Ruolino di Marcia 52^ Compagnia Battaglione Edolo
La 52^ Compagnia del Battaglione Edolo è stata costituita nel 1882, a Breno alle dipendenze del Battaglione ValCamonica. Nel 1886 viene inquadrata nel Battaglione Edolo con la quale prende parte alla guerra Italo-Turca (1911-1914), alla Grande Guerra (1915-1918) e al Secondo Conflitto Mondiale (1940-1943). Sciolta nel Settembre 1943, riprende vita nel Gennaio 1946 sempre nel Battaglione Edolo e nel 1975 diventa Compagnia Addestrativa Reclute fino al 1991, poi ricostituita nel 1996 quando verrà definitivamente sciolta assieme al Battaglione nel 1996.
Nel logo dell'intestazione, a sinistra è rappresentato il Monumento all'Edolo inaugurato a Edolo nel 2012, mentre a destra è rappresentato il distintivo della 52^ Compagnia.
Campagna di Russia – Mappa
In figura (1), la mappa completa disegnata con precisione dal Furiere della 52^ Compagnia, Battaglione Edolo, Gregorio Baffelli di Malegno (Brescia), che mostra la composizione dei Capisaldi schierati davanti alla grande ansa del fiume Don nel periodo 1942-1943 durante la Campagna di Russia.
Le tre Compagnie dell’ Edolo erano così composte:
- al centro la 50^ con 7 Capisaldi: Sonico, Vezza d’Oglio, Ponte di Legno, Tonale, Gazzaniga, Clusone, Seriate
- a sinistra la 51^ con 3 Capisaldi: Darfo, Capo di Ponte, Temù
- a destra la 52^ con 3 Capisaldi: Foresto, Lovere, Albino
Fig.(1) Mappa completa
L’Illustrazione del Popolo usciva proprio nei giorni che il Battaglione Edolo si posizionava davanti all’ansa del Don e raffigura con realismo la postazione di un Caposaldo davanti al Don
Cenni storici
Gregorio Baffelli illustra in un suo memoriale scritto nel settembre del 1993, con lucidi ricordi, molto dettagliati, le vicissitudini della sua 52^ Compagnia, leggiamo le sue parole meditando cosa vuol dire una guerra: sacrifici, patimenti, congelamenti, ferite, mutilazioni, morti.
A metà luglio 1942 dobbiamo lasciare l’accogliente Alpignano (TO) e partire per la Russia. Prendiamo la Tradotta a Avigliana e dopo aver attraversato il Brennero, Innsbruk, Monaco, Norimberga, Varsavia, Minssk e Gomel scendiamo a Nowo Gorlowka.
Con estenuanti marce ci trasferiamo in direzione Caucaso, ma all’improvviso cambio direzione; si punta su Vorosilovgrad, poiché i Russi hanno sfondato nella zona dov’è schierata la Divisione Sforzesca e pertanto dobbiamo provvedere a ristabilire la linea. Giunti autocarrati a Bolschoi, il 6° Regg. Alpini ha dovuto sostenere furiosi combattimenti, lasciando sul campo parecchi morti. Il Btg. Edolo è rimasto nelle vicinanze di rincalzo. Durante i combattimenti una scheggia di proiettile mi ha trapassato parte-parte la sommità del cappello, senza provocare ferite.
Alla fine di agosto, dopo che, il fronte fu ristabilito, il Btg. Edolo si trasferisce a Rubaskin dove si intraprendono i lavori di fortificazione: camminamenti, postazioni per armi, bunker per le squadre, cucine, comando di battaglione e di compagnia. Gli Alpini di Pezzo (Vallecamonica), hanno ricavato, scavando nel terreno gessoso, un artistico altare dove il Ten. Capp. Don Badariotti celebra la Messa. Abbiamo appena finito quando le truppe romene ci danno il cambio e vanno ad occupare una specie di villaggio sotterraneo, che con tanto lavoro e cura avevamo approntato.
