
➜ Il ritratto Ellenistico http://www.artesplorando.it/2012/02/1...
➜ Il ritratto greco classico http://www.artesplorando.it/2012/02/0...
➜ Il ritratto greco arcaico e la creazione del ritratto fisionomico http://www.artesplorando.it/2012/02/0...
➜ La top 10 delle opere dell’Antica Grecia! http://www.artesplorando.it/2014/11/2...
durata 05:44 minutes
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I
l Doriforo di Policleto, che tradotto (doriforo) sta a significare “portatore di lancia”, è una statua realizzata dallo scultore greco Policleto, attivo tra il 460 e il 420 a.C. circa. Non si sa esattamente chi rappresenti, ma si pensa che sia l’idealizzazione dell’eroe Achille. E’ un’opera emblema, conosciuta in tutto il mondo e che in un certo senso incarna l’idea stessa di classicità. Come spesso capita con le statue greche antiche, anche di questa non abbiamo l’originale, ma un complesso numero di copie e frammenti, riescono a restituirci un’idea abbastanza fedele dell’originale.
L’artista qui non si concentrò sull’imitazione della realtà, ma preferì dedicarsi alle proporzioni e ai rapporti tra le varie parti di questo nudo maschile. Il concetto di canone o sistema proporzionale era già in uso prima dei Greci, basti pensare all’arte egizia, fissata in regole precise. Ma mentre in Egitto gli artisti stabilirono un rapporto proporzionale molto arbitrario, Policleto partì da un’osservazione molto complessa della figura nel suo insieme e nei rapporti delle sue varie parti con il tutto.
Un po’ di esempi per capirci meglio: lo scultore ha messo in relazione la misura del dito rispetto al metacarpo e al carpo, dell’avambraccio con il braccio e via di seguito. La figura dell’uomo è armonizzata in tutte le sue parti, sulla base dell’unità di misura data dalla testa. Il capo della scultura è esattamente un ottavo del corpo e questa regola non solo è accettata ancora oggi come aurea, ma per certi versi poggia su una base scientifica, verificabile.
Il mondo greco era molto interessato ad andare oltre la semplice osservazione della realtà, cercando di cogliere lo schema segreto, il disegno ideale che è nascosto sotto l’apparenza delle cose. Quindi l’artista non vuole riprodurre la realtà, ma il prototipo ideale a cui la realtà stessa sembra ispirarsi. Abbiamo di fronte a noi una specie di sovra-natura, lo specchio privo di imperfezioni della natura che conosciamo. Gli autori latini che descrissero l’opera non ne ammirarono solo la proporzione, ma anche la cosiddetta “ponderatio”, per cui il personaggio poggia tutto il peso del corpo su una sola gamba.
Questo spostamento del peso della statua provoca la “tetragonia”: si tratta di una relazione che lega fra loro le quattro parti della scultura in un rapporto uguale e inverso. Alla gamba destra che regge il peso del corpo corrisponde infatti la spalla sinistra che regge il peso della lancia; alla spalla destra che scende seguendo la flessione dell’anca, corrisponde la gamba sinistra piegata che accenna un passo. Questa simmetria inversa a X provoca un effetto straordinario di movimento in tutta la figura, realizzando un’armonica corrispondenza tra le parti che ancora oggi ci ispira stupore e meraviglia.
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Il gruppo dei tirannicidi, una nuova sensibilità
Q
uesto gruppo scultoreo rappresenta i due tirannicidi Armodio e Aristogitone, due aristocratici che attorno al 514 a.C. uccisero Ipparco, fratello del tiranno ateniese Ippia nell’ambito di una serie di giochi di potere. I due uomini sono qui rappresentati nell’atto dello scagliarsi contro Ipparco. Aristogitone dei due è quello barbuto, con il braccio sinistro in avanti e con la spada nella mano destra che è pronta a colpire. Armodio invece è imberbe e tiene la mano destra con la spada sollevata per infliggere il colpo mortale.
Il tema rappresentato in questo gruppo era stato in precedenza già raffigurato dallo scultore Antenor, ma la sua opera era stata portata in Persia da Serse. Delle sculture restano molte copie di età romana. Ma non è chiaro se si riferiscano all’opera di Kritios o di Nesiotes. In epoca ellenistica erano conosciuti entrambi i gruppi scultorei. Fra le repliche ci sono grandi affinità, con qualche piccola differenza. Si potrebbe anche pensare che Kritios e Nosiotes una volta rilevata la bottega di Antenor, si siano serviti di modelli rimasti, riproducendo fedelmente il suo lavoro.
Questo gruppo mostra una moderna sensibilità. Notate la tensione psicologica nei gesti, l’impetuosità trattenuta, pronta a scattare per compiere l’omicidio. I volti sono caratterizzati da una fisionomia compatta e idealizzata. Le immagini che vedete qui sono riferite alle copie romane conservate al Museo Archeologico di Napoli. La testa di Aristogitone è in gesso da un’altra copia conservata a Roma, all’interno del Musei dei Conservatori.
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Le metope del tempio
L
o scultore chiamato Maestro di Olimpia molto probabilmente all’epoca della costruzione del tempio di Zeus, nel V secolo a.C., doveva essere un artista noto e maturo data l’importanza dell’edificio. Si trattava infatti di decorare il tempio di Zeus a Olimpia, città della Grecia, sede dell’amministrazione e dello svolgimento dei celebri giochi “olimpici”, ma anche luogo di culto di grande importanza. Sono sculture dai morbidi nudi, dal ritmo compositivo serrato e dal forte pathos dei gesti, elementi che fanno pensare all’influsso del pittore di ceramiche Polignoto che tanta importanza ebbe nello sviluppo dell’arte greca antica.
Il ciclo scultoreo si compone di dodici metope, sei sul pronao e sei sull’opistodomo, rispettivamente lo spazio che stava davanti e dietro la cella del tempio. Infatti le metope esterne che circondavano il tempio lungo tutti i suoi lati erano lisce. Queste dodici metope raccontano le fatiche di Ercole, non come fosse una favola, ma con una serietà drammatica che mette in risalto il valore dell’eroe. Ercole è per lo più rappresentato nel momento della lotta che lo vede scontrarsi con i grandi nemici dell’umanità d’allora. Le sue sono battaglie portate avanti da in solitudine. Il messaggio che si vuole trasmettere è che l’eroe viene premiato con la vittoria e l’immortalità, confermata dalla silenziosa presenza delle dea Atena.
Le sculture proseguono nei due frontoni con altre storie mitologiche. Sul frontone orientale si racconta di Oinomaos, re di Pisa (non la nostra Pisa, ma l’omonima cittadina del Peloponneso in Grecia), avvertito da un oracolo che sarebbe morto per mano dello sposo della figlia Ippodamia, decise di sfidare i pretendenti a una corsa di carri. Riuscì a batterlo Pelope che secondo una versione della leggenda era sostenuto da Poseidone dio dei mari, secondo l’altra versione corruppe l’auriga del re, che sostituì delle parti del carro, provocando la caduta e la morte di Oinomaos.
Il frontone orientale
Nel frontone vediamo i preparativi per la gara, con al centro Zeus circondato da entrambi i lati da figure maschili e femminili, dai carri con i servi e dagli spettatori. I protagonisti sono tesi mentre aspettano il loro destino, e a questa tensione fanno eco le loro compagne e i personaggi minori. Le figure sono raccolte, isolate nella loro intimità. Nel frontone occidentale c’è rappresentata una Centauromachia. Il dio Apollo domina al centro della scena mentre ai suoi lati vediamo gruppi di centauri e lapiti in lotta tra loro. I lapiti erano un popolo antico che con la loro vittoria riuscirono a liberare la Tessaglia, regione della Grecia, dai centauri, mostri per meta uomini e per metà cavalli. Agli angoli estremi sono rappresentate figure femminili sdraiate.
La scena della Centauromachia con Apollo in piedi al centro
Il Maestro di Olimpia, come molti altri artisti dell’antichità, è una figura sfuggente di cui poco si sa. A parlare per lui restano queste sculture che ci mostrano un’attenta cura nella caratterizzazione dei volti dei personaggi. Siamo ancora lontani dalla ritrattistica fisionomica che si avrà dal IV secolo a.C., ma possiamo già distinguere le tipologie di volto tranquillo, brutto, demoniaco, ecc. imprimendo alle opere valori morali che stanno alla base dell’arte greca.
Il brutto contro il bello, il bestiale contro l’umano, l’indemoniato contro il tranquillo.
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Le sculture del Partenone in un fedele disegno di Jacques Carrey
A
bbiamo già ammirato il Partenone, nella sua bellezza architettonica (QUI) e nella rivoluzione artistica che generò (QUI). Oggi vedremo più da vicino le sue straordinarie sculture per avere poi un quadro completo.A ricevere l’incarico da Pericle, per sovrintendere i lavori del Partenone, fu Fidia, nel 448 a.C. La città di Atene si imbarcò con questo progetto in un’impresa molto costosa e laboriosa ed è molto probabile che la commissione formata per seguire tutta la faccenda, pretese un progetto di massima che includesse anche le sculture.
Una volta approvati i progetti, i lavori poterono partire a pieno ritmo.
Il Partenone fu un grande affare per tutte le botteghe artistiche di Atene, che ricevettero l’incarico di realizzare metope, fregi e sculture frontonali. Si perché chiaramente un solo uomo non si sarebbe potuto imbarcare in un’impresa del genere: serviva fare squadra. Molto probabilmente molte officine si trasferirono direttamente sull’Acropoli sotto la guida di Fidia, abile organizzatore e sicuramente persona di grande carisma e fascino. Fare lavorare nello stesso spirito, ottenendo una qualità alta e un’omogeneità espressiva da un numero così rilevante di artisti e artigiani, non fu una passeggiata.
