L’abete bianco, una delle conifere europee più importanti sia da un punto di vista ecologico che economico, durante gli ultimi cicli glaciali si è ‘rifugiato’ più volte nelle penisole mediterranee per poi ricolonizzare l’Europa centrale fino ai Carpazi. Di conseguenza, la maggior parte gli abeti bianchi presenti oggi nelle foreste europee sono diretti discendenti degli esigui nuclei che sono sopravvissuti in queste aree rifugio. La penisola italiana ha giocato un ruolo fondamentale in questi cicli di contrazione ed espansione della distribuzione, ma dove esattamente l’abete bianco abbia trovato le condizioni ideali per rifugiarsi è rimasto per molto tempo un mistero. Un recente studio, coordinato dai ricercatori del Istituto di Bioscienze e BioRisorse (IBBR) del CNR di Firenze, ha indagato le migrazioni dell’abete bianco avvenute nell’ultimo milione di anni, includendo in un ampio dataset genetico numerose tra le precedentemente poco studiate popolazioni appenniniche. I risultati del lavoro hanno mostrano come ci siano forti evidenze a favore della presenza di almeno tre aree rifugio della specie in Appennino, uno scenario evolutivo che cambia radicalmente le ipotesi precedenti sulle dinamiche della specie a latitudini mediterranee (Piotti et al., 2017). Tali evidenze stanno generando importanti ripercussioni sia sulle strategie di conservazione e gestione della specie della specie (Santini et al., 2018), sia sullo studio degli adattamenti al cambiamento climatico in un’area biogeografica particolarmente soggetta a repentine modificazioni ambientali (Brousseau et al., 2016).
Tra le popolazioni incluse nell'ampia indagine genetica svolta da IBBR ne figurano cinque dell’Appennino settentrionale, dal Monte Nero, in provincia di Piacenza, fino al valico dell’Abetone. Tali nuclei, nonostante siano di dimensioni esigue e fortemente isolati, mostrano ancora un’elevata variabilità genetica e risultano geneticamente molto simili alle popolazioni alpine. Tali osservazioni, congiuntamente ai dati paleobotanici disponibili, hanno condotto i ricercatori a identificare proprio in quest’area geografica, che include il territorio del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, l’area rifugio da cui è partita la ricolonizzazione dell’Europa centrale, attraverso le Alpi e fino ai Carpazi, avvenuta dopo la massima estensione dei ghiacci durante la glaciazione Würmiana (Piotti et al., 2017).
Queste evidenze mostrano l’estrema rilevanza conservazionistica delle piccole popolazioni di abete bianco dell’Appennino settentrionale, e l’estrema urgenza di azioni concrete per preservare il loro elevato potenziale adattativo, che potrebbe rivelarsi cruciale per l’adattamento al cambiamento climatico della specie negli anni a venire. Questi nuclei residuali sono attualmente molto frammentati, anche se analisi polliniche, documenti di archivio e testimonianze toponomastiche indicano invece una maggior diffusione nel passato. Le foreste con abete bianco hanno infatti subito un non trascurabile disturbo dovuto alle attività antropiche (utilizzazioni forestali, pascolo, impianti per gli sport invernali); in particolare, le utilizzazioni boschive hanno favorito la diminuzione delle foreste miste di abete bianco e faggio a favore di faggete pure. L’abete bianco infatti, a differenza di molte latifoglie, una volta tagliato non ha la capacità di rigenerarsi dalla ceppaia, ed è inoltre ostacolato nella rinnovazione dalla copertura molto chiusa che si forma in faggete governate a ceduo. Anche per tali motivi, le abetine appenniniche sono attualmente indicate come habitat prioritario nell’allegato II della Direttiva Habitat (9220*: Faggeti degli Appennini con Abies alba e faggete con Abies nebrodensis, 9510*: Foreste sud-appenniniche di Abies alba).
