Il faggio è una delle specie di maggior rilevanza ecologica e socio-economica nel panorama forestale europeo, con una distribuzione di ~1.000.000 km2 e un elevatissimo valore dei servizi ecosistemici prodotti (Magri 2008, Yousefpour et al. 2018, Augustynczik & Yousefpour 2021, Martinez del Castillo et al. 2022). Nonostante tale diffusione e rilevanza, le faggete europee stanno subendo in modo evidente le conseguenze del cambiamento climatico e di una gestione non orientata all’adattamento ai principali fattori di stress (Hanewinkel et al. 2013, Thurm et al. 2018, Baumbach et al. 2019, Popkin 2021). I primi segnali di questa traiettoria negativa sono diventati evidenti in numerose popolazioni situate nella porzione centro-meridionale dell’areale della specie, con segnali che variano da depressioni nella crescita a diffuse morie (Jump et al. 2006, Geßler et al. 2007, Leonardi et al. 2012, Di Filippo et al. 2015, Popkin 2021). Un recente studio condotto da Martinez del Castillo e collaboratori (2022) ha ulteriormente mostrato come stiamo assistendo ad un marcato declino della crescita del faggio in un'ampia porzione della sua distribuzione. I risultati modellistici del lavoro hanno predetto un ulteriore aggravarsi della situazione nell’immediato futuro, con riduzioni di crescita che oscillano tra il 20 ed il 50% entro il 2090, a seconda della regione e dello scenario di cambiamento climatico considerati. In particolare, il calo di produttività previsto è maggiore verso il limite meridionale della distribuzione della specie, in regioni dove si prevede che il persistere di condizioni atmosferiche di alta pressione aumenterà l’intensità e la frequenza dei periodi siccitosi. Gli autori concludono il loro studio specificando che queste variazioni nei tassi di crescita delle faggete saranno probabilmente associati a gravi conseguenze ecologiche ed economiche, conseguenze che richiederanno interventi volti a stimolare un rapido adattamento al cambiamento climatico delle foreste di faggio.
La penisola italiana, che ospita >10.000 km2 di foreste di faggio (Nocentini 2009), ha rappresentato un’importante zona rifugio per la specie durante l’ultima glaciazione (Leonardi & Menozzi 1995, Magri et al. 2006, 2015, Magri 2008) e, attualmente, ne ospita tutti i principali gruppi genetici (Postolache et al. 2021). Durante il massimo glaciale, avvenuto ~21.000 anni fa, le principali zone rifugio della specie erano situate in Italia centro-meridionale, nei Balcani, e tra la Francia meridionale ed i Pirenei. Per quanto concerne la storia biogeografica delle aree italiane attualmente occupate dal faggio, le Alpi sono state ricolonizzate a partire da aree rifugio slovene secondo una rotta est-ovest, l’Appennino da aree rifugio centro-meridionali secondo una rotta sud-nord, mentre il rifugio francese ha contribuito alla ricolonizzazione delle porzioni più occidentali di Alpi e Appennino, generando zone di rimescolamento genetico nelle Alpi centrali e in Appennino ligure (Postolache et al. 2021). Nonostante l’importanza delle popolazioni italiane di faggio, le loro caratteristiche genetiche sono state relativamente poco studiate, concentrandosi sempre su aspetti legati alle dinamiche demografiche (Leonardi & Menozzi 1995, Magri et al. 2006, Leonardi et al. 2012) o gestionali (Piotti et al. 2012, Paffetti et al. 2012, Piotti et al. 2013); poco, dunque, si sa sulle dinamiche adattative, ossia quelle più rilevanti per comprendere le risposte della specie al cambiamento climatico (si veda, come unica eccezione, Postolache et al. 2021, studio condotto a livello dell’intero areale della specie in cui sono state incluse anche cinque popolazioni appenniniche e due alpine). Comprendere le dinamiche di adattamento locale delle specie forestali rappresenta la chiave per prevederne la sopravvivenza futura in una determinata area geografica e, quindi, per definire le modalità ottimali di gestione necessarie a minimizzarne le fragilità nei confronti del cambiamento climatico.
L’adattamento locale, cioè quell’insieme di caratteristiche genetiche che permettono una performance migliore degli organismi nel set di condizioni ambientali in cui vivono, è una condizione molto frequente nelle specie forestali (Savolainen et al. 2007; Alberto et al. 2013). L’adattamento locale può essere osservato a diverse scale geografiche (fino a scala locale e, addirittura, entro poche centinaia di metri; Brousseau et al. 2021), e ci si attende che possa giocare un ruolo importante nella risposta delle foreste ai cambiamenti climatici in corso (Fady et al. 2016). L'adattamento locale implica che alcuni tratti fenotipici con elevato valore adattativo siano determinati da differenze genetiche tra popolazioni e, di conseguenza, che le singole popolazioni potrebbero rispondere diversamente allo stesso stress ambientale a causa di un diverso assetto genetico (Kawecki & Ebert, 2004). Investigare l’adattamento locale, dunque, è alla base di qualsiasi strategia gestionale su base adattativa si voglia applicare al patrimonio forestale di una determinata area geografica.