E l’impresa diventa ancora più complessa se si pensa che Fidia chiamò di proposito nel gruppo anche artisti di rilievo con uno stile completamente diverso da lui. Il risultato fu che in tutte le botteghe lo stile superbo di Fidia si impose, lasciando il segno nell’arte ateniese, greca e con una visione più ampia, occidentale.
La decorazione scultorea e pittorica venne studiata per ravvivare ed esaltare la struttura architettonica del Partenone. La cromia era limitata al rosso, azzurro e oro su alcuni dettagli. Le sculture, in marmo delle cave del monte Pentelico, erano dipinte e arricchite da dettagli in bronzo forse dorato. Purtroppo le sculture del tempio, distribuite su novantadue metope (formelle), per una lunghezza di centosessanta metri, sono giunte fino a noi in pessime condizioni. I danni furono causati da una miriade di vicissitudini: il tempio divenne chiesa cristiana con strazianti adattamenti, poi i turchi ne fecero una polveriera, colpita dai veneziani ed esplosa.
Ma il colpo di grazia lo diede Lorg Elgin, ambasciatore della Gran Bretagna presso l’impero ottomano, che ottenuto un permesso dal governo nel 1801, asportò quanto poté di ciò che non era ancora stato danneggiato o saccheggiato e lo trasportò in patria al British Museum, dove è possibile ammirare molti dei frammenti del tempio. I disegni eseguiti dal pittore Carrey prima dell’esplosione del Partenone, avvenuta nel 1687, sono ad oggi un prezioso documento per capire l’originale integrità del tempio.
Ma vediamo ora nel dettaglio le decorazioni.
Un collage delle metope
All’incirca quadrate, erano quattordici sui lati corti, trentadue sui lunghi. Sul lato occidentale è rappresentata un’Amazzonomachia, lotta di amazzoni, simboleggiante la guerra contro i persiani. Del lato nord, l’unica metopa leggibile è la trentaduesima, ma il tema svolto si pensa che trattasse la guerra di Troia, con gli dei che assistevano alla lotta. Gli stessi danni li troviamo nel lato orientale che raffigurava una Gigantomachia. Si sono conservate meglio le metope del lato sud, probabilmente perché di più difficile accesso dato che da quella parte dell’Acropoli il pendio è più scosceso. Il tema dominante qui è una Lotta tra centauri e lapiti, un popolo mitico della Tessaglia noto per avere liberato quella regione dai mostruosi centauri, chiaro riferimento della lotta tra razionalità e bestialità. I contendenti sono in parte nudi, in parte coperti da mantelli e clamidi. Al contegno espressivo dei lapiti fa da contraltare l’intensa gamma d’emozioni dei centauri.
Un collage del fregio
Il lunghissimo fregio di centosessanta metri all’interno della cella, il più grande complesso di sculture dell’antichità, rappresenta la processione delle panatenee, la maggiore festa religiosa di Atene. Il lato occidentale del fregio ospita un corteo di cavalieri con un personaggio che li guida. Sul lato settentrionale ancora una cavalcata: i cavalieri sono preceduti da carri e seguiti da anziani, da portatori di offerte, da musici e da portatori di vittime sacrificali. Sul lato meridionale la tematica si ripete.
Su quello orientale le fanciulle offrono ad Athena il sacro peplo alla presenza degli eroi e degli dei. L’unica distinzione tra mortali e dei sta nel fatto che questi ultimi raggiungono seduti l’altezza dei mortali. Sono presenti in tutto il fregio trecentocinquantacinque figure, che riescono a vivere di vita propria, pur integrandosi nell’insieme. Con un rilievo bassissimo, solo cinque centimetri di aggetto, gli scultori riuscirono a risolvere tutti i dettagli. Come nel caso delle metope, Fidia ideò il progetto del fregio, intervenendo di persona dove necessario.
Collage sculture frontoni
Anche i frontoni sono in pessime condizioni. Quello orientale racchiudeva ai lati il Sole sul carro che sorgeva dal mare e Selene, personificazione della luna, che con la sua quadriga vi si tuffava, mentre al centro, perduta, era rappresentata la nascita di Athena. Rimane poco anche delle altre divinità che assistevano al prodigio. L’alternanza di moto e stasi, la tensione dei nudi, la ricchezza dei panneggi che svelano le forme sottostanti e il grande realismo, contribuiscono alla straordinaria novità di queste sculture. Più complessa e dinamica è la scena sul frontone occidentale.
È la lotta tra Athena e Poseidone per il possesso dell’Attica, con la partecipazione di divinità ed eroi. La scena è concitata, l’anatomia vibrante, i panneggi leggeri e i gesti eclatanti, tutte caratteri che riassumono la sensibilità rivoluzionaria del maestro del Partenone. Le figure dei due frontoni sono enormi e impegnarono decine di scultori, ma anche qui si avverte l’idea e la mano di Fidia, che molto probabilmente forniva i modelli da riprodurre e forse interveniva personalmente nel lavoro delle botteghe. Insomma vi lavorarono in tanti, ma è impossibile distinguere una differenza stilista tra metope, fregio e frontoni, segno questo che il maestro del Partenone fu solo uno: Fidia.
Copia di Copenaghen della testa di Athena Parthenos
Tutte queste sculture convergevano nel capolavoro assoluto di Fidia: l’Athena Parthenos, una statua d’oro e d’avorio simbolo del genio e della libertà degli ateniesi. La statua era alta dodici metri e furono impiegati per la sua costruzione circa mille chili d’oro, le parti nude erano in avorio, gli occhi di pietre, forse preziose. La dea indossava una lunga veste, recava sul petto una testa di Gorgone d’avorio, aveva il capo coperto da un elmo con al centro una sfinge e ai lati dei grifi.
Nella mano destra teneva una Nike, la dea della vittoria, coronata d’oro, mentre con la sinistra reggeva lo scudo rotondo, decorato all’esterno con una testa di Gorgone e da un’amazzonomachia. Dallo scudo si affacciava Erichtonios, eroe attico con le sembianze di serpente, accudito alla nascita da Athena. Una lancia poggiava sulla spalla sinistra mentre una gigantomachia ornava le suole dei sandali. Purtroppo per farci un’idea dobbiamo osservare le copie giunte fino a noi, spesso inconsistenti anche se fedeli. L’unica parte riprodotta fedelmente è la testa di cui la replica di Copenaghen ci mostra un’impetuosa giovinezza, uno sguardo perentorio e un’eleganza senza eguali.
Un inno al genio e alla libertà.
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P
ochi monumenti antichi hanno resistito al trascorrere del tempo con tutti i suoi sconvolgimenti come ha fatto il Partenone: questo magnifico edificio ne ha veramente passate di tutti i colori, dall’incuria, alle bombe, alle intemperie, ecc ecc. Celebrazione della potenza di Atene antica, ancora oggi si staglia imponente sopra l’ammasso grigiastro di edifici dell’odierna capitale greca. Già vi parlai delle sculture del Partenone, QUI, però oggi mi concentrerò sulla sua struttura. Chi fu l’artefice di tutto ciò? le fonti ci dicono che Fidia fu nominato da Pericle, politico al governo di Atene, soprintendente dei lavori. L’artista fu quindi il coordinatore di tutto il progetto.
Non fu da solo, ma a lui si affiancarono Iktinos che ebbe l’incarico di risolvere i problemi dati dall’esistenza di un edificio precedente e dovette soddisfare le richieste di Fidia per valorizzare l’enorme statua di Athena e quelle di Pericle; Kallikrates che già si era occupato della ricostruzione delle mura di Atene; e infine Karpion che in realtà fu il teorico del gruppo, occupandosi della realizzazione di un trattato sul Partenone.
La progettazione di questo splendido edificio fu lunga e laboriosa e durò ben due anni, per tutto il 449 e il 448 a.C., anche perché ogni dettaglio era discusso da cinque delegati che poi approvavano o rifiutavano ogni singolo aspetto.
Anche durante i lavori questo gruppo di rappresentanti del popolo controllò i tempi e le spese, non risparmiando critiche. L’intero edificio è in marmo pentelico, una roccia bianca a grana fine che può assumere tenui tonalità di giallo oro.Venne riutilizzata, ampliandola e modificandola, la piattaforma del precedente tempio che aveva già l’impostazione della cella centrale. Iktinos mantenne la divisione della cella in due settori, il vano principale a tre navate con con doppia fila di dieci colonne e il secondo vano a pianta quadrata con quattro colonne. Ma Iktinos dovette tener conto delle proporzioni monumentali della statua di Athena che Fidia aveva intenzione di realizzare e quindi, pur mantenendo la divisione in due vani della cella, cambiò la ripartizione degli spazi e dei volumi. Aumentò l’ampiezza della sala che doveva accogliere la statua cosicché il numero delle colonne sulla facciata passò da sei a otto.
Nella sala più piccola invece doveva essere custodito il tesoro della dea e qui Itkinos utilizzò per le colonne l’ordine ionico, a differenza di tutto il resto del tempio che era dorico, perché la loro forma più sottile e slanciata risolveva i problemi di spazio.
