milano - dall'anfiteatro a porta ticinese

17 marzo 2012

MILANO - DALL'ANFITEATRO A PORTA TICINESE

Lungo il tratto della cerchia dei Navigli, al n. 17 di Via E. De Amicis, nei pressi del Santuario di S. Maria della Vittoria, si può accedere al Parco Archeologico dell'Anfiteatro Romano, risalente al sec. I o II d.C.: del grande impianto a pianta ellittica, lungo m 155 e largo 125, in grado di ospitare oltre 35.000 spettatori, si conservano scarsi resti delle fondazioni dei muri radiali e perimetrali, circondati da una rilassante zona di verde pubblico. Le caratteristiche del monumento e i risultati delle indagini archeologiche condotte nel quartiere sono documentati nell'annesso Antiquarium Alda Levi.

Al fianco ovest dell'anfiteatro corre Via Conca del Naviglio, verde strada dall'irregolare dislivello - dato rarissimo in Milano - dove un tempo scorreva il canale di collegamento tra la cerchia interna dei Navigli e la Darsena. Si conserva un tratto della conca, realizzata nel 1439, che serviva alle imbarcazioni per superare il dislivello dell'acqua. Una lapide sforzesca (1497) proclama ancora il diritto di passaggio delle imbarcazioni sul naviglio a favore della Fabbrica del Duomo.

Dalla conca, un paio di vie conducono al Corso di Porta Ticinese: in origine era la spina di un borgo fortificato "extra moenia" eretto nel sec. XIV per volere di Azzone Visconti al fine di proteggere le opere idrauliche e i mulini della zona. Il suo termine sud corrisponde al Piazzale XXIV Maggio, storico luogo di mercato e di snodo fra città e campagna. Il sito corrisponde a un'importante porta nelle mura spagnole alla quale, fra 1801 e 1804, Luigi Cagnola sostituì l'attuale manufatto isolato in forma di atrio di tempio classico, di ordine ionico vitruviano. A fianco dell'imponente opera in granito di Baveno, sono i due caselli daziari.

Su Corso di Porta Ticinese si apre Piazza Sant'Eustorgio: pedonale e definita da semplici fronti di case, preannuncia - insieme alla colonna barocca culminante nella statua di S. Pietro Martire - la Basilica di S. Eustorgio.

Anticipata da Piazza S. Eustorgio, ecco la facciata neoromanica in laterizio (1862-65) della Basilica di Sant'Eustorgio, una delle chiese più antiche e illustri di Milano. Fondata dal vescovo Eustorgio (315-331 circa) o da un suo omonimo successore del sec. V, venne interamente ricostruita in forme romaniche nel 1190, dopo la distruzione del Barbarossa. All'esterno, delle antiche strutture rimangono il campanile (1297-1309), con bel contrasto cromatico tra il cotto e i conci di pietra, e le cappelle d'impianto quattrocentesco sul fianco destro. Un bellissimo colpo d'occhio sulla basilica e in particolar modo sulla struttura architettonica dell'abside e della Cappella Portinari lo si ha fiancheggiando la chiesa lungo Via S. Croce.

Alla sua storia è legata quella delle presunte reliquie dei Magi, custodite in un grande sarcofago tardo-romano, originariamente portate in città da S. Eustorgio, trasferite a Colonia nel 1164 al tempo del Barbarossa e parzialmente restituite nel 1903. L'interno è a tre navate, sorrette da massicci pilastri che reggono un sistema di archi e volte a crociera, e profonda abside. In alcune delle cappelle di destra spiccano monumenti sepolcrali e, nelle volte, affreschi tre-quattrocenteschi. Dietro l'abside sono visibili resti delle fondazioni della fabbrica paleocristiana.

Da un portone che si apre sulla piazza, alla sinistra della facciata, si inizia la visita al Museo di S. Eustorgio: il cimitero paleocristiano, la sala capitolare dell'ex convento domenicano, la sacrestia monumentale, la Cappella di San Paolo e la Cappella di S. Francesco. Infine, la Cappella Portinari, fra le prime e migliori realizzazioni rinascimentali in città (1462-66). L'architettura è impostata su due vani diseguali (il minore per l'altare) entrambi a pianta quadrata e coperti da cupola; l'impatto del disegno spaziale è temperato dalla ricchezza e dalla policromia dei decori. Nel tamburo spicca una teoria di angeli reggifestoni a stucco; la fascia superiore reca affreschi delle storie di S. Pietro Martire (1468). Al centro è l'arca marmorea di S. Pietro Martire (1336-39): dà sepoltura al domenicano Pietro da Verona, persecutore dei catari, ucciso nel 1252.