Esiste un ulteriore aspetto che necessita di approfondimenti al fine di disegnare corrette strategie di gestione delle risorse genetiche della specie: l’influenza delle piantagioni sui nuclei autoctoni residui. Infatti, nell’area appenninica si è spesso ricorsi a rimboschimenti con abete bianco, utilizzando nella maggior parte dei casi materiale di origine ignota (Santini et al., 2018) e questo può aver portato ad un mescolamento del patrimonio genetico locale. Il pericolo legato all’introduzione di provenienze alloctone è stato recentemente enfatizzato nella letteratura specializzata da lavori sugli effetti dell’introgressione via polline in popolazioni residuali di conifere autoctone. Infine, qualora le piantagioni siano invece geneticamente simili alle popolazioni naturali residuali, e possano perciò essere considerate come interventi di reintroduzione di materiale autoctono, esse potrebbero rappresentare fonti di polline geneticamente poco variabile dato che sovente la produzione di materiale per le piantagioni è basata sulla raccolta di semi da un numero esiguo di individui. In tal caso, la quantificazione della variabilità genetica delle piantagioni rappresenta un dato cruciale per sviluppare strumenti decisionali efficaci per prevedere l’effetto delle piantagioni sui nuclei naturali residuali.
Le piccole popolazioni frammentate di abete bianco presenti nell’area della Val Parma e Val Cedra, proprio perché circondate da piantagioni pure o miste con abete bianco che coprono, complessivamente, oltre 70 ettari, sono a forte rischio di subire immigrazione via polline da materiale alloctono o geneticamente poco variabile. Gli strumenti propri della genetica di popolazioni permettono un’accurata quantificazione di tali rischi oltre a fornire un quadro conoscitivo che permette lo sviluppo di efficaci azioni di contrasto ai processi che potrebbero erodere il potenziale adattativo delle popolazioni autoctone.
- censire e caratterizzare geneticamente i nuclei autoctoni di abete bianco della Val Parma e Val Cedra non ancora inclusi nel dataset genetico esistente
- analizzare il livello di autoctonia e la diversità genetica dei popolamenti di abete bianco di origine artificiale di maggiori dimensioni entro una distanza tale da permettere scambi via polline con le popolazioni naturali
- fornire informazioni utili e linee di indirizzo per pianificare al meglio le future attività di gestione di popolamenti presenti nell’area di studio atti a preservarne il potenziale adattativo
[02/03/2024] Pubblicati i risultati principali del progetto con l'origine genetica di tutte le piantagioni indagate [pdf]
[04/04/2022] Pubblicato un articolo di divulgazione in cui sono stati presentati i primi risultati del progetto [pdf]
[01/02/2021] Relazione finale consegnata!!!
[20/02/2020] Seconda relazione intermedia sull'origine dei 250 alberi campionati nelle piantagioni di abete bianco
[04/12/2019] Prima relazione intermedia sulla caratterizzazione genetica delle popolazioni naturali consegnata
[15/11/2019] Genotipizzazione popolazioni naturali terminata
[31/10/2019] Estrazioni del DNA dalle popolazioni naturali concluso
[14/10/2019] Termine dei campionamenti e inizio dell'estrazione del DNA nei laboratori di IBBR Firenze
[11/10/2019] Campionamento di due piantagioni nei pressi del passo del Ticchiano
[10/10/2019] Campionamento di due piantagioni nei pressi del Lago Ballano
[27/09/2019] Campionamento popolazione naturale della Rocca Pianaccia
[26/09/2019] Campionamento popolazione naturale del Monte Scala
[16/08/2019] Campionamento popolazione naturale del lago Ballano
[29/07/2019] Campionamento delle piantagioni del passo del Cirone, di Lagdei e dell'ingresso della Riserva Guadine-Pradaccio
[26/07/2019] Campionamento popolazione naturale del monte Orsaro e piantagione del monte Fosco
[12/07/2019] Campionamento delle piantagioni di Cirone e Cancelli di Lagdei