Pensate che tutta la struttura architettonica del tempio è regolata da precisi rapporti numerici. I greci andavano pazzi per le proporzioni calcolate. Il rapporto 9:4 vale per il lato maggiore e minore della base del tempio, per la larghezza e l’altezza, per l’interasse e la base delle colonne e infine per la lunghezza e la larghezza della cella dove era conservata la statua di Athena.
Ricostruzione del Partenone
I progettisti furono attenti a ogni dettaglio e lo si legge molto bene nel trattato che Iktinos scrisse sul Partenone. Il capitolo più interessante è quello dedicato alle correzioni ottiche. Di che cosa si tratta, vi chiederete, beh è quasi magia. Per dare l’impressione che la struttura del tempio fosse perfetta anche al nostro occhio che deforma le immagini furono apportate alcune variazioni, piccoli trucchi. Ad esempio la base delle colonne fu incurvata verso l’alto perché non apparisse concava in prospettiva; inoltre le colonne furono inclinate perché non sembrassero aprirsi verso l’esterno. Questo problema delle correzioni si presentò per tutti i templi greci a partire dal VI secolo a.C.
Evidenziazione delle correzioni ottiche in un tempio greco
Come conseguenza a queste piccole modifiche si notano nel Partenone delle varianti numeriche: le colonne sono inclinate di 7 cm verso l’interno, quelle angolari di 10 cm. Il risultato di tutti questi accorgimenti è che nessun blocco di marmo del Partenone ha una forma geometrica definita e che non esiste ripetizione. Le varianti dovevano essere pensate già nel progetto, ma nel corso dei lavori i vari gruppi di artigiani le reinterpretarono ed è per questo che si può veramente dire che il Partenone sembra vivere autonomamente in ogni blocco.
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Il tempio di Aphaia
Su un promontorio dell’isola di Egina, vicino ad Atene, si è ben conservato un tempio del 500 a.C., particolarmente interessante per le sculture presenti nei frontoni e il loro straordinario naturalismo. Il tempio in questione è dedicato ad Aphaia, una divinità locale che in seguito sarà assimilata ad Athena. L’edificio è piccolo, ma di grande impatto grazie alla studiata articolazione dei suoi volumi. Fu costruito in calcare locale e stuccato ance se alcune parti come le tegole della fila più bassa e le sculture dei frontoni, sono di marmo.
Le colonne sono molto snelle, sei sui lati minori e dodici su quelli maggiori. La cella a due piani, con accesso dalla parte orientale grazie a una rampa, è divisa in tre navate da due file di cinque colonne su doppio ordine.
Un’attenta policromia nelle modanature, nelle figure dei frontoni e negli acroteri (decorazioni poste al culmine del frontone nei templi) doveva contribuire a rendere vivace l’intero complesso architettonico. Ma la nostra attenzione va subito, al di là dell’aspetto architettonico del tempio, alle interessanti opere scultoree che decoravano i frontoni di Egina: queste sono tra le più significative del genere frontonale, per antichità e importanza artistica, veri capolavori della scultura greca arcaica a un passo dal nuovo stile severo che stava per nascere. Scavati nel 1811, i resti delle statue vennero portati a Monaco di Baviera e qui furono restaurati e ricomposti dallo scultore neoclassico Bertel Thorvaldsen.
Le figure del frontone occidentale, più arcaiche
Dovete sapere che la scultura frontonale per i greci era un genere a parte, con caratteristiche proprie: gli artisti che vi si dedicavano dovevano organizzare una composizione unica con più personaggi, visibili solo frontalmente e in grado di colmare organicamente lo spazio a triangolo del frontone.
Le figure dei frontoni del tempio di Aphaia, molto frammentarie, poste a dieci metri di altezza, sono in grandezza quasi naturale, ciascuna ricavata da un solo blocco di marmo. L’effetto cromatico doveva essere molto forte, sia per il contrasto tra il bianco del marmo delle statue e il fondo rosso e blu, sia perché il marmo era unito ad altri materiali che amplificavano l’effetto coloristico: bronzo per le armi, piombo forse dorato per i capelli, metalli preziosi per le decorazioni degli elmi e per gli ornamenti di Athena, maestosamente rappresentata al centro di entrambi i frontoni.
Nel frontone occidentale, in una composizione simmetrica, si affollano figure modellate con semplicità, estrema attenzione ai dettagli, ed esaltazione del nudo. Questo frontone è il più antico e in esso è raccontata la seconda guerra di Troia, descritta nell’Iliade. Atena domina la scena al centro, mentre ai lati si scatena la battaglia. La dea non partecipa in prima persona alla battaglia, ma assiste, invisibile ai combattenti. Gli altri protagonisti sono gli eroi dell’isola nella spedizione che fecero contro la città di Troia: ci sono anche Telamone e il figlio Aiace.
Le figure più naturali del frontone orientale
L’esame attento dei due frontoni consente di riconoscere la mano di due artisti. L’autore del frontone occidentale ha uno stile più arcaico in cui alla visione d’insieme prevale la cura per le singole figure. Maggiore compattezza si nota invece nel frontone orientale, il cui maestro senza dubbio si spinse più avanti dell’altro. Lo vediamo bene nella statua di Eracle inginocchiato nell’atto di scoccare una freccia che spicca per la sua espressività e per il vigore con cui compie il gesto. Il gruppo frontonale orientale raffigura la prima guerra troiana, con Telamone che combatte a fianco di Eracle e anche qui domina una simmetria composta dove le figure creano una scena omogenea.
Un piccolo tempio, ai più forse sconosciuto, ma che ci mostra come nell’arte greca la rivoluzione partì proprio dal naturalismo del corpo umano.
Oggi le sculture si trovano alla Gliptoteca di Monaco di Baviera.
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Ricostruzione del tesoro dei Sifni
Oggi vi porto con me alla scoperta di un prezioso repertorio di sculture arcaiche. Il gusto ionico trionfa nel tesoro dedicato dagli abitanti di Sifno, un’isola delle Cicladi, all’Apollo di Delfi. L’edificio, costruito a forma di tempio e destinato a custodire le offerte votive alla divinità, fu eretto nel 526-525 a.C. Le colonne che normalmente troveremo in facciata, sono qui sostituite da due cariatidi, figure femminili che indossano una leggera tunica e un ampio mantello di lana che ne avvolgeva il corpo. Cornici, sculture, fregi e frontoni costituiscono un bellissimo esempio di scultura decorativa ionica, caratterizzata da una drammatica animazione e dal grande dinamismo delle scene.
Uno dei più famosi archeologi del nostro tempo, Ranuccio Bianchi Bandinelli, ha tentato una lettura dei rilievi del frontone: secondo lo studioso il fregio è opera di due scultori diversi. Questo perché il rilievo dei lati est e nord risulta più plastico, più decorativo e più grafico dell’altro. Entrambi gli artisti poterono esprimersi con libertà entro i limiti posti da un progetto preciso. E’ certo che queste sculture vennero ammirate dagli artisti dell’epoca e delle successive generazioni.
Il fregio si sviluppa sopra l’architrave sui quattro lati dell’edificio. Sul lato ovest, il principale, in corrispondenza dell’ingresso, era rappresentato il Giudizio di Paride, a sud il Ratto delle Leucippidi da parte dei Dioscuri, a est il Concilio degli dei che, dall’Olimpo assistono alla guerra di Troia, e infine sul lato nord la lotta tra gli dei dell’Olimpo e i Giganti figli della terra. Un frontone decorava la parte posteriore dell’edificio con la rappresentazione della lotta per il possesso del tripode delfico, che vede come protagonisti Apollo che si oppone a Herakles, il quale tenta di portare via il tripode dirigendosi verso la biga.
Frontone e fregio orientale del Tesoro
L’intervento di Zeus, al centro del frontone, pone fine alla contesa. La scansione dello spazio, l’animazione, l’articolazione della narrazione e la complessità dei ritmi fanno di queste composizioni dei veri capolavori dell’arte greca antica. Il fondo delle scene, secondo una ricostruzione, doveva essere blu; le iscrizioni indicanti i personaggi, alcuni dettagli delle figure, gli ornamenti dei cavalli e degli opliti erano invece rossi.
Non dimentichiamoci infatti che queste opere che oggi vediamo nel totale candore del marmo, un tempo erano dipinte con svariati colori.
Ricostruzione dei colori originali del fregio
I materiali originali appartenenti alla decorazione e ritrovati nel sito archeologico di Delfi sono esposti oggi nel museo locale; una sua ricostruzione è invece collocata lungo la Via Sacra che conduce al santuario.
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La Kore di Nikandre
Oggi vi parlo di un’opera in particolare. Si tratta di una scultura in marmo che rappresenta una figura snella vestita da un peplo stretto da una cintura: è la famosa Kore di Nikandre della metà del VII secolo a.C. oggi conservata al Museo Nazionale di Atene.
La donna tiene le mani accostate ai fianchi, due bande di trecce le incorniciano il viso che purtroppo non è più riconoscibile; nelle mani doveva avere i doni per la dea Artemide. Molto probabilmente la sculture era dipinta con diversi colori e i doni che Nikandre aveva nelle mani erano di bronzo.
La statua fu rinvenuta sull’isola di Delos insieme ad altre sculture dedicate dai massi: cinque kouroi, un Apollo, una serie di nove leoni colossali, tutte opere in marmo di Naxos a grandi cristalli, a testimoniare l’esistenza in quell’isola di una scuola di scultura. L’opera è così importante perché rappresenta il più antico documento di scultura monumentale che ci si pervenuto e inoltre è un importante testimonianza dello stile dedalico. Questo stile è caratterizzato dall’impostazione frontale e solenne, dalle grandi dimensioni (la statua è alta 2 metri), e dalla struttura geometrica e monolitica.
