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Casa del Mantegna

a Mantova,

via Giovanni Acerbi 47,

sito web http://www.casadelmantegna.it/

Saranno presenti opere ad olio, tempere, tempere di caseina, studi e disegni, a penna, a pastelli, a fusaggine, tecniche miste, ecc. di vari periodi dell'artista.

Dopo la sala introduttiva, con una tavolozza dell'artista e una natura morta con i suoi pennelli, barattoli e vasi, comincerà il percorso.

Tavolozza grande di Federico Bellomi (anni '60)

Questa tavolozza, di grandi dimensioni, fu utilizzata per opere ad olio di grandi dimensioni, fra le quali Flamenco, esposto in questa mostra.

il mio tavolo da lavoro, tempera su tavola, 1965 cm 50,5x39,6

Questa piccola e luminosa natura morta a tempera riproduce una parte del tavolo di lavoro dell'artista nel 1965, nello studio di Piazza Broilo 3 in Verona.

A parte le ovvie considerazioni sulla luminosità dei colori a tempera, rispetto alla pittura ad olio, e sulla prassi di contornare gli oggetti in nero, in modo da far brillare maggiormente le macchie cromatiche, si noti il tipo di prospettiva. La visione è dall'alto ma ci sono più fuochi prospettici, più punti di fuga delle linee leggerissimamente distanziati uno dall'altro. Questa procedura conferisce alla visione un elemento non razionale, ma piuttosto emotivo: si ha come la sensazione di "volare" sopra un enorme superficie non piatta, ma curva in modo appena percettibile. Un po' come appare ai piloti quando vedono la terra da una grande altitudine. Qui la cosa è minima, e pertanto è un elemento che spesso non si coglie razionalmente, ma solo intuitivamente o emotivamente. Del resto quello è lo scopo di qualsiasi natura morta: raccontare delle storie con oggetti che non parlano.

Per la cronaca: questo "tavolo di lavoro" era in realtà un torchio per scultura molto largo e basso (non più altro di 40 cm dal pavimento) che, quando non veniva utilizzato per scolpire, serviva da tavolo porta oggetti. Anche restando seduti, lo si poteva guardare solo "dall'alto". E, come sempre in questo artista, nei dettagli della realtà si celano le scelte poetiche, le storie, le emozioni. Se proprio si volesse tradurre in parole il perché di questa scelta non si potrebbe fare a meno di pensare che la superficie presentata in questa natura morta è un "territorio", una "terra fertile" anzi: il suo territorio, la sua terra fertile: quella fatta di pigmenti, mastici, medium, pennelli, spatole, libri, barattoli, inchiostri, e insomma tutto quello che serve a un pittore per raccontare il suo mondo, ma vista con l'occhio di chi sale in alto per abbracciare il tutto con un'unico sguardo.

Buona passeggiata nella "terra fertile" di Federico Bellomi

Mantova, olio su tavola, 1972, cm 75x60, collezione privata

Il doveroso omaggio alla città che ospita questa mostra è ovvio. Meno ovvia la chiave di lettura di questo quadro.

Tralasciando l'evidente richiamo alle tecniche care agli impressionisti (particolarmente evidenti nel trattamento del cielo e, soprattutto, dell'acqua) è alla luce generale del quadro che è opportuno fare attenzione. Se lo si osserva con sufficiente lentezza apparirà poco a poco chiara la particolare luce dorata che caratterizza i paesaggi della pittura veneta e parte di quella lombarda, da Tiziano a Giorgione. Niente di particolarmente evidente, solo un accenno, una sfumatura; ma se si fa attenzione a quella fase della giornata che precede il tramonto nelle afose giornate estive non si può non notare questo pulviscolo dorato che rimane sospeso nell'aria e che avvolge ogni cosa, altera ogni colore, rende tutto leggermente irreale e forse magico. Analoghe considerazioni si possono fare sui successivi paesaggi di questa prima "stanza", tutti di area veneta o lombarda.

Senza titolo [Il Fiume Mincio], olio su tavola, cm 70x51

Tenuta Conte Giusti [Guastalla Nuova, VR], 1971,olio su tavola, cm 75x60

Centurara, olio su tavola, 1971, cm 80x60

Pioggia nella valle, olio su tavola [truciolare], 1971, cn 73x62

Tutte le tavole dipinte da Federico Bellomi erano preparate dallo stesso artista con vari strati di gesso di Bologna e colla animale. Il primo strato molto forte (poco gesso e molta colla) gli strati successivi con dosi decrescenti di colla e crescenti di gesso di Bologna. Per le tele preferiva il gesso di Marcellise, più elastico e più capace di sopportare i movimenti della tela.