Il 5° Alpini intraprende ancora la marcia in direzione di Podgornoje fino a raggiungere Bassowka (Belogorie). Il battaglione Edolo va ad occupare una zona tenuta dagli Ungheresi e la 52^ compagnia ha parte delle postazioni sulla sponda del Don in corrispondenza della grande ansa. Gli Alpini liberi dal servizio di vedetta devono lavorare per scavare rifugi, camminamenti e fosso anticarro. In pochi giorni la zona è trasformata in un grande cantiere. Si lavora tutta la notte e all’alba tutto dev’essere in ordine con spargimento di neve sulle zone dove sono stati eseguiti gli scavi, previa copertura con grossi tronchi d’albero, che gli Alpini incaricati, hanno tagliato, sezionato e trasportato a piè d’opera. Io mi assumo l’incarico di formare il rifugio per le cucine e per la fureria, altri per il comando compagnia, altri i camminamenti; ogni squadra il proprio bunker. Occorre mandare qualche alpino a lavorare con quelli di altre compagnie per formare il fosso anticarro.
Comanda la compagnia il capitano Fanucchi che lavora 24 ore su 24 ad organizzare, dirigere, ispezionare e dare mano anche a lavori di fatica in modo da avere tutti i suoi uomini al riparo dal freddo e da eventuali attacchi nemici. Procura frumento e rudimentali mulini per ogni postazione in modo che ognuno possa avere un supplemento al rancio (polenta di farina di frumento). Una notte tagliò, con l’aiuto di due Alpini che dovevano scontare una punizione, un albero situato sull’argine del Don; nell’ondeggiare durante le notti di luna, veniva dai Russi scambiato per una sentinella in movimento ed essi scaricavano i loro parabellum in direzione dell’albero il quale non ci rimetteva niente, ma le pallottole che si infilavano nei camminamenti, alle volte colpivano gli Alpini di guardia. Il Natale passa tranquillo, ma le prospettive sono tuttaltro che buone; la posta non arriva e al di là del Don si sentono di continuo strani rumori di mezzi cingolati. Arriva il fatidico giorno 16 gennaio 1943 e con l’alba inizia la grande e aspra battaglia che durerà fino all’indomani. E’ un vero inferno, sul Don continuano ad avanzare e ad ammucchiarsi soldati Russi caduti nel tentativo di conquistare le nostre postazioni. La 52^ è la più esposta e dai capisaldi continuano ad arrivare richieste di munizioni. Molti sono i feriti nelle prime linee e tra quelli addetti al trasporto delle munizioni, ed è problematico trovare un Alpino libero. Si prodigano con coraggio ed abnegazione i due fratelli Abondio di Darfo, il più giovane dei quali rimane gravemente ferito e avviato all’ospedale di Podgornoje dove rimarrà senza poter seguire la compagnia in ritirata; l’’altro non cessa di lavorare e con l’esempio trascina anche altri passando da un caposaldo all’altro onde non lasciare mancare il necessario. Nemmeno questo rientrerà in Italia perché rimane ucciso nei primi giorni di ritirata. Era appena rientrato al reparto dopo aver trascorso in Italia una licenza per la morte di un suo bambino.
Giunge un ferito, che piangendo annuncia la morte del Capitano Fanucchi Gino colpito mentre si spostava, sprezzante del pericolo, da una postazione all’altra per avere in mano la situazione, per imprimere coraggio, e per aiutare dove si presentava la necessità. Teniamo il più possibile nascosta la triste notizia per non demoralizzare gli Alpini che continuano nel furioso combattimento. Un sergente ha le mani bruciate perché non ha ancora mollato l’impugnatura della mitragliatrice; dalla sua postazione tiene battuta una vasta zona e nessuno riesce ad avanzare. Se non verranno a mancare le munizioni gli Alpini non cederanno e infatti la sera del giorno 17 sono tutti ai propri posti senza aver perduto un centimetro di terreno.
Alle ore 17 del giorno 17 gennaio inizia, con ordine la ritirata e rimane sul Don una squadra (quella del Sergente Pezzotti Samuele Ascolta la testimonianza) col compito di proteggere il ripiegamento. Tale squadra resisterà eroicamente tutta la notte sparando ogni tanto qualche raffica per ingannare il nemico. Il giorno 18 sosta a Podgornoje.