In effetti la statua ci fa comprendere molto bene la forma del blocco di pietra in cui è stata scolpita, presenta una rigorosa simmetria, e ogni singola parte sembra seguire una forma geometrica. Un altro aspetto che la rende tanto straordinaria è l’abilità nella lavorazione e il tono orgoglioso dell’iscrizione scolpita. La Kore era stata infatti dedicata da Nikandre, in occasione del suo matrimonio con Phraxos, ad Artemide, come si legge nella lunga iscrizione sul lato della statua: “Mi dedicò alla dea che colpisce da lontano e gode delle frecce Nikandre, figlia di Deinodikes di Nasso, eccellente fra le altre donne, sorella di Deinomenes, moglie ora di Phraxos”. Le grandi dimensioni della statua fanno pensare di un’immagine della dea piuttosto che quella della dedicante. Il tono del testo fa pensare che Nikandre appartenesse all’aristocrazia locale. Uno splendido esempio quindi di monumentale nobiltà!
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Olpe protocorinzia Chigi, 640-630 a.C.
Roma, Museo Nazionale di Villa Giulia
Oggi vi voglio condurre attraverso l’arte greca antica, alla scoperta di un vero capolavoro.
L’olpe Chigi è un vaso che serviva ad attingere o versare liquidi, in particolare il vino.
Fu ritrovato in una tomba etrusca vicino a Veio: si tratta di un vaso venduto in Etruria o donato a qualche potente signore, quasi come campione, a dimostrazione dell’abilità degli artigiani di Corinto. In esso ritroviamo tutte le tecniche usate allora nella decorazione delle ceramiche: incisione, policromia e pittura su sfondo scuro.
Il vaso è aggraziato, forse un po’ troppo carico nella decorazione e mancano i collegamenti tra gli elementi della composizione. Nonostante ciò è una testimonianza molto interessante perché riassume tutte le iconografie usate a Corinto, distribuite tra quattro fregi figurati.
Il primo rappresenta due schiere di opliti che, al suono di un flautista, fanno dietrofront; i più lontani si affrettano al centro, i più vicini vibrano le aste. Nel modo in cui sono accuratamente descritte le armi, l’interno e l’esterno degli scudi dalle rappresentazioni terrificanti, emerge l’immagine della potenza di Corinto. Nel secondo fregio appaiono dei cani che inseguono vari animali.
Nel terzo il giudizio di Paride, una caccia cruenta a un leone, un carro e una schiera di cavalieri, una sfinge con due corpi araldici e un solo volto. Nel quarto fregio ancora scene di caccia: cani che inseguono lepri, cacciatori carichi di selvaggina che, nascosti oltre i cespugli, cercano di sorprendere gli animali.
L’artista che l’ha decorata ci resta anonimo, ma possiamo sicuramente dire che ci troviamo di fronte a un capolavoro di pittura policroma e chi l’ha fatto era un miniaturista di grande maestria: gli sono bastati infatti solo cinque centimetri di altezza per rappresentare il movimento degli uomini in battaglia. Una scena dal vero ricca di dettagli in cui trova posto anche la natura nei cespugli agitati dal vento in cui si nascondono gli uomini intenti nella caccia alla lepre.
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Triade divina, 670-650 a.C.
Continua il nostro viaggio nel nudo e lo fa percorrendo l’arte greca antica.Tappa fondamentale per tutta l’arte occidentale. La grande statuaria e pittura greca porrà al proprio centro il nudo. Scompaiono progressivamente gli idoletti femminili nudi, e si afferma una statuaria di medie e grandi dimensioni in cui il corpo maschile è sempre rappresentato nudo, mentre il femminile è abbigliato. Un esempio è la triade di divinità, molto probabilmenteApollo, Leto e Artemide risalenti al 670-650 a.C. conservate al museo cretese diHeraklion e già modello di questa nuova nudità: Apollo è nudo e le dee vestite e ornate da un copricapo cilindrico che diventerà tipico.
Di lì a poco arriveranno anche i kouroi e le korai, sculture in pietra e marmo di grandi dimensioni, spesso di un’altezza superiore a quella naturale che ci indica il loro scopo non tanto naturalistico, ma corrispondente ad un’iconografia diversa. Il modello di partenza proviene direttamente dall’antico Egitto, con cui la Grecia intrattiene rapporti costanti: caratteristiche sono l’assoluta frontalità, braccia abbassate, piede sinistro avanzato spinto poco oltre il destro. La capigliatura è a trecce che cadono sulle scapole, gli occhi sono grandi, la bocca marcata. Forte e rilevata è la linea dell’inguine da cui partono le gambe. I bicipiti sono in tensione in contrasto con gli avambracci. Non viene fatta distinzione tra raffigurazione umana e divina: le korai sono Hera, o Atena, o Artemide nella versione maschile l’identificazione è con Apollo modello maschile assoluto.
Kouros, 600 a.C.
La nudità maschile pubblica nel mondo greco è prevista e comunemente accettata, in relazione però al contesto: i barbari sono nudi perchè selvaggi o primitivi, nudi sono gli schiavi, simbolo di impotenza, di inferiorità. Il greco è nudo per le ragioni opposte.
La nudità è prevista nei bagni, nei gymnasia per gli esercizi ginnici, pratiche esclusivamente maschili. Ma il luogo per eccellenza in cui la nudità viene praticata di norma, sono le gare olimpiche a cui le donne sposate non potevano assistere nella maniera più assoluta. All’interno di questo sistema di valori l’immagine del nudo maschile diventa celebrazione di gioventù, di bellezza e di amore per la bellezza, di forza fisica, di invincibilità. Ed i kouroi sono esattamente espressione di questa concezione: ora sono Apollo, ora ad Apollo sono dedicati, ora sono un vincitore olimpico o un giovane nato libero. Incarnano quindi un progetto civile di vita.
Eufronio, cratere con la morte di Sarpedonte, 520 a.C.
Nella pittura ceramica invece come viene trattato il nudo? in questo campo l’ambito di utilizzo è il racconto di una storia, la sintesi di una scena: le figure nude assumono un’evidenza molto importante all’interno delle composizioni pittoriche delle ceramiche.
I massimi autori sono pittori come Amasis ed Exekias, Nikosthenes, Epiktetos,Euthymides ed Euphronios, autore di questo drammatico Sarpedonte morente in cui la tensione degli addominali e i rigonfiarsi dei muscoli di gambe e braccia denota un grado di studio del corpo umano fino ad allora inedito.
Da Kritios e Nesiotes, Tirannicidi, 477-476 a.C.
La perdita di una schematica formulazione del nudo maschile nella statuaria si manifesta adAtene negli anni successivi all’incursione persiana. Kritios e Nesiotes realizzano il gruppo bronzeo dei Tirannicidi Armodio e Aristogitone, gli uccisori di Ipparco nel 514 a.C. e che conosciamo grazie a copia marmorea successiva. Nata per una visione sia frontale che laterale, la coppia di nudi eroici si caratterizza per la divaricazione tesa delle gambe e per una resa anatomica attenta.
Kritios, Efebo, 480 a.C.
Kritios tratta con grande cura i particolari anatomici come si vede anche nell’Efebo ritrovato sall’Acropoli. La statua marmorea presenta un passaggio fluido dalla visione frontale a quella laterale: il capo piega a destra, e spalla e anca indicano l’avanzamento del corpo sempre verso destra. La muscolatura è trattata senza enfasi, con volumi dolci e sottigliezze fino ad allora assenti nella scultura.
Trono Ludovisi, 470 a.C.
Più o meno nello stesso periodo inizia ad essere utilizzato il gioco del panneggio bagnato, come si osserva nel Trono Ludovisi, proveniente da Locri. Articolato in tre pannelli, sul lato maggiore raffigura la nascita di Afrodite e sui due lati corti una flautista nuda di profilo e una sacerdotessa velata, anch’essa di profilo, in posizione simmetrica alla flautista. L’effetto di panneggio bagnato è sfruttato pienamente nel pannello centrale, ad accentuare i capezzoli e la morbidezza dei seni.
Zeus di Capo Artemision, 470 a.C.
Straordinario in questa evoluzione del nudo è lo Zeus rinvenuto nelle acque di Capo Artemision, che si presenta con il torso frontale e le gambe divaricate in una postura tesa, il capo volto a sinistra e appena piegato in avanti, ad accompagnare le tensione in avanti di tutto il corpo nell’atto del lancio.
Da Mirone, discobolo, II secolo d.C. da un originale del V secolo a.C.
Di Mirone invece è celebre la statua raffigurante un Discobolo, che come spesso capita, conosciamo solo attraverso copie romane in marmo. Si tratta di un atleta dal corpo raccolto e concentrato nel massimo della tensione prima che il disco venga lanciato. Compositivamente è uno studio ardito, basato sull’incrocio di più archi di cerchio e di ampie e tese linee sinuose.
Ageladas di Argo, Tideo a Anfiarao
Ma dal punto di vista della qualità anatomica dei dettagli poche statue sono alla pari dei nostri bellissimi bronzi scoperti nelle acque di Riace in Calabria, raffiguranti due eroi, molto probabilmente Tideo e Anfiarao, protagonisti del mito dei Sette a Tebe. Qui troviamo particolari anatomici strabilianti: la traccia delle vene sporgenti sulle braccia e sulle mani, la tensione dei tendini, e le muscolature enfatiche ma corrette. I volti sono curatissimi, dalla policromia delle labbra in rame, agli occhi incastonati, ai denti in argento. La resa accurata si affianca anche una precisa dimensione psicologica che caratterizza la ferocia di Tideo e la consapevolezza del destino fatale di Anfiarao.