Prima di cominciare la pittura sulla superficie bianca della preparazione dava qualche energico colpo di carta vetrata a grana grossa e poi ripassava, più delicatamente, con una carta vetrata a grana più fina.

L'esecuzione di ognuno di questi quadri poteva variare dalle 4/4 ore a tutta la giornata (8 ore circa). Rarissimi i ripensamenti posteriori e la realizzazione di paesaggi in più di una seduta. La prima fase del lavoro, una volta trovato il luogo adatto, era l'attenta osservazione del paesaggio per almeno una mezzora di assoluta concentrazione e immobilità. Seguiva poi il rituale di picchiettare innumerevoli puntini di vari colori sulla tavola con un piccolo pennello di setole dure e molto consumate. Si passava poi al disegno delle forme e al riempimento delle masse con campiture tonali dai toni molto smorzati (con grandi percentuali di grigi).

Dopo la pausa pranzo iniziava la fase finale con la ripresa delle forme, il tratteggio delle forme, l'uso dei colori timbrici, la ricerca dei dettagli e delle misteriose ombre causate dal controluce.

Ombre in controluce che si possono vedere benissimo nelle montagne sullo sfondo del successivo paesaggio Fattoria veronese, del 1980.

Fattoria veronese, olio su tavola, 1980, cm 60x45

A partire dal 1970 Federico Bellomi compie vari viaggi in europa (Olanda, Spagna, Germania, Francia, ecc.) spesso accompagnato dall'allievo pittore Bruno Pezzini, talvolta da altri (il pittore Francesco Menegazzi) oppure dalla famiglia.

I suo viaggi sono equamente divisi fra le visite ai grandi musei e l'attività paesaggistica en plein air. Soprattutto i viaggi in Olanda e in Spagna determinano una svolta nell'uso timbrico dei colori, nella ricerca della luce. Le procedure tecniche rimangono sostanzialmente le stesse ma la vibrazione cromatica acquista una nuova energia, il segno diviene maggiormente nervoso e scattante. Se si osserva sufficientemente a lungo ogni quadro (l'ideale sarebbe osservare ogni paesaggio per un tempo almeno pari a quello che è stato necessario per dipingerlo) può capitare di sentire l'odore del mare, della terra, della natura che in esso è catturata. Oggi nessuno può permettersi un tempo così lungo in una sede museale. Forse l'unico che può ancora fare qualcosa di simile è il collezionista privato che osserva a lungo il quadro che possiede o il fedele che torna periodicamente in qualche luogo sacro dove può osservare decine o centinaia di volte la stessa pala d'altare, la stessa parete, ecc. La fretta ci impedisce oramai di essere catturati dalle opere d'arte.

La costa del sol, olio su tavola, 1974, cm 60x50

Nel retro del quadro si trova questa annotazione autografa:

P. [a carboncino]

[a matita]: In questa spiaggetta avevo la compagnia di una signora francese che abita a Marrakech

La Senna a ConflansSt.Honorine, olio su tavola, 1975, cm 80x60

Nel retro del quadro si trova questa annotazione autografa:

[a matita]: Quadro eseguito in compagnia del mio allievo Francesco Menegazzi a fianco del museo della batelleria di Conflans St. Honorine. In questa occasione conobbi un rumeno che mi volle suo ospite e mi regalò un disco di canti della sua terra interpretati da sua figlia Huloana.

Rimorchiatori d'alto mare, olio su tavola 1979, cm 66x46

Fiori della Mancia, olio su tavola, 1971, cm 60x55

St. Vaast la Hougue con la bassa marea, olio su tavola, 1972, cm 77x61

[annotazione a matita sul retro]: “già citato nel saggio a pag. 22” e “Questo quadro l’ho dipinto in compagnia del mio allievo Bruno P.[ezzini] alle cinque del mattino mentre le acque si stavano ritirando con la bassa marea”

Paesaggio normanno, 1972, olio su tavola, cm75x59,3

[annotazione a matita sul retro]: qui ogni due minuti dovevo rientrare in macchina a causa della pioggia. Ero con l’allievo Bruno P.[ezzini]

Madridejos, olio su tavola, 1971, cm 80x60

Paesaggio spagnolo, olio su tavola, 1971, cm 80x60

Il castello del Volterraio, olio su tavola, 1973, cm 75x60

Senza titolo [il parco di Villa Fano in autunno]. olio su tavola, senza data[1981], cm 74,6 x 60.

