L’abete bianco, una delle conifere europee più importanti sia da un punto di vista ecologico che economico, durante gli ultimi cicli glaciali si è ‘rifugiato’ più volte nelle penisole mediterranee per poi ricolonizzare l’Europa centrale fino ai Carpazi. Di conseguenza, tutti gli abeti bianchi presenti oggi nelle foreste europee sono diretti discendenti degli esigui nuclei che sono sopravvissuti in queste aree rifugio. La penisola italiana ha giocato un ruolo fondamentale in questi cicli di contrazione ed espansione della distribuzione, ma dove esattamente l’abete bianco abbia trovato le condizioni ideali per rifugiarsi è rimasto per molto tempo un mistero. Un recente studio, coordinato dai ricercatori del Istituto di Bioscienze e BioRisorse (IBBR) del CNR di Firenze, ha indagato le migrazioni dell’abete bianco avvenute nell’ultimo milione di anni, includendo in un ampio dataset genetico numerose, tra le storicamente poco studiate, popolazioni appenniniche. I risultati del lavoro hanno mostrano come ci siano forti evidenze a favore della presenza di almeno tre aree rifugio della specie in Appennino, uno scenario evolutivo che cambia radicalmente le ipotesi precedenti sulle dinamiche della specie a latitudini mediterranee (Piotti et al., 2017). Tali evidenze stanno generando importanti ripercussioni sia sulle strategie di conservazione e gestione della specie (Santini et al., 2018; Major et al., 2021; Vajana et al., 2024), sia sullo studio degli adattamenti al cambiamento climatico in un’area biogeografica particolarmente soggetta a repentine modificazioni ambientali (Brousseau et al., 2016; Avanzi et al., 2024).
Tra le popolazioni incluse in questa ampia indagine genetica, proseguita negli anni, ne figurano ormai nove dell’Appennino settentrionale, dal Monte Nero, in provincia di Piacenza, fino al valico dell’Abetone, e 13 dell’Appennino centrale, dai Monti della Laga alla Val di Sangro. Ad eccezione del bosco di abete bianco della Verna, che ha caratteristiche genetiche compatibili con un'origine locale (Santini et al., 2018; Ducci et al., 2021), risulta scarsamente studiata la zona che separa Appennino tosco-emiliano e Appennino centrale, che include il territorio del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. La mancata inclusione di tali grandi foreste di abete bianco negli studi fin qui condotti è da imputarsi principalmente alla lunga storia di gestione che ha interessato la zona del Casentino (Urbinati e Romano, 2012), culminata con le grandi opere di riforestazione condotte da Carlo Siemoni a metà del XIX secolo (Vazzano et al., 2011). Un’area di così grandi dimensioni, e così fortemente impattata dalle attività umane, richiede necessariamente alcune accortezze quando si vuole studiare la storia evolutiva di una specie forestale al fine di disegnare corrette strategie di gestione delle risorse genetiche. In primis, si deve cercare di distinguere le caratteristiche genetiche del materiale autoctono da quello alloctono eventualmente introdotto in centinaia di anni di gestione forestale.
Nell’area appenninica si è spesso ricorsi a rimboschimenti con abete bianco, utilizzando nella maggior parte dei casi materiale di origine ignota (Bernetti 1995; Santini et al. 2018) e questo può aver portato ad un mescolamento del patrimonio genetico locale. I pericoli e le opportunità legati all’introduzione di provenienze alloctone è stato recentemente enfatizzato, nella letteratura specializzata, sia da lavori sugli effetti dell’introgressione via polline in popolazioni residuali di conifere autoctone (Steinitz et al. 2012; Unger et al. 2015) che in studi modellistici per comprendere l'utilità di interveti di migrazione assistita per fronteggiare il cambiamento climatico (Oggioni et al., 2024). Infine, qualora le piantagioni siano invece geneticamente simili alle popolazioni naturali residuali, e possano perciò essere considerate come interventi di reintroduzione di materiale autoctono, esse potrebbero rappresentare fonti di polline geneticamente poco variabile dato che sovente la produzione di materiale per le piantagioni è basata sulla raccolta di semi da un numero esiguo di individui. In tal caso, la quantificazione della variabilità genetica delle piantagioni rappresenta un dato cruciale per sviluppare strumenti decisionali efficaci per prevedere l’effetto delle piantagioni sui nuclei naturali residuali.