Cratere a volute con la morte di Talos, 400 a.C.
Ormai il corpo nudo è concepito come un’unità organica, capace di comportarsi in modo articolato nello spazio e rapportarsi con altre figure per scopi narrativi. Lo vediamo in questo particolare di un cratere a volute rappresentante la morte di Talos. La scena rappresenta la morte del gigante bronzeo Talos ad opera degli Argonauti: il protagonista spicca sul gruppo affollato di figure rosse con attenti effetti volumetrici e un senso profondo del pathos.
Da Policleto, Doriforo,
copia romana da originale del V secolo a.C.
Policleto sarà l’artista che più concepirà la scultura come pratica espressiva autonoma e che ne svilupperà principi e forme di armonia e simmetria creando un vero e proprio canoneestetico. La sua opera che meglio condensa queste ricerche è il Doriforo: un guerriero nudo che avanza appoggiando il peso sulla gamba destra, avendo il braccio destro allungato verso il basso, la gamba sinistra arretrata con il ginocchio piegato e il piede appena appoggiato a terra, e il braccio sinistro piegato in avanti a reggere una lancia; la testa è leggermente avanzata e rivolta verso destra. La figura così ottenuta è caratterizzata da un perfetto equilibrio di spinte e tensioni controbilanciate.
Fidia e bottega, Dioniso, 438-432 a.C.
Attenzione! per chi di voi lo credesse, non mi sono dimenticato del grande Fidia in questo percorso nella maturità del nudo classico. I suoi straordinari nudi del Partenone sono perfettamente funzionali alle narrazioni e rispecchiano un grande interesse nel realizzare sculture che non rappresentino solamente la fissità dell’essere, ma ne colgano la vita, nel fluido mutamento della forma nello spazio.
Fidia e bottega, Divinità fluviale, 438-432 a.C.
Ed ecco che ci appare Dioniso, dal frontone orientale del Tempio di Atena, semisdraiato su di un panneggio, che punta il gomito sinistro nel gesto di voltarsi e vedere cosa succede alle sue spalle. Le gambe divaricate, flesse nel movimento, la tensione dei muscoli, la posa del tutto inedita, sono segni di un profondo rinnovamento in atto .
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Kore del peplo
A
ssieme alla scoperta dello spazio pittorico, la creazione del vero ritratto fisionomico è uno dei più grandi traguardi della civiltà greca. Ma prima di arrivare a questo risultato i greci conobbero sia il ritratto “intenzionale” che quello “tipologico” ovvero il ritratto greco arcaico.
La ritrattistica greca ci è nota principalmente attraverso le copie romane, spesso di qualità frettolosa e scadente, essendo in massima parte nata in bronzo, un materiale che venne sistematicamente riutilizzato durante la “fame” di metalli successiva al crollo dell’economia ellenistico-romana.
Il ritratto greco ebbe come punto di partenza l’ambito religioso, ma a differenza delle civiltà orientali, i greci non avevano grossi intermediari con le divinità (come i sovrani o i sommi sacerdoti), ma il loro era un rapporto diretto e umano.
Le prime statue raffiguranti uomini e donne furono di due tipologie: il kouros (maschile) e lakore (femminile) e servivano a rappresentare il dedicante delle offerte presso un santuario o il defunto presso la sua tomba. Esse però erano effigi del tutto impersonali, simboliche, come quelle sulle steli funerarie per tutto il periodo arcaico (fino al 480 a.C.). Non vi era cioè la rappresentazione di tratti distintivi, ma fondamentalmente i volti si assomigliavano un po’ tutti.
Nelle iscrizioni si assiste a un attenuarsi del rapporto magico tra immagine-persona raffigurata, facendo emergere il concetto di raffigurazione individuale come opera d’arte: dai nomi delle persone che rappresentano o dalle loro parole in prima persona, si passò ad aggiungere i nomi degli scultori (quindi a riconoscere che si trattava di artefatti), per poi arrivare alla dizione più distaccata di “statua di, immagine di, ricordo di, ecc.”.
Ma bisognerà aspettare la fine del periodo arcaico per trovare esempi di ritratto più realistico.
Per una guida introduttiva al genere del ritratto leggete QUI
Per scoprire la storia del ritrattismo segui l’etichetta #ritrattieritrattisti
C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000
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Alcune opere, divenute molto famose in tempi posteriori, nacquero nel periodo ellenistico.
Prova ne è il Laocoonte.
Quando il gruppo fu ritrovato nel 1506, gli artisti e gli amatori d’arte ne furono sconvolti.
Allo scavo, di grandezza stupefacente secondo le cronache dell’epoca, assistettero di persona, tra gli altri, lo scultore Michelangelo e l’architetto Giuliano da Sangallo inviato dal papa a valutare il ritrovamento, secondo la testimonianza di Francesco, giovane figlio di Giuliano, che, ormai anziano, ricorda l’episodio in una lettera del 1567.Secondo questa testimonianza fu proprio Giuliano da Sangallo ad identificare i frammenti ancora parzialmente sepolti con la scultura citata da Plinio. Plinio raccontava di aver visto una statua del Laocoonte nella casa dell’imperatore Tito, attribuendola a tre scultori provenienti da Rodi:Agesandro, Atanodoro e Polidoro.
Scrive Plinio:
Né poi è di molto la fama della maggior parte, opponendosi alla libertà di certuni fra le opere notevoli la quantità degli artisti, perché non uno riceve la gloria né diversi possono ugualmente essere citati, come nel Laoconte, che è nel palazzo dell’imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell’arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti Agesandro, Polidoro e Atanodoro di Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti.
In questo gruppo vi è raffigurata la drammatica scena descritta anche nell’Eneide: il sacerdote troiano Laocoonte ha ammonito i suoi compatrioti di non accogliere il cavallo di legno in cui si nascondono soldati greci; gli dei, che vedono ostacolati i propri progetti di distruggere Troia, mandano dal mare due giganteschi serpenti che stringono nelle loro spire il sacerdote e i suoi sventurati figli soffocandoli.
E’ il racconto di una delle crudeltà insensate perpetrate dagli dei contro poveri mortali, tanto frequenti nella mitologia greca e latina. Ci piacerebbe sapere che effetto facesse la storia all’artista greco che concepì questo gruppo impressionante.
Voleva forse farci sentire l’orrore della scena?
O intendeva mostrarci sopratutto la propria capacità di raffigurare una lotta straordinaria e terrificante tra uomo e bestia?
Una cosa è certa, il modo con cui i muscoli del tronco e delle braccia rendono lo sforzo e la sofferenza della lotta disperata, l’espressione di strazio nel volto del sacerdote, le contorsioni impotenti dei due fanciulli e la maniera nella quale tutto questo tumulto e questo movimento si cristallizzano in un gruppo statico hanno sempre riscosso l’universale ammirazione.
Ma ci viene da pensare che si trattasse di un’arte rivolta ad un pubblico che amava l’orribile spettacolo delle lotte tra gladiatori. Il fatto è che probabilmente nel periodo ellenistico l’arte aveva perduto ormai il suo antico vincolo con la magia e la religione.
Gli artisti si interessavano della tecnica in quanto tale, e il problema di rappresentare un tema così drammatico con tutto il suo movimento e la sua espressività e tensione era proprio una difficoltà atta a saggiare le capacità dell’artista.
Se il destino del Laocoonte fosse giusto o meno, lo scultore non se lo domandava neanche.
C.C.
Fonti: La storia dell’arte, E.H. Gombrich, Phaidon, 2008
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Particolare dell’altare
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Vi parlo oggi di una svolta molto importante per tutta l’arte occidentale. L’arte greca subì un grande mutamento nel periodo ellenistico di cui troviamo tracce nelle opere più famose dell’epoca. Una di queste è un altare della città di Pergamo, eretto intorno al 160 a. C. e oggi ricostruito nei Musei di Berlino con quanto rimane delle sculture originali.
L’altare fu realizzato in marmo asiatico su un’area di 36,44 × 34,20 metri; su cinque gradini si eleva uno zoccolo potente dove, fra un’alta base sagomata e un cornicione fortemente sporgente sta la fascia scolpita maggiore con scene della gigantomachia, realizzata ad alto rilievo. Lo zoccolo forma due spalle che racchiudono una scalinata di 20 m la quale conduce a un cortile pavimentato. Sopra lo zoccolo e davanti alla scalinata c’è un colonnato ionico con un muro di fondo ornato da un secondo fregio minore continuo in cui sono raffigurate le scene della vita di Telefo, l’eroe fondatore di Pergamo.
Nel fregio maggiore si sviluppa un complesso racconto cosmico-mitologico. Esso inizia nel lato occidentale con le divinità del mare e della terra, continua nel lato settentrionale con gli dei della notte e nel lato meridionale con gli dei del giorno e della luce per concludersi infine nel lato orientale con le divinità dell’Olimpo. Sullo sfondo liscio le figure divine si stagliano in altorilievo, raggiungendo effetti a tutto tondo, in un movimento ricco di scatti e senza un ritmo regolare. Il contrasto tra ombra e luce è forte, ottenuto anche con l’uso del trapano che crea effetti di notevole drammaticità. La battaglia infuria terribile e violenta, i goffi titani vengono sopraffatti dagli dei trionfanti, e il loro sguardo esprime tutto il tormento dell’agonia.
dettagli del fregio maggiore
La scena è movimentatissima e svolazzante di drappeggi e il suo limite forse sta in una certa dispersione dei particolari, nell’eclettismo e nell’eccessivo manierismo.