Nello stesso giorno dell'autunno 1981 in cui Federico Bellomi dipinse questo quadro realizzo è completò anche il seguente, dallo stesso titolo e delle stesse dimensioni e tecnica. Oggi nella collezione privata Bonetto-Valentini. Si ringrazia l'allievo Roberto Zarattini per aver segnalato l'episodio.

Le vicende di Villa Fano e i rapporti di amicizia fra Federico Bellomi e i due eminenti fisici Ugo Fano (1912-2001) e il fratello Roberto Mario sono state più volte narrate. I Fano, emigrati negli Stati Uniti a seguito delle leggi razziali italiane, ritorneranno in Italia solo saltuariamente. Ugo Fano, che collaborò anche con Enrico Fermi, è considerato il "padre" dei raggi x.

Durante la seconda guerra mondiale, villa Fano a cui si riferiscono questi due paesaggi, ospitò un comando delle SS. Nonostante ciò, nella barchessa della villa, rimase nascosto, fino al termine del conflitto, un membro della famiglia Fano: il sig. Alberto Salvatore.

Senza Titolo [campagna Veronese], tempera e acrilici su cartone telato, senza data [1973], 73,5 x 53 cm

La casa rossa, olio su tavola, 1981, 90x70, collezione privata

Durante una vacanza nei lidi ferraresi, Federico Bellomi capitò in questa minuscola frazione di nome Porto Fuori. Quando vide la casa rossa di questo paesaggio rimase folgorato: si fermò immediatamente e preparò in fretta cavalletto e colori. Solo a lavoro finito, a fine giornata, uno dei rarissimi passanti informò che quello era il paese dove Francesco Fuschini era stato parroco e aveva scritto le sue pagine meravigliose, delle quali l'artista era un accanito lettore. Specie di quelle contenute nel libro: L'ultimo anarchico.

(cliccando sull'immagine si attiva un video illustrativo dell'opera FLAMENCO)

oppure cliccare sul seguente link:

https://www.youtube.com/watch?v=z-H-_x7QcBI

Flamenco, olio su tela, 1978, cm 171x112

La realizzazione di questa grande tela durò circa tre anni: un tempo insolitamente lungo per questo artista. Ogni singolo dettaglio della tela fu oggetto di studi e riflessioni. Questo quadro voleva essere una summa di quanto maturato nei viaggi in Spagna. Impossibile non notare che esso è al tempo stesso una ennesima "trasmigrazione dei miei personaggi".In esso si riconoscono:

- il figlio Paolo alla chitarra, seduto su uno dei cantos di Avila;

- il nipote Tonino Dal Bon nel cavaliere sulla sinistra;

- Marta Del Prete nella ballerina che danza nuda al centro del quadro;

- un autoritratto idealizzato dell'artista nell'uomo che, al centro del quadro, porta sulla schiena la sua donna.

Quando il lavoro fu terminato, il M° Giuseppe Crema appose sul telaio nel retro del quadro la seguente scritta: "Oggi non si dipinge più così, ma è vero anche che non si dipinge più così bene".

La parte di gran lunga più meditata di questo quadro fu la sua struttura formale. Le sue geometrie compositive, che sono esplicite nella parte del cielo, governano in modo assolutamente preciso la disposizione delle figure, l'equilibrio asimmetrico e proporzionato delle linee di forza. Nulla in questo quadro è lasciato al caso, a cominciare dall'uso raffinatissimo dei colori complementari, la cui sintesi perfetta, a guisa di chiave di lettura, è il volto in controluce della donna centrale che si adagia sulle spalle dell'uomo. Il clima espressivo è ancora quello struggente e lancinante dei minuti che precedono il tramonto, della sosta di questa carovana di personaggi reali o immaginari, della voce del flamenco più puro e aspro come quello di Porrina de Badajoz, i cui dischi Bellomi ascoltava senza sosta durante il lavoro a questo quadro.

Più si guarda quest'opera e più emerge la consapevolezza che questo mondo incantato e feroce, con profumi selvatici e sangue, con bellezza e canti pieni di dolore, è stato spazzato via per sempre e può continuare a vivere solo nel fondo dei nostri occhi.

In esposizione è presente anche il cartone preparatorio a fusaggine su carta da scene e lo spolvero.