Il giorno 19 gennaio si parte da Podgornoje con temperatura polare; ogni giorno un accanito combattimento ci attende per aprire l’accerchiamento e molti sono i caduti, feriti e dispersi e la 52^ iniziava il lungo calvario attraverso la steppa, ma a comandarla non c’era più l’eroico Capitano Fanucchi. Durante quei giorni ho visto cose incredibili che mi fanno rabbrividire a distanza di parecchi anni: soldati morti dal freddo nelle posizioni più macabre; soldati impazzire; isbe bruciate con dentro militari impossibilitati a fuggire al rogo; soldati morti per aver mangiato cibi avariati o bevuto acqua inquinata; italiani dare botte ai tedeschi per avere la precedenza al pozzo; tedeschi attraversare con pariglie di grossi cavalli la colonna e creare confusione; Alpini picchiati perché avvicinatisi troppo all’aliante appena planato carico di viveri per i tedeschi; sbandati occupare le isbe lasciando all’ adiaccio gli Alpini che dopo aver combattuto attendono ordini dai loro comandanti. E potrei continuare riempiendo parecchie pagine. Quando finalmente si riesce ad avere una sistemazione sorge il problema del mangiare, si devono formare dei gruppi e ad ognuno dare un compito: razziare la pecora, capra, vitello, galline; macellare, fare l’acqua mediante scioglimento della neve, cucinare e finalmente mangiare. Non sempre però la fortuna ci fa incontrare qualche bestiola e allora si salta il pasto. (Personalmente non ho sentito bisogno di cibo, almeno nei primi giorni, perché affetto da febbre reumatica oscillante sui 38-40°).
Coloro che non hanno servizio di guardia possono tentare un sonnellino, ma ecco che i pidocchi incominciano il loro turno. Oltre ai pidocchi ci sono i lamenti dei feriti e congelati e perciò è impossibile dormire anche ai sani; si deve sopportare il fetore emanato dagli arti dei congelati alcuni dei quali in avanzata fase di cancrena. I Russi, vecchi, donne e bambini, che troviamo nelle isbe si danno da fare per offrirci quel poco che ancora dispongono e cedono i loro giacigli, vicino al forno, ai feriti più gravi.
Il giorno 25 gennaio arriviamo a Nikitowka dove ci viene assegnata un’isba distante dal paese circa venti minuti di marcia. La casa era in muratura di mattoni e nel locale principale ardeva ancora una stufa, segno che chi l’abitava era appena scappato. Prima di sdraiarci stendemmo, su un filo teso sopra la piastra della stufa, degli indumenti ad asciugare, e mentre dormivamo sentiamo il Serg. Corona, ch’era di guardia esclamare: “Sveglia, moriamo asfissiati”. Istintivamente accesi il lume (scatola di grasso anticongelante con annegato uno stoppino) e in quel istante vidi chiudersi una botola di accesso alla sottostante cantina, scendemmo nel locale e trovammo, oltre a donne e bambini, uomini di età da combattente (soldati o partigiani). Dopo una breve ispezione, non trovando armi dato il poco chiaro che il lume sviluppava, sentite le implorazioni dei Russi (nema partisan) risaliamo e ci mettiamo a dormire, dopo aver constatato che il fumo acre che aveva provocato l’allarme era causato da una calza staccatasi dal filo e caduta sopra la piastra surriscaldata della stufa. Al mattino del giorno 26 gennaio, mentre ci incamminavamo per l’adunata, giunti a 50 metri dalla casa, i partigiani con i quali avevamo passato la notte, iniziarono a sparare colpi di parabellum però senza l’intenzione di colpirci; probabilmente grati che durante la notte non li abbiamo uccisi come avrebbero senz’altro fatto i tedeschi. Raggiunto il posto stabilito per l’adunata senza nessun ferito, ricevetti l’ordine di rimanere in retroguardia al battaglione (già retroguardia del reggimento); con una certa soddisfazione, accendemmo il fuoco per far bollire una gallina, mentre gli altri reparti del battaglione iniziavano la marcia. La gallina non era ancora cotta che già le truppe regolari russe, unitamente ai partigiani, incominciarono ad avanzare e fummo costretti, dopo breve resistenza, ad abbandonare il villaggio prima del tempo stabilito. Attraversammo di corsa un ponticello, ma subito veniamo intrappolati in un fuoco incrociato; gli sfortunati che ancora si trovano al di là del ponte, dovettero, per essere coperti, attraversare a guado il torrente gelido.
Dopo aver marciato fra decine di cadaveri caduti in occasione della resistenza trovata durante la notte dai reparti già avanzati, ci ricollegammo al battaglione sull’altopiano che sovrasta Nikolajewka, proprio nell’istante in cui due aerei russi mitragliavano la marea di soldati in attesa. Per spirito di conservazione mi buttai sotto la pancia di un mulo e uscii quando sentii gridare: “Avanti Edolo”.