Ad oggi, diversi approcci statistici sono stati proposti per caratterizzare le risorse genetiche con valore adattativo nelle specie di interesse forestale (Hoban et al. 2016). Tra queste, una delle più promettenti ed utilizzata è la cosiddetta ‘genomica del paesaggio’ (landscape genomics), una metodologia sviluppata nell’ambito dell'ecologia evoluzionistica che si promette di caratterizzare la variabilità genetica responsabile degli adattamenti locali (Rellstab et al. 2015). La tecnica si basa sulla caratterizzazione ambientale e genetica dei siti di campionamento e degli individui campionati, rispettivamente, e prevede la stima di un elevato numero di modelli di associazione tra variabilità genetica e ambientale al fine di individuare sia le pressioni selettive operanti sul territorio che i geni potenzialmente coinvolti nelle conseguenti risposte adattative.
Tra le specie che in Europa meridionale occupano l’orizzonte montano, il faggio è una di quelle più studiate relativamente agli adattamenti locali. In particolare, il faggio è noto per essere molto sensibile alla siccità estiva (Aranda et al. 2015, Knutzen et al. 2017), e, in misura minore, alle gelate tardive (Kreyling et al. 2014, Petit-Cailleux et al. 2020). Il controllo genetico dei tratti legati alle risposte a questi stress climatici, così come alle caratteristiche fenotipiche legate alla fenologia fogliare, ha attratto l’interesse di numerosi gruppi di ricerca. La variazione genetica legata a questi tratti fenotipici è stata ampiamente studiata, soprattutto a scala regionale (Vitasse et al. 2009, Bresson et al. 2011, Gömöry & Paule 2011, Wortemann et al. 2011, Hajek et al. 2016, Kramer et al. 2017, Gárate-Escamilla et al. 2019, Gauzere et al. 2020). Tratti fenologici come la schiusa e la senescenza fogliare mostrano pattern genetici e fenotipici coerenti a varie scale spaziali lungo gradienti altitudinali e latitudinali (Vitasse et al. 2009, Gömöry & Paule 2011, Gauzere et al. 2020). La variabilità genetica per tratti di grande rilevanza adattativa, come la xilogenesi e la sopravvivenza nei primi stadi di sviluppo, mostra una strutturazione nello spazio guidata dalle variazioni a livello di paesaggio nell'evapotraspirazione potenziale massima (Gárate-Escamilla et al. 2019). Al contrario, altri tratti funzionali legati a fotosintesi e traspirazione sono di solito solo debolmente differenziati tra popolazioni, e mostrano invece un'elevata variabilità entro popolazione (Hajek et al. 2016). Questi modelli contrastanti di differenziazione sollevano domande sul ruolo dei tratti fenologici e fisiologici nell'adattamento locale e sulla scala spaziale alla quale le relazioni genotipo-fenotipo-ambiente si verificano. Solo pochi studi hanno finora utilizzato approcci genomici per indagare l'adattamento locale nel faggio, e per lo più a scala locale (Csilléry et al. 2014, Lalagüe et al. 2014, Müller et al. 2015, Pluess et al. 2016, Krajmerová et al. 2017, Capblancq et al. 2020, Cuervo-Alarcon et al. 2021).
Il faggio occupa buona parte dei 19.000 ha di foreste del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano (PNATE), dove è la specie largamente dominante sopra i 1.000 m di altitudine e, di conseguenza, ha un ruolo prominente nel regolare il funzionamento degli ecosistemi forestali. Considerando che la finalità principale del progetto PNATE MigAss è quella di studiare la variabilità genetica delle popolazioni di specie forestali presenti nell’Appennino tosco-emiliano allo scopo di favorire la resilienza delle foreste del PNATE anche attraverso interventi di “migrazione assistita” delle specie arboree, l’acquisizione delle conoscenze genomiche necessarie a indirizzare tali misure richiede, preliminarmente, lo sviluppo di un piano sperimentale ottimale. Il piano sperimentare deve necessariamente prevedere un adeguato campionamento di tutte le condizioni ambientali in cui le popolazioni di faggio si trovano a vegetare nel territorio del PNATE e un altrettanto adeguata scelta dei geni da studiare in quanto potenziali candidati nelle risposte adattative locali.
Tale piano sperimentale permetterà, in particolare, di approfondire i livelli di adattamento genetico locale allo stress idrico nel faggio, costituendo il primo passo per:
- definire il quadro conoscitivo necessario alla selezione del miglior materiale di propagazione per le future generazioni;
- individuare associazioni tra varianti genetiche e tratti fenotipici allo scopo di trovare proxy di facile identificazione con cui circoscrivere un ampio numero di piante da utilizzare per la raccolta del germoplasma, da utilizzare poi nelle attività di riforestazione o migrazione assistita.
Tali obbiettivi verranno raggiunti grazie alla collaborazione con altri gruppi di ricerca, coinvolti nel progetto dal PNATE per rilevare numerosi parametri fisiologici, fenologici e demografici (ad esempio produzione di seme, densità della rinnovazione naturale, fenologia fogliare e riproduttiva, caratteristiche anatomiche degli anelli legnosi annuali) e analizzare le loro relazioni con gli agenti di stress climatico cronico e acuto.