Senza titolo [modella seduta], olio su cartone, senza data [anni '70], cm 52x73

In questa sezione della mostra avviene il passaggio dalla dimensione del colore a quella del segno. In questa Modella seduta, le due dimensioni convivono volutamente. Il quadro, nonostante le apparenze, è completo e firmato. La voluta incompiutezza del corpo dialoga con la stessa incompiutezza dello sfondo e con la compiutezza del volto. Il quadro è stato realizzato in una delle lezioni di pittura che Bellomi teneva nell'accademia Cignaroli di Verona a cominciare dal 1973 e certamente risale a quei primi anni di insegnamento. A tal fine è rivelatore il volto, perfettamente riconoscibile, della modella.

Sulla bellezza e sulla tecnica del non finito Bellomi terrà innumerevoli lezioni e dimostrazioni ai suoi studenti e allievi.

Serrana, olio su tavola, 1974, cm 59,5x68,5

RITRATTO DI AÑA

Almuñecar, domenica 25 agosto 1974, ore 7 del mattino.

tempo sereno, temperature in aumento.

Il pittore Federico Bellomi carica in macchina il cavalletto con i colori, alcune tavole preparate a colla animale e gesso di Bologna, l’assonnato figlio Francesco, e due nuovi passeggeri: Francisco Izquierdo Sanchez detto Paco e la sua ragazza Aña.

Paco gioca come portiere nelle riserve del Real Madrid. Aña viene dall’Estremadura, ha lo sguardo più tagliente di un coltello di Albacete ed è di una bellezza da mozzare il fiato.

Si parte verso la Sierra Nevada, alla ricerca di un buon paesaggio da dipingere.

Paco e Aña sono curiosi di vedere un pittore italiano al lavoro. Ma il loro vero obiettivo è un altro. All’epoca, la Spagna era sotto il tallone di una dittatura che sarebbe finita solo due anni dopo in una lunghissima agonia e in un delirio di accanimento terapeutico su quell’ammasso di cellule che un tempo era stato il corpo del generalissimo Francisco Franco. Paco e Aña hanno visto in una delle tasche dei sedili posteriori della vecchia Ford un libro proibitissimo: i Cien Sonetos de Amor di Pablo Neruda che mio padre, sfidando ogni buon senso, si è portato fino a lì, con la scusa di fare pratica della lingua spagnola.

I due ragazzi sbavano su quel libro e, mentre noi guardiamo gli sfolgoranti paesaggi della sierra, loro leggono pagine su pagine, bevendo e assaporando ogni singola parola.

Dopo poco più di un’ora di viaggio, in questa strada che si arrampica su per le montagne in mezzo al niente e dove non passa mai nessuno, superiamo una vecchia vestita di nero che sale lentamente a piedi camminando sul bordo della carreggiata.

Mio padre, dopo averla superata si ferma e le manda incontro Paco e Aña a chiederle se ha bisogno di un passaggio.

Segue un vivace dialogo che osserviamo da lontano e sembra che perfino Paco faccia fatica a capire il dialetto stretto della vecchia.

Alla fine sale in macchina.

Paco ci spiega, con il poco francese imparato a scuola, che la vecchia è stata dimessa quella mattina dall’ospedale di Motril dopo una appendicectomia e che sta tornando a casa a piedi perchè essendo domenica non ci sono le corriere. A conti fatti deve aver già camminato per almeno 20 Km.

per tutto il viaggio la vecchia si limita solo a dire derecha o izquierda quando bisogna voltare. Arrivati finalmente al suo microscopico paese di pochissime case, lei scende, ringrazia e sparisce dentro a una casa.

Oramai è mezzogiorno, troppo tardi per mettersi a cercare di nuovo un buon paesaggio.

Allora chiede di mettersi all’ombra delle viti nell’orto di una casa e ad Aña di posare per un ritratto.

Il lavoro comincia.

Dopo nemmeno mezzora arriva il primo paesano con un fiasco di vinho tinto, poi il secondo con dei fichi d’india, poi il terzo con pane e choritzo, poi il quarto con moglie e figli e una torta e poco a poco tutto il paese è lì a dividere con noi le sue povere cose dal sapore indimenticabile e a guardare questo strano pittore italiano e quell’incredibile bellezza che sta in posa sotto le viti.

La vecchia deve aver fatto il giro di tutto il paese, deve aver bussato a tutte le porte e da lontano osserva soddisfatta il risultato.

Federico Bellomi

ritratto di Aña sullo sfondo della Sierra Nevada.