Impossibile descrivere come feci a percorrere, in lieve discesa, il tratto che ci separava dalla ferrovia. Ricordo di aver visto volare per aria soldati a pezzi, poiché dall’abitato di Nicolajewka le artiglierie russe sparavano a zero (altezza d’uomo). Dopo aver oltrepassato la ferrovia all’inizio della cittadina, a fine combattimento mi imbattei faccia a faccia con il maggiore Belotti, il quale mi chiese perché mi trovassi lì, mentre stando agli ordini, avrei dovuto essere ancora in marcia da Nikitowka. Cercai di giustificarmi, ma mi rispose che ne avremmo riparlato (violata consegna) e mi ordinò di presentarmi al Generale Reverberi che, sebbene fosse a pochi passi da noi, non avevo riconosciuto perché di spalle, mi avvicinai dicendo: “Comandi Eccellenza” “Vorrei qualcosa da bere, ho una sete da morire”.
Mi presi come scorta due Alpini e fatti duecento metri, vista una capretta, incominciai a mungerla meravigliandomi di essere riuscito ad ottenere mezza gavetta di latte senza far morire la bestiola. Mentre consegnavo il latte al maggiore Belotti affinchè lo passasse al Generale, mi venne assegnata una isba alla periferia a monte della cittadina. Nel cammino sentiamo un buon profumo di pane, andammo nella direzione dalla quale proveniva l’odore e trovammo delle pagnotte ancora calde. L’isba assegnataci era occupata e furono vani i tentativi per entrarvi. Sfondammo la porta e constatato che solo quattro o cinque tedeschi la tenevano occupata ci sistemammo pure noi e mangiammo il pane con del miele trovato nell’isba. Il giorno 27 si parte e appena fuori dall’abitato un Alpino che trascina un russo corre in testa alla colonna e chiede al maggiore Belotti: “cosa ne facciamo di questo?”. Il maggiore ci pensa un attimo poi con voce non troppo rassicurante risponde: “Fatelo fuori”. Mentre L’Alpino che ha in consegna il prigioniero gli da una spinta e gli dice: “Cicai” (scappa), due alpini spianano il fucile e mentre il fuggiasco se la da a gambe vengono sparate un paio di fucilate, però gli spruzzi della neve levati dalle pallottole sono distanti almeno cinquanta metri dal bersaglio. Quando il russo raggiunge una balka, in fondo al breve percorso in discesa e risulta fuori dal tiro, tutti (compresa il maggiore) tiriamo un sospiro di sollievo. Dopo qualche ora di marcia siamo fermi perché una pattuglia russa ci blocca la strada. Tale pattuglia viene sbaragliata dalla 51^ compagnia dell’ Edolo. Il giorno 28-29 per evitare di incontrare altri russi, viene effettuato un dirottamento su terreno innevato senza nessuna pista e si marcia affondando nella neve fino alla cintola. Il giorno 31 gennaio finalmente arriviamo a Bolsche Troscoje e il Generale Gariboldi in persona ci comunica che siamo fuori dall’accerchiamento. Ci viene indicato da appositi incaricati dove si devono riunire e pernottare i vari reparti. Il giorno 1 febbraio feriti e congelati vengono caricati su autocarri e spediti verso ovest. Chi è in grado di camminare deve riprendere le marce. Marciamo fino al giorno 26 febbraio e arrivati alla stazione di Warchejewka ci fanno salire sui vagoni, che alcuni baciano poiché vedono scritta “FS Italia”. Dobbiamo però attendere la partenza che avviene solo il 28 perché i tedeschi non hanno mai agganciato la locomotiva, decisi a trattenerci per riprendere la collaborazione e combattere. Dal 5 al 14 marzo sostiamo a Slobin, in Ucraina, dove finalmente arrivano regolari razioni di viveri. Durante il periodo trascorso a Slobin le notizie le inventava radio scarpa, un giorno buone: si rimpatria; un giorno catastrofiche: si torna a combattere! Per saperne di più un gruppo di amici, complici alcuni ufficiali mi consigliarono, quale furiere di recarmi al comando Reggimento con qualche pretesto, e incontrare il tenente Gariboldi, il quale sicuramente sarà informato dato che suo padre Generale è appena rientrato dopo essersi recato a Roma per ricevere dal Ministero ordini. Non senza difficoltà a rintracciare il tenente Gariboldi in forza alla Comp. Reggimentale e sentito il motivo del mio incontro mi guardò e mi disse: “Povero illuso, tu credi che il Comandante dell’ ARMIR comunichi ad un semplice tenentino notizie di alta strategia? Eppure non mi sembri una recluta !!!”. Mogio mogio, rientro al reparto finchè il giorno 14 marzo partenza in tradotta e il giorno 20 entriamo in Italia pazzi di gioia. Consegnamo al comando tappa di Tarvisio i 12 muli che provvidenzialmente hanno resistito per tutta la ritirata grazie ai bravi conducenti che oltre a sfamarli, con paglia alle volte strappata dai tetti delle isbe, hanno sorvegliato perché non li rubassero coloro che tentavano di impossessarsene per uso traino e per uso bistecche.