Il fregio minore, realizzato in seguito, racchiude le storie di Telefo, figlio di Herakles e mitico fondatore della città di Pergamo. Quest’opera rappresenta il primo esempio di una composizione narrativa continua nella scultura, derivata probabilmente dalla pittura, e costituisce il precedente più importante del racconto continuo che verrà utilizzato nell’arte romana. Il fregio si sviluppa in un seguirsi di episodi ambientati in modo preciso e accurato, ponendo le figure su diversi piani. Le immagini nella parte alta sono più piccole di quelle nella parte bassa e in questo modo l’autore raggiunse un bellissimo effetto prospettico.
La visione d’insieme dell’altare
La decorazione marmorea dell’altare fu rinvenuta frammentaria, murata in gran parte nelle fortificazioni bizantine realizzate nei pressi dell’altare. La ricomposizione del fregio della gigantomachia si deve a O. Puchstein e a R. Bohn che furono aiutati dagli scultori italianiFreres e Possenti. Essa fu resa possibile dal fatto che le lastre del fregio della gigantomachia erano numerate con cifre accoppiate, di cui una d’indice e l’altra di catena. Al di sotto del fregio sulla base erano iscritti i nomi dei giganti e quelli degli artisti; sulla cornice al di sopra del fregio i nomi degli dei. Anche questi elementi resero possibile la ricostruzione che nel complesso è ben riuscita.
L’altare di Pergamo è ricordato da Ampellio (c. 14) e forse è da riconoscerlo nel “Trono di Satana” dell’Apocalisse di S. Giovanni (2, 113).
L’arte ellenistica amava opere veementi e violente: voleva impressionare e credo riuscisse pienamente nel suo intento.
C.C.
Fonti: La storia dell’arte, E.H. Gombrich, Phaidon, 2008
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Il regno della bellezza #2: Lisippo
copia da Lisippo, testa di Alessandro Magno
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Come già abbiamo detto, gli artisti della generazione successiva a quella di Prassitele, a poco a poco si liberarono dalla costrizione che gli impediva di animare i tratti dei volti delle proprie opere. Impararono a cogliere i moti dell’anima del singolo, il carattere particolare di una fisionomia, e fecero ritratti nel senso moderno del termine. Al tempo di Alessandro Magno si cominciò a discutere di questa nuova arte del ritratto. Alessandro stesso si fece ritrarre dal suo scultore di corte Lisippo, l’artista più celebre del periodo, la cui fedeltà alla natura meraviglia i contemporanei. Il ritratto di Alessandro pare ci sia giunto solo in copia e ne possiamo dedurre quanto l’arte fosse mutata dai tempi dell’Auriga di Delfi o anche dai tempi di Prassitele, che pure precede Lisippo di una sola generazione.
Forse, se ci fosse dato di vedere un’istantanea di Alessandro, la troveremmo del tutto diversa. Potremmo forse dire che la statua di Lisippo assomiglia a un dio ben più che al vero conquistatore dell’Asia. Ma ci è anche lecito supporre che un uomo come Alessandro, spirito inquieto e geniale, benché alquanto corrotto dal successo, abbia potuto assomigliare a questo busto dalla fronte solcata e dall’espressione intensa.
capitello corinzio
La fondazione di un impero per opera di Alessandro fu l’avvenimento d’importanza capitale per l’arte greca che, da centro di interesse di alcune piccole città, divenne il linguaggio figurativo di quasi metà del mondo allora conosciuto. Generalmente ci si riferisce a quest’arte parlando di arte ellenistica, poiché questo fu il nome dato agli imperi fondati dai successori di Alessandro in Oriente. Perfino in architettura, le forme forti e sobrie dello stile dorico e la disinvolta grazia dello stile ionico non bastarono più: si preferì una nuova forma di colonna che prese il nome dalla ricca città mercantile di Corinto. Lo stile corinzio appunto aggiunse fogliame alle volute a spirale ioniche che decoravano il capitello e in generale infuse ornamenti più abbondanti e più ricchi su tutto l’edificio.
Questo sfarzo si adattava assai bene ai monumenti sontuosi costruiti su vasta scala nelle città orientali di nuova fondazione. Gli stili e le invenzioni dell’arte greca furono così adattati alle tradizioni e alle dimensioni consuete dell’arte degli imperi orientali.
C.C.
Fonti: La storia dell’arte, E.H. Gombrich, Phaidon, 2008
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Eretteo, Acropoli di Atene
Oggi vi porto con me a scoprire il momento preciso che influenzò tutta la storia dell’arte occidentale fino ad oggi.
Sono in effetti pochi anni se confrontati ai secoli d’arte che vennero dopo, ma rappresentarono un vero e proprio risveglio.
Il grande risveglio dell’arte alla libertà si svolse nei cento anni che vanno dal 520 al 420 a.C. inGrecia. In quel tempo Atene si trovò coinvolta in una terribile guerra contro Sparta che mise fine alla prosperità sua e della Grecia stessa. Verso la fine del V secolo gli artisti erano ormai pienamente consci del loro potere e della loro abilità, e lo era anche il pubblico. Infatti in questo periodo benché gli artisti fossero ancora considerati artigiani e venissero spregiati dagli snob, un numero crescente di persone prese ad interessarsi al loro lavoro per il valore intrinseco che costituiva e non solo per i suoi significati religiosi o politici. Si cominciò a discutere dei meriti delle varie “scuole” d’arte, dei diversi stili e delle diverse tecniche e tradizioni che distinguevano i maestri delle varie città. Il confronto tra le varie scuole stimolò gli artisti a imprese sempre maggiori, contribuendo alla varietà che si ammira dell’arte greca.
In architettura cominciarono ad essere adottati contemporaneamente vari stili. Non più solo il dorico del Partenone, ma anche lo ionico utilizzato ad esempio per l’Eretteo, sempre nell’Acropoli di Atene. Le colonne diventano esili steli e il capitello non è più un semplice cuscino disadorno, ma è riccamente decorato con volute laterali. L’impressione complessiva di questi nuovi edifici è di un’infinita e disinvolta grazia.
Le stesse caratteristiche che ritroviamo nelle statue e nei dipinti di questo periodo che comincia con la generazione successiva a Fidia. E il grande scultore di quel secolo di risveglio è senz’altro Prassitele. La sua opera più celebre rappresentava Venere, la giovaneAfrodite, che si preparava al bagno.
Prassitele, Ermete e Dioniso fanciullo
Ma l’opera è scomparsa, e una soltanto delle sculture originali di Prassitele ci è (forse) pervenuta. Una statua trovata ad Olimpia raffigurante Ermete intento a giocare con Dioniso fanciullo che tiene al collo. Nell’opera di Prassitele è scomparsa ogni traccia di rigidezza. Il dio sta davanti a noi in una posa di abbandono che non ne compromette la dignità.
Prassitele sa mostrare come i muscoli e le ossa si tendono e si muovono sotto la morbidezza della pelle, e sa rendere il corpo umano in tutta la sua grazia e bellezza. Dobbiamo a questo punto renderci conto che questa bellezza Prassitele e gli altri artisti greci la raggiunsero attraverso la conoscenza e lo studio dei modelli. Non esiste un corpo simmetrico, ben costruito e bello come una statua greca. Durante i secoli gli artisti greci si sono sforzati di infondere sempre maggior vita negli antichi schemi.
I vecchi modelli cominciavano a muoversi, a respirare al tocco dell’abile scultore, e ora ci stanno davanti agli occhi come veri e propri esseri umani, pur provenienti da un mondo diverso e migliore. L’arte raggiungeva all’epoca di Prassitele il giusto e delicato equilibrio tra l’ideale e l’individuale. Non stupisce quindi che molte delle più famose opere dell’arte classica, ammirate in tempi successivi come rappresentazioni di tipi umani perfetti, sono copie o varianti di statue di questo periodo, come l’Apollo del Belvedere (modello ideale di corpo maschile) o la Venere di Milo (modello perfetto di corpo femminile).
L’artista non riproduceva mai la forma del naso, le rughe della fronte o l’espressione particolare del modello. Forse per paura che le espressioni e i giochi dei lineamenti potessero rovinare la perfezione di un visto simmetrico e perfettamente equilibrato.Ma la strada della bellezza non si ferma qui. Mancava ancora qualcosa. Fatto strano è che gli artisti greci in questo periodo abbiano evitato di dare ai volti un’espressione particolare. Le loro opere non tradiscono mai un sentimento ben definito. Solo con gli artisti della generazione successiva a Prassitele avremo un ulteriore passo avanti nella rappresentazione dei moti dell’animo e delle caratteristiche fisionomiche, ma questa è un’ altra storia!
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Apollo di Belvedere Venere di Milo
Di tutte le opere greche originali che sono giunte fino a noi, forse le sculture del Partenoneriflettono al meglio la nuova libertà stilistica degli artisti greci.
Gli artisti che vi lavorarono avevano acquistato una disinvoltura e una capacità a risolvere i problemi connessi alla rappresentazione di una realtà viva, assolutamente straordinaria.