Studio per la cacciata dall'Eden, fusaggine e pastelli su carta da scene, 1976, cm 70x100

Questo studio, realizzato probabilmente in una manciata di minuti durante una delle lezioni di Educazione Artistica che Bellomi ha tenuto per più di vent'anni nella scuola media dell'istituto don Calabria di Verona, mostra perfettamente la capacità di dominare il segno e il gesto suggerendo, attraverso essi, forme e superfici. Non ci sono ripensamenti, tutto è immediato, tutto è furore grafico, quel furore che serve a far volare il disegno oltre i limiti dell'accademismo, del rispetto pedissequo della norma, della titubanza del gesto.

Qui non vi è nessuna titubanza ma solo energia, furore, immediatezza.

Senza titolo [Cristo Morente], fusaggine su carta da scene, 1976, cm 70x100

Studio realizzato nella stessa situazione del precedente. In questo studio, la rinuncia al sia pur minimo contributo del colore è totale. Niente può raccontare il dolore meglio di questa rinuncia. La fusaggine usata come un coltello per incidere le pieghe nel volto del Cristo. Ogni segno è una ferita, non c'è spazio in questo foglio per nient'altro che non sia dolore, dolore e ancora dolore.

Studio per la Pietà, fusaggine su carta da scene, 1976, cm 70x100

Cartone per Arbor Redemptionis, particolare della cacciata - figura dell'angelo, fusaggine su carta da scene, tra il 1990 e il 1995, cm 200 x 400

Fra il 1990 e il 2005 Federico Bellomi dipinge nella chiesa di Lugagnano di Sona (VR) la grande parete di 240 m2 intitolata Arbor Redemptionis (titolo proposto dal prof. Rodolfo Signorini di Mantova e entusiasticamente accolto dall'autore)

Per una ampia documentazione fotografica sulle varie fasi di questo lavoro si veda il seguente link:

https://sites.google.com/site/federicobellomicatalogoopere/arbor-redemptionis-lugagnano---tempera-di-caseina-lattica

In questa mostra saranno esposti alcuni grandi cartoni (che talvolta raggiungono i 5 metri di altezza) realizzati per quest'opera monumentale.

Questi cartoni non sono forati: lo spolvero è stato fatto su altri fogli riportando il disegno con delle carte lucide e forando il lucido posto sopra un altro cartone non disegnato. In questo modo i cartoni originali sono stati salvati e non portano segni di foratura.

Studio per la parete di Lugagnano, - particolare dellesette trombe, sanguigna rialzata a biacca su carta tinta, 1996, cm 35x50

Per l'opera Arbor Redemptionis furono realizzati centinaia di studi con le più svariate tecniche: dalla prediletta tempera di caseina lattica, al pastello, alla sanguigna ma anche a penna a e matita. Un lavoro incessante e accanito: per anni.

Parete di Lugagnano - nudo per i reprobi, grafite rialzata a biacca su carta tinta 1999, cm 35 x50

Studio per la Parete di Lugagnano (Arianne) - il passaggio del Mar Rosso, matita, penna a inchiostro nero e tempera di caseina lattica su carta, 1993, cm 35,2x50

Studio per Il Diluvio - Lugagnano, penna nera su carta, 1992, cm 35x50

Studio per Il Diluvio, penna guazzata su carta tinta, 1991, cm 50x35

Studio per R.[ut], penna nera su carta tinta, 1993, cm 35x50

Senza titolo [studio per affresco], tempera di caseina lattica e fusaggine su cartone, senza data, cm 36x51

Studio per affresco ad Asciano, tempera di caseina lattica su cartone, senza data [1993-2000], cm 63x80

Studio per il Diluvio, penna su carta, 1992, cm 35x50

Studio per Zona Pentecoste, penna e sanguigna rialzata a biacca su carta tinta, 1996, cm 35x50

Una delle figure dei salvati, penna sanguigna e biacca su carta tinta, 1992, cm 45x62

Due cartoni per Lugagnano, fusaggine su carta da scene, dal 1990 al 1995, cm 200 x 500 e 200x500

Testa di Profeta, sinopia ad affresco strappata e riportata su tela, 1974, cm. 49x51

Cartone per Lugagnano - Adamo ed Eva, fusaggine e pastello su carta da scene, dal 1990 al 1995, cm 200x535

Cartone per Lugagnano - il Diluvio, fusaggine e pastello su carta da scene, dal 1990 al 1995, cm 200 x 535

NELLE FOTO SEGUENTI: Federico Bellomi durante la realizzazione dei cartoni per Arbor Redemptionis nelle stanze dei palazzi scaligeri di Verona, oggi, dopo la ristrutturazione, sede del museo d'arte moderna "A.Forti"

La foratura dei cartoni per lo spolvero

Federico Bellomi durante la realizzazione della sinopia in parete