Contumacia a Prestrane e poi via a casa con un mese di licenza.
Forza della 52^ Compagnia:
Uff. Sott. Truppa Quadrupedi
Presenti il 15/01/1943 325 78
Presenti il 20/03/1943 89 12
Furiere Sergente Maggiore
Baffelli Gregorio
15 settembre 1993
A corredo del sito Battaglione Edolo a Bassowka, che illustra in modo dettagliato la posizione della 52^Compagnia Alpina composta dai Capisaldi: ‘Foresto’, ‘Albino’, ‘Lovere’, sull’ansa del Don a Bassowka, in queste pagine verrà proposta la lettura del “Ruolino di Marcia”, gentilmente messo a disposizione dalla Famiglia di Gregorio Baffelli di Malegno (Brescia), Sergente Maggiore e storico Furiere della stessa, che nel periodo 1942-43 con precisione e bravura ha curato la stesura dettagliata dei dati anagrafici e gli eventi succeduti di tutti i suoi commilitoni, dal semplice Alpino fino al Capitano. Nel Ruolino sono stati registrati in totale 633 Alpini, ma a distanza di tanto tempo, non è più possibile stabilire con esattezza quanti connazionali sono stati effettivamente impiegati in questa vicenda bellica; l’ultima classe di leva inviata in Russia è stata comunque la 1922.
Testimonianza diretta e incisiva è mostrata alla fine del racconto di Gregorio, dove si precisano le perdite subite.
Questo non diminuisce il ricordo di questa Compagnia, anzi è doveroso ricordare che questi scritti onorano con solennità tutti i militari che nel periodo 1942-1943 hanno servito la Patria.
Ruolino 52^ Compagnia: Documentazione Storica Fotografica
Fig(2) Manoscritto storico del Ruolino di Marcia scritto e tenuto da Gregorio
Fig(3) Pagina del Ruolino, che mostra oltre ai dati anagrafici, le vicissitudini
Tra le prime pagine del Ruolino troviamo la trascrizione delle Posizioni del Reparto, data e luogo, da gennaio 1943 a settembre 1943 :
Da queste pagine si può leggere che il 1 gennaio 1943 sono posizionati a Bassowka (zona d'operazioni fino al 17 gennaio, inizio della ritirata), il 18 gennaio sono a Podgornoje (ripiegamento), il 26 gennaio a Nikolajewka, il 4 febbraio a Belgorod ...
La tabella sottostante riporta Cognome, Nome e data di nascita dei nominativi registrati nel ruolino escludendo i duplicati:
Statistiche e curiosità rilevate
Premesso che la copiatura fedele del ruolino implica comunque degli errori di battitura, vista la non semplice trascrizione dovuta anche alla calligrafia, i nominativi registrati risultano 633.
Sono presenti 519 Alpini, 39 Caporali, 32 Caporal Maggiore, 14 Sergenti, 5 Sergenti Maggiore, 15 Sotto Tenenti , 6 Tenenti e 3 Capitani.
Si hanno 10 deceduti ( di cui 7 Alpini, 1 Caporale, 1 Sergente, 1 Capitano ) e 134 dispersi ( di cui 113 Alpini, 11 Caporali, 5 Caporal Maggiore, 4 Sergenti, 1 Sergente Maggiore).