La complessità della storia gestionale delle abetine che vegetano nell’area inclusa e immediatamente adiacente al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, unitamente alla loro estensione che si avvicina ai 1000 ha (550 ha, di cui 205 ha in nuclei di particolare rilevanza storica e paesaggistica nel territorio gestito dall’Unione dei Comuni Montani del Casentino, da sommarsi a 387 ha, tra i quali 64 ha di abetine storiche nella Riserva Biogenetica di Campigna e 50 ha nella Riserva Biogenetica di Camaldoli, nelle aree in gestione al Reparti Carabinieri per la biodiversità di Pratovecchio), richiedono necessariamente uno studio approfondito basato sulla caratterizzazione genetica di tutte le popolazioni esistenti. Solamente un campionamento esaustivo dei nuclei presenti può chiarire l’origine dell’abete bianco in questa area di grande diffusione della specie, oltre a far emergere le conseguenze genetiche di una così prolungata gestione su quel che rimane del patrimonio autoctono ancora presente nell’area.
Pertanto, al fine di comprendere l’origine e la struttura genetica degli abeti bianchi che attualmente vegetano nell’area di progetto, verrà eseguito un campionamento esaustivo di tutti i nuclei presenti, raccogliendo complessivamente circa 600 campioni dalle 15-20 popolazioni principali. I campioni, rappresentati da una decina di aghi per pianta, verranno raccolti da piante adulte utilizzando uno svettatoio, oppure fionde da treeclimber nel caso le chiome non fossero facilmente raggiungibili. I campioni raccolti da ciascuna popolazione verranno prelevati da individui sperati da una distanza minima di 25 m, idealmente posizionati lungo una griglia il più possibile regolare. Scostamenti da questo schema generale verranno decisi per ogni singola popolazione valutando la distribuzione locale della specie e le caratteristiche del territorio. Ogni singola pianta verrà georeferenziata e, ove possibile, verrà applicata una placchetta di plastica di colore nero sugli individui campionati per facilitarne il ritrovamento per ulteriori analisi o nuovi studi.
Dal materiale raccolto verrà estratto il DNA e ciascun individuo verrà genotipizzato utilizzando i marcatori genetici già usati per produrre il dataset esistente. Produrre dati genetici con gli stessi marcatori utilizzati per tutti I lavori precedenti svolti dal CNR su abete bianco (Postolache et al. 2014; Leonarduzzi et al., 2016; Piotti et al. 2017; Santini et al. 2018; Avanzi et al., 2024; Oggioni et al., 2024; Vajana et al., 2024) permetterà, quindi, di confrontare le caratteristiche genetiche dell’abete bianco dell’area di studio con un dataset di riferimento costituito da più di 5000 alberi da tutta Europa, e che già include oltre 30 popolazioni appenniniche della specie.
Le attività sono iniziate a Novembre 2021 a Badia Prataglia (attorno a "Campo dell'Agio" è stata circoscritta un’area in cui sono state campionate 24 piante), Camaldoli (due aree da 24 piante) e attorno al Passo della Calla (due aree da 24 piante e due più piccole, in nuclei piantati di limitata dimensione,da 12 piante ciascuna). Da tutte le 144 piante abbiamo prelevato un rametto per avere materiale sufficiente per le estrazioni del DNA e, per ogni albero campionato, abbiamo registrato posizione e diametro. Con le nuove campagne di campionamenti tra il 2022 e il 2023 siamo giunti a campionare 600 individui aggiungendo 4 piantagioni sulla strada dell'Oia, 2 ulteriori piantagioni sia a Camaldoli che a Campigna, la Riserva della Scodella e 4 piantagioni tra Badia Prataglia e Passo dei Mandrioli. A ottobre 2023 i campionamenti si sono conclusi visitando gli ultimi due nuclei a Sasso Fratino e nella Foresta della Lama. Qui sotto una mappa dei 600 individui per cui produrremo informazioni genetiche, dati su cui si baseranno le successive fasi dello studio.
Bibliografia
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Vazzano E, Quilghini G, Travaglini D, Nocentini S (2011) Evoluzione della copertura forestale nella Foresta della Lama (Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi) dal Piano di assestamento di Siemoni e Seeland del 1837 a oggi. Forest@ 8: 78-87.