Un bellissimo colpo d'occhio sulla Basilica di S. Eustorgio lo si ha soffermandosi sulle panchine dell'estremità meridionale del Parco delle Basiliche. Soffermandosi invece sulle panchine dell'estremità settentrionale di questo parco si apprezza il gioco dei volumi del complesso della Basilica di S. Lorenzo Maggiore. Ecco il perché del nome di questo parco, nato in seguito alle demolizioni dei quartieri dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale, anticipate negli anni precedenti dal piccone che si era già esercitato a risanare il labirinto di case e vie dal confine irregolare, regno della malavita milanese, che molte piante cittadine rinunciavano persino a mappare. Era il quartiere popolare de La Vetra, o meglio, La Vedra, come dicevano i milanesi. Dal 1045 fino al 1840 la presenza del patibolo ne denunciava l'utilizzo per pubblici supplizi ed esecuzioni capitali.

Della Basilica di San Lorenzo Maggiore, sono di età paleocristiana gran parte delle fondamenta e l'intera torre di nord-est; della riedificazione romanica - avvenuta a causa di due rovinosi incendi e del crollo dell'originaria cupola - restano invece la parte inferiore delle murature e dei piloni. Dopo un nuovo crollo della cupola nel 1573, Carlo Borromeo promosse un intervento che modificò la pianta, smussando gli angoli dell'aula e sovrapponendo un ottagono al quadrato: venne così realizzata, ottagona e a spicchi, la cupola, ancora oggi la più grande di Milano. La facciata è stata modificata nel 1894 con la sovrapposizione di un pronao a tre arcate e gli ultimi interventi novecenteschi si sono conclusi col restauro del 1937-38. Comunque, queste varie trasformazioni non hanno alterato la sostanza dell'impianto originario, che molto probabilmente risale a un tempio legato alla vicina presenza sia del palazzo imperiale che del circo e dell'anfiteatro, da cui vennero presi materiali di recupero.

Solenne è l'interno della chiesa: un maestoso vano circolare, con quattro esedre coperte da calotte che si aprono sull'ampio deambulatorio retrostante e, al livello superiore, sui matronei. Per un atrio a destra, con resti di mosaici del sec. IV e un portale romano forse della fine del sec. I, si passa nella Cappella di Sant'Aquilino, d'impianto ottagonale, creata nel sec. IV come mausoleo imperiale. In due nicchie si trovano mosaici (Cristo fra gli Apostoli, Ratto di Elia) sempre del sec. IV; a destra dell'ingresso, sarcofago del sec. III; nella lunetta affrescata sopra l'ingresso la Pietà del Redentore. Una scaletta scende in un sotterraneo riscoperto nel 1911 dove sono visibili fondazioni costruite con materiale di recupero.

Piazza della Vetra è senz'altro il punto migliore di osservazione del gioco dei volumi del complesso della basilica: le grandi mura del perimetro, le cappelle intorno, le torri e la cupola.

Dinanzi alla Basilica di S. Lorenzo Maggiore, le sedici Colonne di San Lorenzo sono il più cospicuo lascito della Milano romana, provenienti da un tempio non ben identificato dei sec. II-III, qui trasportate e ricombinate probabilmente nel sec. IV per comporre uno scomparso quadriportico antistante la facciata della chiesa. Dei due archi si distingue quello originale, a tutto sesto, da quello più tardo, a sesto acuto. Lo spazio tra colonne e basilica, creato negli anni Trenta del '900 dopo la demolizione delle case che avevano riempito lo spazio del quadriportico, forma oggi una sorta di sagrato al cui centro si trova una statua, copia di quella conservata in S. Giovanni in Laterano a Roma, di Costantino imperatore, che nel 313 aveva legalizzato il culto cristiano.

Tra le colonne e il Carrobbio, si stacca sulla sinistra la Via Gian Giacomo Mora, denso incrocio di storia cittadina e letteraria. All'inizio della via, intitolata al barbiere che la superstizione popolare indicò nel 1630 come untore (diffusore della pesta), sull'area ove era stata demolita la di lui casa, vide eretta, a ricordo dell'evento, la "colonna infame" e posta una lapide. Pietro Verri prima, Alessandro Manzoni poi, col suo saggio storico Storia della colonna infame (1840) riaprirono il caso screditando per sempre la tortura come mezzo d'indagine. Oggi, uno stabile di recente costruzione ricorda questi fatti con un'epigrafe sotto il suo portico d'ingresso.

Le colonne e la basilica sono a pochi passi dagli arconi della Porta Ticinese medievale, nel punto in cui Corso di Porta Ticinese incontra la cerchia dei Navigli: la struttura risale al sec. XII, ma fu rifatta nel '300 e infine trasformata fra 1861 e 1865.