Non sappiamo quali scultori abbiano decorato il tempio, ma poiché la statua del sacello era diFidia, sembra essere molto probabile che sia stata la sua stessa bottega a fornire anche le altre sculture. Le immagini che vi propongo qui sono frammenti del lungo fregio che cingeva il sacello sotto la volta, raffigurante la solenne processione annuale in onore della dea.
Durante quelle feste avevano sempre luogo giochi e manifestazioni sportive, una delle quali consisteva in una pericolosa prova di destrezza: guidare il carro, saltandone fuori e dentro con i quattro cavalli lanciati al galoppo. E in questi frammenti con i cavalli ed i cavalieri scaturisce sempre un genuino godimento di ciò che è rimasto. Teste e zampe ci danno un’idea della maestria dell’artista nel mettere in risalto la struttura delle ossa e dei muscoli senza che l’insieme appaia rigido e freddo.
Altrettanto vale per le figure umane. Dai frammenti rimasti possiamo immaginare con quale libertà si muovessero e con quale evidenza spiccassero i muscoli dei corpi.
Lo scorcio non rappresenta più un grave problema.
Ma l’artista non è esclusivamente assorbito da tutte queste nuove scoperte: per quanto potesse compiacersi della conquista dello spazio e del movimento, non abbiamo l’impressione che fosse soltanto ansioso di ostentare la sua perizia. Benché vivaci e animati, questi gruppi s’inquadrano bene nella composizione del solenne corteo che si snoda lungo le pareti dell’edificio.
L’autore ha conservato qualcosa della sapienza compositiva che l’arte greca aveva ereditato dagli egizi e dallo studio dei modelli geometrici anteriore al “grande risveglio”. E’ questa sicurezza di tocco che rende il fregio del Partenone così armonioso e “a posto” in ogni particolare!
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Polimede di Argo, i fratelli Cleobi e Bitone
Molto diverse (rispetto a Egitto e Mesopotamia) erano le condizioni di vita nei più dolci climi del mare che circondava questi imperi, sulle molte isole, grandi e piccole, del Mediterraneo orientale e sulle coste frastagliate delle penisole della Grecia e dell’Asia Minore. Non c’era tra i greci un despota divino che potesse o volesse costringere un intero popolo a farsi schiavo di lui! Le tribù greche si erano sistemate in numerose cittadine e porticcioli. Fra le piccole comunità esistevano molte rivalità, ma nessuna riuscì a prevalere sulle altre.
Di queste città-Stato della Grecia, Atene nell’Attica divenne di gran lunga la più famosa e la più importante nella storia dell’arte. Fu in essa che si svolse la più grande e sbalorditiva rivoluzione di tutta la storia dell’arte. In precedenza gli artisti degli antichi imperi orientali si erano sforzati di raggiungere un particolare genere di perfezione, tentando di emulare l’arte dei loro progenitori nel modo più fedele possibile e osservandone scrupolosamente i canoni consacrati. Cominciando a scolpire sculture in pietra, gli artisti greci invece presero le mosse da quello che per gli egizi e gli assiri era stato un punto di arrivo.
L’opera che qui vedete dimostra che studiarono e imitarono i modelli egizi e che appresero da questi a costruire la figura di un uomo in piedi, a distribuire le varie parti del corpo e i muscoli che le connettono.
Ma mostra anche un’altra cosa molto importante: l’autore di queste statue non si accontentava di imitare e seguire le formule del passato, e cominciò a fare prove per conto proprio.
Era evidentemente interessato a scoprire quale fosse il vero aspetto delle ginocchia. Forse non ci riusci del tutto, forse queste ginocchia sono anche meno convincenti di quelle delle statue egizie, ma ciò che conta è la sua decisione di guardare con i propri occhi, anziché seguire gli antichi precetti!
I greci iniziarono a servirsi dei propri occhi. Una volta iniziata una simile rivoluzione, non fu più possibile fermarla. Nei loro studi gli scultori escogitarono nuove tecniche per rappresentare la figura umana, e ogni innovazione veniva appassionatamente adottata da altri che la arricchivano delle proprie scoperte. Uno trovava il modo per incidere il legno, un altro si accorgeva come una statua può acquistare maggior vita se i piedi non poggiano troppo solidamente sulla base. Un altro trovava che avrebbe potuto animare l’espressione a un volto piegando all’insù gli angoli della bocca, cosicché sembrasse sorridere. Certo il metodo egizio era molto più sicuro, e non di rado gli esperimenti degli artisti greci fallirono. Ma non si lasciarono spaventare da queste difficoltà.
Si erano messi su una strada che non permetteva di tornare indietro.
Continua l’esplorazione …
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C.C.
Fonti: La storia dell’arte, E.H. Gombrich, Phaidon, 2008
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Ritratto di Alessandro Magno, Lisippo
S
e avete seguito il percorso del ritratto dal principio, questo post sarà la continuazione ideale, conducendovi alla scoperta del ritratto Ellenistico. Ellenismo è un termine moderno, utilizzato per indicare quel periodo della storia del Mondo Antico che segue le imprese di Alessandro e arriva fino alla nascita dell’Impero Romano con la morte di Cleopatra e con l’annessione dell’ultimo regno ellenistico, il Regno tolemaico d’Egitto nel 31 a.C.
La grande personalità di →Lisippo e le mutate condizioni sociali e culturali fecero sì che venissero superate le ultime titubanze verso il ritratto fisiognomico e si arrivasse a rappresentazioni fedeli dei tratti somatici e del contenuto spirituale degli individui.
È importante sottolineare il cambiamento che ci fu in Grecia nel IV secolo a. C. Il dominio delle polis venne meno a causa delle rivalità tra di esse e in questa fase prese potere Filippo II il macedone, fattosi notare nelle guerre persiane ed il figlio Alessandro III che gli succedette, poi definito Magno, per essere riuscito ad unificare il Mondo Greco ed averlo portato alla vittoria contro l’impero persiano.
La portata di quella che è stata chiamata la rivoluzione alessandrina fu estremamente rilevante per le implicazioni politiche e per i mutamenti culturali che generò. Tanto da determinare la fine dell’era classica e l’inizio dell’era cosiddetta ellenistica, periodo nel quale si affermò il culto quasi divinizzato del principe condottiero.
Nel creare il ritratto di Alessandro Magno, Lisippo cambiò l’irregolarità fisica che costringeva il condottiero, secondo le fonti, a tenere il capo sensibilmente inclinato su una spalla in un portamento verso l’alto che sembra indicare un certo distacco divino.
Quest’opera fu alla base del ritratto del sovrano “ispirato”, che ebbe una lunga influenza nei ritratti ufficiali ben dopo l’età ellenistica. A Lisippo o alla sua cerchia sono stati attribuiti con una certa sicurezza anche altre opere nelle quali è presente una vigorosa caratteristica psicologica connessa con i meriti della vita concreta dei personaggi ritratti.
Dopo Lisippo, tra i secoli II e I a.C., si ebbe uno progresso larghissimo del ritratto fisiognomico greco, che non spettò più solo ai sovrani e agli uomini particolarmente illustri, ma anche ai semplici privati. Nell’ellenismo infatti l’arte era già a disposizione anche del singolo e non più solo della comunità.
Si diffusero, oltre a ciò, il ritratto onorario e il ritratto funerario.
Per una guida introduttiva al genere del ritratto leggete →QUI
Per scoprire la storia del ritrattismo segui l’etichetta #ritrattieritrattisti
C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000
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Ritratto di Platone, copia romana del II secolo d.C.
da un originale greco della fine del IV secolo a.C., marmo, Museo del Louvre
I
n passato alcune culture erano contrarie all’utilizzo del ritratto, può suonare strano, ma è così.Nell’Antica Grecia esistevano dei vincoli di natura morale che impedivano la diffusione della rappresentazione ritrattistica, come il divieto di esporre qualsiasi immagine “privata” in luogo pubblico senza il consenso dei reggitori delle città.
Ancora nel pieno V secolo a.C. non esisteva un ritratto “privato” (escluso quello religioso), essendo forte il sentimento della polis che vedeva l’arte come una manifestazione essenzialmente pubblica, della collettività.
La polis o città-stato, fu un modello di struttura tipicamente e solamente greca che prevedeva l’attiva partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica.
Le città erano indipendenti tra esse e potevano dotarsi di tipologie di governo diverse: si passava così dalla democratica Atene all’oligarchica Sparta. La rivalità che scaturì tra le polis e la mancata coesione tra di esse fu causa della loro rovina.
Soltanto al decadere delle poleis nel secolo IV a. C. e con scultori come Silanione (autore del ritratto di Platone che qui vediamo), Demetrio di Alopece e soprattutto Lisippo, ritrattista diAlessandro Magno, si affermò il ritratto fisionomico destinato a fiorire per tutta l’età ellenistica e a essere elemento determinante del sorgere della successiva ritrattistica romana.
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Kore del peplo
A
ssieme alla scoperta dello spazio pittorico, la creazione del vero ritratto fisionomico è uno dei più grandi traguardi della civiltà greca. Ma prima di arrivare a questo risultato i greci conobbero sia il ritratto “intenzionale” che quello “tipologico” ovvero il ritratto greco arcaico.
La ritrattistica greca ci è nota principalmente attraverso le copie romane, spesso di qualità frettolosa e scadente, essendo in massima parte nata in bronzo, un materiale che venne sistematicamente riutilizzato durante la “fame” di metalli successiva al crollo dell’economia ellenistico-romana.
Il ritratto greco ebbe come punto di partenza l’ambito religioso, ma a differenza delle civiltà orientali, i greci non avevano grossi intermediari con le divinità (come i sovrani o i sommi sacerdoti), ma il loro era un rapporto diretto e umano.