La suddivisione in base alla classe di nascita risulta la seguente:
Suddivisione per luogo di nascita:
Suddivisione per luogo di residenza:
e in particolare per gli Alpini di Vallecamonica si ha:
Suddivisione per professione:
Nel ruolino sono registrati anche 101 quadrupedi, di questi risultano 31 deceduti e 34 dispersi. Un esempio di pagina dedicata ai quadrupedi è la seguente:
Fig(4) Grazie prezioso compagno d’armi
Avviso molto importante
Chi ravvisasse nell’elenco in tabella un proprio congiunto, familiare, parente ecc. può contattarci, dandoci notizie certe sulla persona.
Invieremo se interessati copia fotografica della pagina dove il militare è registrato.
Terminata la tremenda esperienza della Campagna di Russia, per tanti della 52^ Compagnia rientrati in Italia, la storia voleva un altro tributo, un’altra dolorosa esperienza: la Prigionia nei Campi di Concentramento Tedeschi e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra della Germania Nazista.
Sorte comune per circa 600.000 persone, cintate da filo spinato, sottoposte a fame, malattie, schiavitù, violenza, minaccia delle armi e al lavoro forzato.
Eppure quasi tutti, soli con la loro coscienza e abbandonati da tutti, seppero dire per venti mesi: NO! a Hitler e a Mussolini, 50.000 morirono… gli altri furono…. Ignorati in patria!….
Gli IMI (Internati Militari Italiani) erano trattati come prigionieri. Non essendo destinati a morte, per riguardo a Mussolini e per un loro recupero politico e lavorativo, caso forse unico nella storia dei Campi di Concentramento, potevano scegliere in ogni istante la ”libertà con disonore” o la ”schiavitù con dolore”: 613.000 (l’86%) scelse quest’ultima, coerenti con la loro coscienza e coi “valori”, una scelta convinta, sotto minacce e violenze, più assillante della fame, della sete, della mancanza di tutto.
Ecco come descrive questo evento Gregorio Baffelli.
Il mese di licenza passa in un lampo. Al Centro Mobilitazione di Edolo mi vestono a nuovo, come una recluta, e rientro a Merano.
Ancora una volta vengono ricostruiti i Reparti. Da Merano a Glorenza, da Glorenza a Gorizia e da Gorizia a Vipiteno.
La 52^ Compagnia si accampa a Mules (BZ) e svolge servizio di guardia ai ponti e alla ferrovia unitamente ai soldati tedeschi.
Il mattino del 9 settembre 1943, svegliatisi di buon umore per avere la sera prima avuto l’annuncio dell’Armistizio firmato da Badoglio, ci troviamo bloccati negli accantonamenti dai militari tedeschi, i quali riescono a far deporre le armi agli Alpini isolati.Trovano resistenza di fronte a qualche gruppetto formato da tre o quattro elementi. Qualche nostra squadra appostata fuori dall’abitato di Mules è già pronta ad aprire il fuoco e attende impaziente ordini.
Lascio il locale dove ho la fureria e scendo in strada avvicinandomi agli Ufficiali che stanno parlamentando con i Tedeschi. Parte una fucilata in direzione di una ex passerella della quale esistono solo le funi di acciaio. Un Alpino acrobaticamente sta attraversando, su dette corde, il fiume Isarco con l’evidente intenzione di scappare. A sparare è stato un soldato tedesco, che visto l’Alpino, ha voluto intimidirlo e abbligarlo a rientrare. Contemporaneamente, non so con quale pretesto, vengono isolati gli Ufficiali e i Tedeschi fanno correre voce che se consegneremo le armi ci accompagneranno a Vipiteno per ricollegarci al Battaglione, indi ci spediranno alle nostre case perché per noi la Guerra è finita. Vista l’impossibilità di agire perché troppo isolati gli uni dagli altri, visti aumentare i militari tedeschi molti dei quali ci conoscevano per aver fatto la guardia con i nostri, considerata l’allettante notizia del Congedo (almeno per noi Reduci di Russia) ad uno ad uno consegnamo le armi; da quel momento capiremo di essere stati traditi. Veniamo inquadrati e incolonnati verso nord scortati da guardie tedesche. Si spera di raggiungere Vipiteno, ma purtroppo si procede fino oltre il Brennero dove si passa la notte all’addiaccio distesi in un prato. All’indomani arriviamo al campo sportivo di Innsbruck e veniamo ammucchiati dentro come formiche. A mezzo altoparlanti veniamo invitati ad aderire alla Nuova Repubblica testè costituita con garanzia dell’immediato rimpatrio. Nessuno aderisce e il giorno 13 partiamo per la stazione ferroviaria dove ci chiuderanno in vagoni con tanto di catenaccio. Viaggiamo per tre giorni senza viveri e in difficoltà per i naturali bisogni fisiologici. Arriviamo al Campo di Concentramento di Hohenstein (Prussia Orientale) con freddo cane e tenuti in vita con una razione giornaliera di zuppa di rape.