Le prime statue raffiguranti uomini e donne furono di due tipologie: il kouros (maschile) e lakore (femminile) e servivano a rappresentare il dedicante delle offerte presso un santuario o il defunto presso la sua tomba. Esse però erano effigi del tutto impersonali, simboliche, come quelle sulle steli funerarie per tutto il periodo arcaico (fino al 480 a.C.). Non vi era cioè la rappresentazione di tratti distintivi, ma fondamentalmente i volti si assomigliavano un po’ tutti.
Nelle iscrizioni si assiste a un attenuarsi del rapporto magico tra immagine-persona raffigurata, facendo emergere il concetto di raffigurazione individuale come opera d’arte: dai nomi delle persone che rappresentano o dalle loro parole in prima persona, si passò ad aggiungere i nomi degli scultori (quindi a riconoscere che si trattava di artefatti), per poi arrivare alla dizione più distaccata di “statua di, immagine di, ricordo di, ecc.”.
Ma bisognerà aspettare la fine del periodo arcaico per trovare esempi di ritratto più realistico.
Per una guida introduttiva al genere del ritratto leggete QUI
Per scoprire la storia del ritrattismo segui l’etichetta #ritrattieritrattisti
C.C.
Fonti: Il ritratto, a cura di Stefano Zuffi, Electa, Milano, 2000
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S
ono cosciente di dedicare poco spazio all’arte classica in questo blog. Cercherò quindi di fare ammenda! Ecco un articolo del Guardian (scritto da Jonathan Jones) che vi propongo tradotto di seguito, il quale ci presenta una top-ten delle più belle e rappresentative opere dell’arte greca-antica!
Guerriero caduto, dal Tempio di Aphaia (c 480-470 a.C.). C’è un tragico pathos in questa possente scultura di eroe morente, proveniente da un tempio sull’isola greca di Egina. La tragedia è un concetto greco. Le tragedie di Sofocle, Euripide ed Eschilo vengono ancora eseguite. Questa statua mostra un uomo forte, eroico, caduto e al suo ultimo respiro.
Scultura di un guerriero caduto, dal tempio di Aphaia a Egina
L’altare di Pergamo (180-160 a.C.). L’arte classica greca è cambiata rapidamente, anche a causa delle guerre e delle trasformazioni che attraversarono la Grecia stessa. In quella che viene chiamata l’età ellenistica, l’arte è diventata molto più emotiva, sensuale e teatrale. Le sculture furiose sull’altare di Pergamo – che può essere visto nel museo di Berlino – sono piene di passione e dramma psicologico.
Altare di Pergamo. Atena contro il gigante Alcioneo
I bronzi di Riace (460-420 a.C.). Queste enormi statue trovate nel mare al largo del sud Italia nel 1972 sono molto importanti perché sopravvivono poche statue di bronzo, greche, originali. La maggior parte dei nudi classici nei musei sono stati scolpiti nel marmo in epoca romana, come riproduzioni degli originali in bronzo. Qui vediamo la vera maestosità dell’arte greca nella sua età classica, databile al V secolo a.C.
Uno dei due Bronzi di Riace: il Guerriero
Dee del frontone est del Partenone (c 438-432 a.C.). Sedute e reclinate in maniera molto aggraziata, queste dee scolpite nel marmo per il Partenone di Atene, sono tra le più belle e misteriose forme umane mai create dall’uomo. L’artista realizza con gran maestria i teli che ricoprono i loro corpi, come fossero veri. Indumenti analoghi, riccamente strutturati, li ritroveremo dipinti da Leonardo da Vinci, un millennio più tardi. Queste sono dee da sogno.
Tre dee dal frontone est del Partenone
Metope del Partenone (c 447-438 a.C.). La violenza è un tema ricorrente per gli antichi artisti greci. Cresciuti con il mito della guerra di Troia e sperimentando la realtà delle guerre con la Persia e tra le città greche stesse, gli artisti classici trovato nuovi modi per mostrare il conflitto. Questa lotta umana contro un centauro, scolpita per il Partenone di Atene, è sorprendentemente vera, per i suoi dettagli e per l’energia dinamica che sprigiona.
Metopa dal Partenone, battaglia tra Centauri e Lapiti
Statua di Zeus o Poseidone (c 470 a.C.). Questa maestosa statua di bronzo, che si trovava sul fondo del mare della Grecia, trasmette tutta la magia della mitologia greca. Il dio – probabilmente Zeus, signore dell’Olimpo – è colto nell’atto di scagliare un fulmine. Il suo corpo è carico di potere divino, e tuttavia, si tratta di un corpo umano, né colossale né etereo, ma lo specchio di noi stessi. Gli dei greci sono umani, troppo umani, e i loro litigi causano le guerre e il dolore del mondo.
Una scultura in bronzo del dio Zeus, o Poseidone
Il vaso Siren (480-470 a.C.). Nell’Odissea di Omero, uno dei poemi epici, fondatori della letteratura greca, Ulisse desidera ardentemente sentire la canzone seducente, ma pericolosa delle sirene che attirano i marinai verso la morte. Quindi tutto il suo equipaggio si tappa le orecchie, e Odisseo viene fissato ad un palo. Questa potente pittura vascolare cattura la tensione, Ulisse si divincola dalle corde che lo legano, tutto il suo corpo è agonizzante, la testa sollevata in ascolto, rapita dal canto delle sirene.
Il vaso Siren
L’auriga Mozia (c 350 a.C.). Questa è una delle statue greche più sorprendenti arrivate a noi, perchè molto rivela, sulla carica erotica del nudo greco. Questo giovane non è tecnicamente nudo, ma indossa un abito aderente che invece di nascondere il suo corpo, sottolinea ogni contorno. Le statue greche sono ritratti di bellezza umana, destinate ad essere eccitanti e nobili. Questo atleta si pone come un trionfo di sensualità.
L’auriga Mozia
Coppa di Exekias (c 540 a.C.). Dioniso, dio del vino e della follia, qui è sulla sua barca a vela, circondato da delfini. Parte del fascino dell’arte greca è che i suoi temi sono stati ripresi dagli artisti nel corso dei secoli, così come venivano continuamente riscoperti i miti di questa cultura passata. Quindi, questa immagine di Dioniso può essere confrontata con le successive rappresentazioni del dio del vino di Tiziano, Michelangelo, o Cy Twombly.
coppa di exekias
Maschera di Agamennone (1550-1500 a.C.). Quando l’archeologo Heinrich Schliemann scoprì questa maschera d’oro a Micene nel 1876, non aveva dubbi sul fatto che dovesse essere la maschera mortuaria di Agamennone, il re che guidò i greci nella guerra di Troia, solo per essere assassinato al suo ritorno a casa. Naturalmente non ci sono prove di ciò, ma è uno dei volti più interessanti e caratteristici dall’arte greca.
Agamennone, re di Micene. Maschera funeraria d’oro
E voi? quali sono le opere che vi ispirano di più?
Per leggere altre top 10 segui la rubrica #Artesplorando International
Fonti: www.theguardian.com
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SMUGLING ANTIQUITIES OUT OF GREECE
"ΤΟ ΚΥΚΛΩΜΑ" ΑΡΧΑΙΟΚΑΠΗΛΕΙΑ
doxografos
Published on Jan 14, 2016
ΤΟ ΑΠΟΚΑΛΥΠΤΙΚΟ ΝΤΟΚΙΜΑΝΤΕΡ ΤΟΥ ΑΝΔΡΕΑ ΑΠΟΣΤΟΛΙΔΗ ΓΙΑ ΤΗΝ ΑΡΧΑΙΟΚΑΠΗΛΕΙΑ.
duration 1:22:54 hours
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CRESCERE CON LA GUIDA DI KORE. UN PERCORSO NELL'ANIMA ATTRAVERSO L'ARTE GRECA
Insegnalo.it - Per insegnare e imparare online!
Published on Nov 28, 2013
WEBINAR di Insegnalo.it a cura di SILVIA GUALANDI
Solitamente l'arte visiva viene considerata in modo oggettivo, come qualcosa che produce begli oggetti per il nostro gusto personale; o, per le persone più colte, come qualcosa che parla di culture presenti o passate. Difficilmente ti chiedi come essa può rendere la tua vita più bella e ricca di significato.
Anche quando capita che un'opera d'arte ti colpisca o ti commuova non sempre sai spiegarti perché; e l'esperienza, che potrebbe rivelarsi preziosa per la conoscenza di te stesso, non raggiunge la consapevolezza, anche se può lasciare un'impronta inconscia.
Eppure dagli albori della sua storia l'essere umano produce immagini in cui, attraverso forme, colori e rapporti, trasferisce magicamente se stesso e la propria visione del mondo, dotandole così della capacità di evocare, in chi ne viene in contatto, gli stessi valori, qualità e sentimenti, trasferendoli così in una dimensione universale. In questo rapporto magico e intimo scopri di avere molto in comune con gli artisti, che attraverso la loro opera ti stimolano a esplorare la tua interiorità e a dare senso alle tue esperienze.
durata 1:42:52 minutes
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GREECE - ancient art wasn't black&white
amarildo topalis
Uploaded on Dec 9, 2009
Its a video about ancient art, every statue had colors.
by Amarildo Topalis
duration 07:30 minutes
murrheather13
Published on Nov 25, 2012
Second attempt to get my video to work for my art history professor.
duration 04:12 minutes
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La policromia di romana e greco architettura e scultura
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