Vengono descritte varie vicissitudini … ecco un episodio.
Arrivato in stabilimento una mattina, approfittando del buio, mi recai con un amico a fare provvista di rape. Quali contenitori portammo ognuno un bidone del carburo. Le rape erano sotterrate sotto uno strato di terra gelata. Con il coperchio del fusto riuscimmo a rompere il terreno, arrivare alle rape avvolte nella paglia, e in poco tempo riempire i fusti. Stiamo uscendo dal recinto quando sento una forza strapparmi da sotto il braccio il malloppo. Mi giro e vedo un grosso cane (pastore tedesco) intenzionato a tenermi bloccato. L’amico si mette a correre e il cane mi pianta e rincorre l’altro facendogli cadere a terra il fusto. Nel frattempo cerco di sorpassare cane e Alpino, ma presto il lupo mi ferma. Insomma quella bestia da sola ci ha tenuto bloccati facendoci sentire, a turno, l’alito caldo in faccia, zampe sullo stomaco, fino a quando è arrivato il poliziotto. Veniamo accompagnati all’infermeria per la visita. Visto che il cane non ci aveva morsicato, ne graffiato, l’addetto lo accarezzò, ci requisì le rape e ci diede una bella ripassata con un frustino che teneva sottobraccio.
Quanta fame; mi sognavo il pane, vedevo ovunque pane, parlavo solo di pane … Non facile era la suddivisione del filone di pane. Da un chilo e mezzo dovevano uscire sei razioni uguali. Tale lavoro ci teneva occupati per parecchio a togliere, aggiungere, cambiare, tirare a sorte, e quando la divisione sembrava essere giusta, guardando la fetta del compagno la vedevamo più grossa della nostra.
Leggendo questo documento, non posso fare che raffronti uguali al vissuto da Gregorio, sulla testimonianza di mio padre Samuele, sui suoi scritti che, guardando i timbri della corrispondenza inviata a sua moglie Teresa, provengono da 5 Stalag.
Piastrino matricola 12012 SLATAG I B
Come esempio riportiamo due lettere scritte da Samuele e da Teresa:
Medaglia d'Onore Internati Militari Italiani e diploma dell' Associazione Nazionale Ex Internati
Considerazione finale
Gelida l’accoglienza in Patria. Gli IMI, reduci dai Lager, non si sentivano eroi, erano tanti e gli eroi non possono che essere eccezioni, ma erano fieri di aver compiuto fino ai limiti umani il proprio dovere patriottico, leali all’Esercito e allo Stato legalitario.
Ma a guerra finita, il ritorno di questa marea apolitica e traumatizzata di reduci fu accolto con gioia solo dalle mamme, dalle spose e dalle fidanzate, dai parenti e amici e con imbarazzo generale, dal resto degli italiani. Con diffidenza dai politici (fascisti e antifascisti, monarchici e repubblicani, resistenti e attendisti, socialcomunisti e laico/cristiani) e con diffidenza dalle autorità, gli IMI, per venti mesi, erano stati camuffati dalla propaganda repubblichina come ”collaboratori” e, dall’agosto 1944, come “lavoratori liberi volontari”!
In occasione del conferimento della Medaglia d'Onore per l'Internamento nei Lager Nazisti di mio padre, avvenuta il 2 Marzo 2010 (con Decreto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano DPR 11 marzo 2009), presso la sala dell'audotorium Santa Barnaba di Brescia, ricevendo la medaglia dal Prefetto Dott.sa Narcisa Brassesco Pace, ebbi a dire: " a quando il riconoscimento della Germania per queste persone? ..."
Giuseppe Pezzotti
2 Maggio 2014
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